La Bibbia, com’è noto, è articolata in due parti: Antico e Nuovo Testamento. Entrambi sono gravati dai millenni che li sovrastano, l’Antico – ovviamente – più del Nuovo. Ma ciò che li differenzia l’uno dall’altro è sia il motivo che ha spinto alla loro redazione, che il modo con il quale essi ci sono stati trasmessi. Sono due opere che confluiscono in un unico volume, ma non dovrebbe essere così. Fra il primo e il secondo vi è un abisso, innanzitutto temporale, essendo la differenza fra i due di quasi mille anni. E poi la finalità. L’“Antico” contiene la “Torah”, la Legge, poi i profeti, ed è arricchito da composizioni poetiche; il secondo, invece, è un “euaggelion”, cioè una buona notizia il cui cuore sta nelle parole e nella missione di un profeta itinerante ebreo, fermamente convinto di essere colui che avrebbe cambiato il volto del mondo diventandone re, con l’aiuto di Dio, suo padre.
I primi cristiani, esclusivamente ebrei, nulla sapevano del “Nuovo Testamento” che ancora non esisteva. Quindi per essi ciò che contava come base della loro fede erano i libri che componevano la Bibbia ebraica, che consideravano ispirati da Dio, e le narrazioni orali della vita e delle opere di Gesù che con il trascorrere del tempo divennero la “tradizione” e che, dopo essere stata messa per iscritto da anonimi autori insignitisi di nomi prestigiosi, assurse a libro sacro, da associare al preesistente “Antico”, ma di pari importanza.
Questo per quanto riguarda il “Nuovo Testamento”; tutt’altro percorso ha seguito la redazione dell’“Antico” [definito anche “Vecchio” o “Primo” testamento]. La prima parte del testo è costituita dal Pentateuco [i cinque libri], Genesi, Esodo, Levitico, Numeri e Deuteronomio, che per lunghissimo tempo furono attribuiti a Mosè, che sul monte Sinai avrebbe ricevuto una rivelazione da Dio. Ma il trascorrere del tempo, gli studi sempre più accurati, e il ritrovamento di documenti di fondamentale importanza (per esempio i rotoli del Mar Morto e il Codice Sinaitico) hanno portato a una differente conclusione, ampiamente condivisa nel mondo degli studi biblici, ovvero che a scrivere il Pentateuco non può essere stato un solo individuo (men che meno Mosè). I suoi cinque libri sono stati composti a partire da testi preesistenti, basati sulla tradizione orale, e hanno assunto la forma nella quale li conosciamo, molti secoli dopo gli eventi di cui parlano, probabilmente redatti dopo la cattività babilonese. Che difficilmente Mosè possa essere stato l’estensore del Pentateuco, è suffragato da numerose prove. Dall’Esodo al Deuteronomio, dove Mosè è il protagonista indiscusso, si parla di lui sempre in terza persona, e i relativi racconti risalgono probabilmente al X secolo a.E.V., nel periodo monarchico e probabilmente sotto il regno di Salomone.
Si parla di lui, abbiamo detto, ma non è lui a parlare. È difficile pensare che sia lui l’autore di Numeri 12:3: “Ora Mosè era un uomo assai umile, più di qualunque altro sulla faccia della terra”. Né è pensabile che sia l’autore di Deuteronomio 34:5-12, che racconta la sua morte. Come avrebbe potuto farlo? Senza l’intenzione di sminuire la fede di alcuno, che è qualcosa di personale e di intimo, non possiamo comunque sottacere ciò che Israel Finkelstein e Neil Asher Silberman asseriscono nel loro best seller, Le tracce di Mosè (Ed. Carocci, 2001): “Senz’ombra di dubbio, alcuni degli episodi più famosi della Bibbia sono stati inventati di sana pianta”. In precedenza abbiamo parlato di un duplice racconto della creazione, dovuto a mani diverse e realizzato in tempi diversi; racconti che divergono fra loro e sono incompatibili l’uno con l’altro; prendiamo ad esempio Genesi cap. 1 dove le piante sono state create il terzo giorno e gli esseri umani il sesto, mentre, secondo Genesi cap. 2 “quando il Signore plasmò l’uomo con la polvere del suolo… nessun cespuglio campestre era sulla terra, nessuna erba campestre era spuntata”. Secondo Genesi cap. 1 ogni specie animale è creata prima degli esseri umani, nel quinto e sesto giorno. Secondo Genesi 2, invece, l’uomo è stato creato per primo, e soltanto dopo la sua creazione dalla polvere della terra Dio provvide a creare la vita animale. Le divergenze e le eclatanti contraddizioni sono molto più numerose dei pochi esempi che abbiamo presentato, ma sufficienti a convalidare l’opinione dei due archeologi biblici prima menzionati.
Sempre soffermandoci sui primi due capitoli della Genesi, non possiamo sottacere un fatto di importanza fondamentale che preferiamo menzionare con le parole del suo autore, Bart Ehrman: “il racconto della creazione, la descrizione dell’Eden e quella del diluvio universale hanno evidenti paralleli in miti che sono stati conosciuti per secoli nell’area mesopotamica prima della composizione delle fonti bibliche. Le scoperte del XIX secolo causarono una certa apprensione prima tra gli studiosi e poi tra la gente comune. Continuano a suscitare interrogativi oggi, specie tra quanti non vogliono convincersi che i racconti della Genesi non erano e non sono unici, e neppure sono i primi racconti in assoluto di questo genere. È evidente che hanno subìto l’influsso esercitato da narrazioni analoghe che circolavano in altri contesti tra popolazioni che praticavano altri culti. Gli studiosi, quindi, hanno concluso che essi non vanno letti come resoconti attendibili di fatti realmente accaduti, ma come leggende, che intendevano spiegare agli israeliti chi fossero, da dove venissero e quale origine avesse il mondo”. In poche parole, quando si iniziò a porre mano alla composizione del Pentateuco, probabilmente da quattro fonti diverse, esistevano in Mesopotamia già da molto tempo opere e manufatti, come La stele di Hammurabi (XIII secolo a.E.V.) L’Epopea di Gilgamesh (Babilonia), l’Enuma Elish, (Accadico babilonese), l’Atrahasis (paleobabilonese), ognuna delle quali di molto antecedente la redazione dei libri biblici e narranti episodi che poi la Bibbia assimila e fa propri. Ecco perché Finkelstein e Silberman si sentono autorizzati a scrivere che: “Il racconto biblico, tuttavia, è farcito di contraddizioni e anacronismi risente, ovviamente, dell’influenza della teologia del settimo secolo a.E.V., al punto da essere considerato un romanzo più che una cronaca storica attendibile … È evidente ora che molti eventi della storia biblica non si sono verificati in quel periodo specifico o nel modo descritto, e che, senz’ombra di dubbio, alcuni degli episodi più famosi della Bibbia sono stati inventati di sana pianta. E, per rimanere in argomento, ancora su Mosè, risulta che l’episodio del neonato salvato in una cesta di vimini deriva da una leggenda babilonese che, al posto di Mosè, colloca Sargon di Akkad, importante sovrano che governò la Mesopotamia nella seconda metà del III millennio, alla quale si affianca il racconto di Erodoto, riguardante il grande re Ciro, la cui nascita e le peripezie che la accompagnarono seguono lo stesso modello. Pertanto intorno al personaggio di Mosè sono molte le ipotesi formulate dagli storici, fra i quali annoveriamo Martin Noth; storici che mettono seriamente in dubbio perfino l’esistenza di un personaggio di nome Mosè. Nel suo commentario all’Antico Testamento, (Ed. Paideia, 1972) Noth afferma che: “Sarebbe un chiudere gli occhi di fronte all’evidenza non voler ammettere che gli elementi della storia della nascita di Mosè sono motivi di racconti leggendari largamente diffusi”. Sostiene con forza questa narrazione dei miti e delle leggende che circondano la nascita del Pentateuco e del suo contenuto, Massimo Baldacci, uno dei più noti esperti mondiali di letteratura cananea che, nel suo libro Prima della Bibbia (Ed. Mondadori, 2000), asserisce che: “Situate cronologicamente tra la fine del VI e l’inizio del V secolo, queste sedimentate tradizioni sono comunque separate dagli avvenimenti cui fanno riferimento da un lasso di tempo non inferiore a 600-800 anni… Dall’epoca del primo esiguo numero di scribi sacerdoti che lo redasse, il testo ebraico del Pentateuco – e insieme con lui l’intera Bibbia – venne successivamente copiato e ricopiato centinaia di volte e infiniti piccoli cambiamenti vennero posti in essere, talvolta inavvertitamente, talvolta con interventi intenzionali, nella meccanica della trasmissione”. Ed è sempre Baldacci che aggiunge: “In tutto ciò l’attendibilità storica e l’obiettività non possono essere certo delle migliori, dal momento che soltanto nel sesto secolo a.E.V. e a più di settecento anni di distanza dagli avvenimenti narrati, i teologi e gli scribi iniziarono a redigere il testo del Deuteronomio, la storia cioè d’Israele all’epoca di Mosè. Dunque «l’Israele storico non è l’Israele della Bibbia. Piuttosto l’Israele storico ha prodotto l’Israele della Bibbia» (Baruc Halpern)”.
Se è messa in dubbio persino l’esistenza del Mosè biblico, di conseguenza viene a crollare tutto il corollario delle sue imprese, tanto da far dire a Finkelstein e Silberman che: “L’Esodo non c’è stato, almeno nel momento e nel modo descritto nella Bibbia: questa sembra una conclusione inconfutabile quando esaminiamo le testimonianze di siti specifici dove secondo la tradizione i figli d’Israele si sarebbero accampati durante il loro peregrinare nel deserto per periodi prolungati (Num. 33) e dove una qualche attestazione archeologica, se ci fosse stata, quasi certamente non sarebbe passata inosservata …. È evidente che la saga della liberazione dall’Egitto non è stata composta come opera originale nel settimo secolo a.E.V.; i principali tratti della storia erano certamente noti da tempo, accenni all’Esodo e al peregrinare nel deserto sono già contenuti negli oracoli Amos (2:10; 3:1; 9:7) e Osea (11:1; 13:4), anteriori di ben cento anni”.
“Così conoscerete la verità, e la verità vi farà liberi”. Queste parole sono contenute nel Vangelo di Giovanni 8:32, e furono pronunciate nel contesto di un Gesù che parlava alle folle incitandole a conoscere la verità su Dio e su sé stesso. Ma, in un contesto più ampio sono parole che hanno una validità, potremmo dire, universale. Libertà e verità sono strettamente associate; la prima non può che scaturire dalla seconda. Che verità vogliamo conoscere noi? Indubbiamente la verità relativa all’argomento che abbiamo appena trattato; che si sia credenti oppure no, è certamente estremamente utile conoscere a fondo il libro più importante del mondo, e sapervi leggere, cosa molto difficile se lo leggessimo come un romanzo. La Bibbia va studiata, non letta semplicemente, anche perché dal suo fraintendimento, nel passato, scaturirono guerre, persecuzioni, stragi, tutto nel nome di Dio e della verità di cui ciascuno riteneva d’essere il solo detentore.
Poi c’è l’altra libertà, quella politica, che permette di esprimersi e di manifestare liberamente il proprio pensiero senza subire ritorsioni o punizioni, come accade in alcune parti del mondo, segnatamente la Russia di Putin, e come potrebbe accadere anche in Italia, dati i prodromi che osserviamo quasi quotidianamente. I cittadini, per poter farsi un’opinione corretta, dovrebbero essere informati imparzialmente su tutto ciò che riguarda chi si presenta per assumere il potere, e invece c’è il caravan serraglio delle bugie, spesso spudorate, che costituiscono il pane quotidiano del ceto politico italiano (e non solo italiano) che dimostra in tal modo quanto infima sia la considerazione verso l’elettorato, da trattare come bambini o disagiati mentali ai quali propinare qualunque fandonia. Abbiamo scelto di proposito di chiudere la trattazione della storia dell’antico Israele con un passaggio ad un argomento che sembra non avervi alcun rapporto; ma se si medita un po’ ci si rende conto che, se una volta chi rinnegava Dio o ne adorava un altro era condannato a morte e ad atroci tormenti, oggi la condanna di chi sbaglia, volutamente o meno nel concedere la propria approvazione a persone il cui passato è opinabile e spesso tenuto ben nascosto, corre il rischio concreto di ritrovarsi nuovamente in un tempo nel quale (solo cento anni fa) un integerrimo deputato italiano di nome Giacomo Matteotti venne vergognosamente trucidato perché insisteva caparbiamente nel proclamare la verità sull’effettiva essenza del nascente fascismo. In Russia è accaduto lo stesso con Navalny, non cento anni fa, ma proprio l’altro ieri. Lo si deve riconoscere: la ricerca della verità può essere pesante e anche pericolosa, ma niente di ciò che ha grande valore si ottiene senza sacrificio, e la libertà è un valore senza il quale, come scrive Maurizio Viroli, crederemo d’essere liberi, ma della libertà dei servi.