Il governo ideale?

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La crescente polarizzazione del dibattito politico ha radici profonde, stemperata appena dall’affermarsi dei governi democratici. Gli inflazionati, ambigui ma popolari stereotipi come conservatore, progressista, moderato, di destra o sinistra in realtà riflettono preferenze politico-sociali riconducibili a innate istanze etiche, patrimonio dell’umanità. Istanze che derivano dai fondamentali morali universali, comuni a ogni popolo della terra, evolutisi in milioni di anni per favorire la sopravvivenza e la riproduzione del genere umano: la generosità, la condivisione, l’empatia, l’altruismo reciproco, la solidarietà, l’obbedienza a un’autorità politica o religiosa, il senso di giustizia e dei diritti, il bisogno di sicurezza e difesa del proprio gruppo e dell’autonomia individuale. Quindi i calcoli e i ragionamenti c’entrano poco quando facciamo scelte politiche.

Determinante invece è il lato intuitivo e ambientale (genitori, coetanei, estrazione sociale) che ci porta in un secondo tempo a razionalizzare ciò che abbiamo già inconsciamente deciso. I geni codificano il comportamento e le persone tendono ad appropriarsi del sistema valoriale di destra o di sinistra. È il carattere che, sollecitato dalle amicizie, dall’ambiente familiare e sociale in cui si vive, determina in definitiva le scelte che guidano le preferenze e i rimedi per risolvere i problemi sociali. La genetica incide per il 40-50% in questi aspetti comportamentali. Perciò una visione più realistica della natura umana non mette al centro i valori cui si ispirano i progressisti o i conservatori, ma una visione più concertata ed equilibrata che tenga in considerazione la duplicità della natura umana (egoista e altruista, competitiva e collaborativa, avida e generosa).

La tensione tra libertà individuale e coesione sociale fa oscillare il pendolo morale a destra e a sinistra. Libertà e sicurezza spesso confliggono, senza trovare un terreno comune su cui realizzarsi. Ma sarebbe ingenuo etichettare con stereotipi i conservatori (dogmatici, intolleranti verso i cambiamenti, fautori di disuguaglianze attraverso un ridimensionamento del welfare, con meno tasse, meno previdenza sociale, meno assistenza sanitaria gratuita per tutti, cioè meno Stato, favorevoli all’incremento della sicurezza sociale e con più investimenti in armi e forze dell’ordine, difesa prioritaria della famiglia, della nazione di appartenenza, fautori della tradizione e dell’ordine gerarchico) e i progressisti (più tasse, assistenza sanitaria e previdenziale diffusa a tutti gli strati sociali, meno investimenti nella difesa, principio ecumenico di accoglienza degli emigranti, riconoscimento anche di famiglie senza definizione di sesso e ruoli di genere, ridimensionamento di ogni autorità riconosciuta) . Insomma si tratterebbe di affermare che i progressisti parlano alla testa e al cuore degli elettori con argomenti persuasivi intelligenti mentre i conservatori parlano alla pancia con argomenti che fanno appelli a minacce, paure e perdita di sicurezza.

Questa ingenua distinzione per fortuna, dopo i disastri (di destra e di sinistra) della seconda guerra mondiale e del secondo Novecento (Stalin, Hitler, Mussolini, Polpot …), non trova più riscontro negli assetti sociopolitici attuali in Occidente. Ormai i politici (conservatori e progressisti, di destra o di sinistra) ammiccano sempre più a una opportunistica forma di populismo col quale annacquano strumentalmente le loro idee più radicali. Dominus di questa forma di governo degli ultimi trent’anni è stato Berlusconi, da poco scomparso, che ha avuto il merito di incarnare lo spirito del tempo (sfrenato individualismo, edonismo, svincolo da ogni forma di regola in nome della libertà individuale) e trasformarlo in un vessillo identitario nel quale molti stentano a non riconoscersi.

Ma i fondamentali universali e innati valori morali di progressisti e conservatori, a meno che non si radicalizzino (come è stato nei regimi totalitari), pur essendo in contraddizione in molti aspetti della società, saranno sempre comunque il punto di riferimento per ogni decisione o schema politico futuro. Facendo tesoro del passato perciò il leader illuminato del futuro sarà chi riuscirà a conciliare, rimescolandoli, questi valori di riferimento adeguandoli e tarandoli ai cambiamenti della società. Perciò, concludendo, la forma ideale di governo non potrà mai esistere. Si potrà immaginare, ma mai prefigurare come paradigma di riferimento universale, in quanto la natura umana con la sua imprevedibile mutevolezza non potrà mai essere imbrigliata senza conseguenze in regole che non tengano in considerazione le sue potenzialità, che nemmeno i progressi civili sono riusciti a prevedere.

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