Cuba e Stati Uniti: sale la tensione

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La fine del mandato presidenziale di Donald Trump non vuole assolutamente passare in sordina. L’ex-Presidente statunitense, che ha accettato con grandi resistenze la sconfitta elettorale da parte dell’avversario Joe Biden, sembra voler lasciare una traccia profonda prima di defilarsi dalla scena politica. O forse sarebbe meglio dire un campo minato.

“Fino al 20 gennaio non si fermerà”, queste sono state le parole di un imprenditore straniero a Cuba. Il riferimento è alla tensione crescente tra gli Stati Uniti e l’Isola caraibica. Gli ultimi mesi sono stati molto caldi: la protesta degli artisti del Movimento di San Isidro ha infatti tenuto alta l’attenzione. A fine novembre, decine di artisti e musicisti cubani si sono riuniti nella sede del collettivo di artisti chiamato Movimento San Isidro (MSI) a L’Avana, nella casa dell’artista e dissidente Luis Manuel Otero Alcántara e hanno dato vita ad un’occupazione e protesta pacifica per l’arresto del rapper Denis Solìs, avvenuto per oltraggio alle autorità. Il governo cubano è intervenuto con lo sgombero e l’arresto di 14 artisti per violazione dei protocolli sanitari stabiliti dalle autorità per il controllo della pandemia di Covid-19. In seguito, il vice-Ministro della Cultura cubano Fernando Rojas ha intavolato una trattativa con il collettivo di San Isidro, che aveva inizialmente portato ad una parvenza di accordo tra le parti. La rivendicazione dei giovani artisti era quella di una maggiore libertà di espressione, ora che l’Isola con l’aumento dell’uso dei social network vede la nascita di numerosi movimenti anti-governativi. La vicenda è piuttosto complessa e ancora piena di luci ed ombre da entrambe le parti. Chi c’è dietro il MSI? Dopo pochi giorni, il 4 dicembre scorso, il governo cubano ha dichiarato l’interruzione di qualsiasi trattativa con gli artisti, in quanto finanziati ed appoggiati logisticamente dal governo degli Stati Uniti e da alcuni suoi funzionari. Le ricerche portano a collegamenti con gli Stati Uniti partendo dai nomi dei capifila della protesta, come Luis Manuel Otero o Denis Solìs, che, secondo il governo cubano, ha confessato di aver ricevuto soldi da un cubano anticastrista residente negli Stati Uniti, José Luis Fernández Figuera, uno dei tanti dissidenti che si definiscono a favore dei diritti umani nell’Isola. Sorprende allo stesso tempo il collegamento e l’appoggio al governo di Donald Trump da parte degli stessi, ma soprattutto una recente dichiarazione di Manuel Otero dove ammette di aver ricevuto dei finanziamenti da parte di alcuni imprenditori anticastristi della Florida per il viaggio a Cuba.

Dunque, una vicenda molto più complessa e spinosa di ciò che può sembrare all’apparenza. Il governo cubano ed in particolare il presidente Miguel Díaz Canel hanno denunciato l’ingerenza degli Stati Uniti nei propri affari interni, parlando di un “blando colpo di stato” che, nel XXI secolo e con le tecnologie sviluppate al giorno d’oggi, non assume più le sembianze di un attacco militare, con un esercito nella Baia dei Porci, ma si avvale di mezzi molto più sottili, come il reclutamento di giovani che creano agitazioni attraverso i social network o attraverso giornalisti dichiaratisi indipendenti, che in realtà sono finanziati da organizzazioni e agenzie statunitensi.

La cosa che ha sorpreso e che continua a far riflettere è che la stessa Unione Europea non è entrata nel merito della vicenda, non ha rilasciato dichiarazioni né condannato ciò che accadeva a Cuba, come invece sta facendo per il governo del vicino Venezuela. É noto infatti che l’Unione Europea ha riallacciato i rapporti con il governo cubano dopo il 2015, soprattutto in seguito al disgelo tra gli Stati Uniti e Cuba, iniziato con la presidenza Obama.

A tal proposito, la tensione continua a salire, in quanto proprio con Obama Cuba era stata eliminata dalla lista dei Paesi sponsor del terrorismo, in cui sono tuttora inseriti Iran, Siria e Corea del Nord. Attualmente, come ha annunciato Mike Pompeo, segretario di stato durante il mandato Trump, il governo statunitense sta valutando di reinserire l’Isola nella “black list”, insieme a Nicaragua e Venezuela. Nel frattempo, il Banco Financiero Internacional, la principale banca cubana, è già stata inserita nella Lista “proibita” da parte del governo statunitense, vietando le transazioni finanziarie con gli enti in essa presenti. Questo provvedimento inasprisce dunque ancor di più l’embargo o “bloqueo” che da più di 62 anni è in vigore sull’Isola. “Questa misura crea una grande difficoltà alle imprese e agli imprenditori, poichè molte banche straniere con cui operiamo ora possono temere di essere sanzionate da Washington”, questo il commento di un imprenditore cubano che da anni lavora sull’Isola.

Sembra dunque che prima dell’arrivo di Joe Biden alla Casa Bianca, il governo uscente di Donald Trump stia facendo di tutto per porre ostacoli sul cammino verso la distensione. Da parte sua, il neoeletto Presidente ha già dichiarato di voler riprendere il percorso iniziato da Barack Obama (sotto il cui mandato fu Vicepresidente) e di eliminare restrizioni e divieti che l’amministrazione Trump aveva intrapreso. Ma di questo avremo ancora modo di parlare.

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