Diario di un “sorvegliato speciale”: 8 gennaio 2021

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Superata anche l’Epifania senza danni e con la soddisfazione di aver passato molte ore liete in compagnia dei nostri discendenti, ci siamo rituffati nella nostra vita di tutti i giorni, che non è affatto male. Proprio il senso di appagamento che accompagna la nostra esistenza ci spinge di tanto in tanto a concludere che, alla nostra età, il tempo sembra volare. Forte di questa osservazione, che so condivisa da mia moglie, le ho proposto di non smontare presepe ed albero in attesa delle prossime festività natalizie. Non ho trascurato di ricordarle che proprio lei, all’atto del montaggio di tutto l’apparato, il giorno dell’Immacolata, aveva detto: “Sembra ieri che l’abbiamo tolto di mezzo”. Proposta bocciata, con l’incontestabile argomentazione logica che, se il tempo vola, avrei impiegato pochi minuti per rimuovere tutto l’apparato natalizio.

In realtà la cosa è un po’ più complicata. Mia moglie ed io, diversamente da quanto avviene nelle famiglie dove l’albero di Natale viene rivestito di anno in anno secondo la moda del momento (quest’anno tutto dorato, l’anno prima tutto argentato e prima ancora tutto rosso e così via), abbiamo tacitamente preferito l’albero di natale storico che raccoglie gli addobbi ereditati dai nostri genitori e da noi stessi aggiornato nel tempo con qualche aggiunta e con le inevitabili sostituzioni: insomma un albero di Natale stilisticamente obbrobrioso, ma che racconta la nostra storia familiare. Tra gli addobbi più preziosi e più cari figurano delle palle di vetro che acquistammo tanti anni fa e che sono state decimate nel tempo a causa della loro particolare fragilità. Ne sono rimaste poche e, poiché mi terrorizza l’idea di doverle perdere tutte o magari di restare solo con una palla, lo smontaggio dell’albero, così come del resto il montaggio, diventa un’operazione delicata.

Già adesso ci auguriamo che con l’andare degli anni i nostri figli e nipoti ce lo montino senza romperci le palle di vetro. Prospettiva preoccupante, anche in senso metaforico, perché già adesso certe attenzioni dei nostri figlioli ci indispongono: ci fanno sentire già incapaci, mentre siamo ancora nel semipieno possesso delle nostre forze e comunque ancora ben lontani dalla soglia della vecchiaia vera e propria.

Sarà un fatto biologico ma i giovani prima dominati dalla pulsione alla procreazione, poi da quella all’allevamento e alla difesa della prole, scoprono, con la maturità, la pulsione a proteggere gli anziani. E se i suoi effetti si prolungano nel tempo, spesso cede il posto alla pulsione a chiuderli in una casa di riposo dove almeno fino a qualche tempo fa li attendeva una ragionevole prospettiva di vita, poi seriamente compromessa dal Covid. D’altra parte i vecchi sono comunque condannati ad una fine ingloriosa perché con i loro acciacchi, i loro capricci, le loro amnesie rendono la vita impossibile ai familiari che si occupano di loro. Non è raro sentire costoro che, in occasione della dipartita tardiva del loro amato ma decrepito congiunto dicono, cadendo in un lapsus freudiano: “Il Signore lo ha voluto accanto a sé ed è meglio cosi: soffrivamo troppo”.

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