La politica dell’incertezza

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Il Presidente Mattarella segue con apprensione l’evolversi della crisi

Mentre scriviamo non è ancora chiaro se il governo Conte 2 durerà, se ci sarà rimpasto, se si va al voto in Parlamento o altro ancora. L’offensiva del non molto onorevole Renzi rimane comunque un fatto.

Negli ultimi 30 anni in Italia si sono approvate tante e diverse riforme del sistema elettorale unite da un unico minimo comun denominatore: aver affievolito il principio universalistico della libera scelta elettorale impedendo all’elettore di esprimere una preferenza tra i diversi candidati presenti nelle liste, liste rigorosamente definite dai vertici dei partiti e dei gruppi politici. Le riforme elettorali non sono riuscite a rendere meno fluide le maggioranze parlamentari non potendo introdurre “il vincolo di mandato” visto che la nostra Costituzione lo vieta in modo esplicito: il parlamentare eletto deve mantenere un comportamento ed effettuare scelte politiche in piena autonomia e coscienza dovendo dar conto ai suoi singoli elettori e non al partito/gruppo che lo ha selezionato e messo in lista.

Fatte queste premesse ragionare che Renzi e il suo partito hanno solo il 2% dei voti è sbagliato strutturalmente. Questi sono dati che provengono dai sondaggi. Tutti i parlamentari del PD dovrebbero essere considerati, a rigore, in quota Renzi visto che sono stati da lui messi in lista.

In Parlamento, almeno nelle file del PD e di Italia Viva, siedono parlamentari selezionati dal rottamatore quando era segretario del partito. La scissione del PD, la nascita di Italia Viva, sono successive alle elezioni politiche. È bene ricordare che proprio Renzi è stato il promotore dell’alleanza con il M5S/PD permettendo la nascita del Governo Conte 2. Una scelta da subito chiara: riconquistare piena autonomia da un vertice di partito di cui non era più il leader assoluto, tornando ad essere un battitore libero nel Parlamento e nel Paese. Chi oggi lo critica e fa parallelismo con il partito di Bertinotti, che fece cadere il governo Prodi regalando il Paese a Berlusconi e ai suoi alleati, commette un errore. Pur non condividendo, ora come allora, la scelta di Bertinotti, bisogna riconoscere che il suo manipolo di parlamentari aveva conquistato il seggio parlamentare in piena trasparenza. I due gruppi parlamentari del PD e di Italia Viva sono nati e cresciuti sugli scranni parlamentari senza un vero confronto elettorale. In altre parole accusare solo Renzi dell’attuale crisi politica è una scorciatoia troppo semplice per chi ha invece ben altre responsabilità come aver scelto i ministri che lo rappresentavano nella compagine di Governo. Il Pd ha nominato come capodelegazione il ministro Franceschini, forse il più strutturalmente renziano dei parlamentari. Tra Franceschini e Renzi i punti di convergenza sono tanti e non a caso il buon Franceschini “sgoverna” il Ministero per i beni culturali ormai da sei anni in perfetta continuità con quanto fece quando a palazzo Chigi sedevano prima Renzi e poi Gentiloni. Anche la comune origine democristiana, quella della peggiore tradizione che governava il Paese con i suoi esponenti messi nei punti chiave delle pubbliche amministrazioni, è un dato in comune tra i due. Che dire poi del Ministro dell’università della ricerca, l’ex rettore della Federico II di Napoli, Gaetano Manfredi, incarnazione del baronato rosé che ha contribuito a far perdere di peso e rilevanza nazionale ed internazionale al sistema universitario italiano trasformato ormai in un pot-pourrì di università di provincia utile solo a distribuire il potere tra le solite “famiglie”. Questo sul fronte PD.

Il M5S non si è mai veramente ripreso dagli effetti devastanti dell’abbraccio con la lega di Salvini. In eterna crisi interna, di leadership e di idee. Sembra che il movimento abbia esaurito tutte le sue cartucce una volta approvato il reddito di cittadinanza. Sul piano delle relazioni internazionali il lavoro lo ha svolto il presidente del Consiglio e il ministro Di Maio continua a vestire i panni dell’ultimo venuto.

Sui punti critici del governo del Paese poco o nulla si sente e si dice. Soldi, tanti soldi, questo si chiede ma nessuno ha il coraggio, nei due principali partiti della coalizione, di dire a cosa dovranno servire.

Sono i tecnici che stanno elaborando proposte per utilizzare i fondi per riformare le pubbliche amministrazioni ma non vengono chiarite, da parte della politica, quali devono essere gli indirizzi, gli obiettivi cui mirare.

Al sistema previdenziale si stanno ancora una volta assegnando compiti impropri, caricando, organizzativamente e finanziariamente, ancora una volta, l’INPS di compiti che non dovrebbero essere i suoi: l’Istituto previdenziale nazionale dovrebbe occuparsi di recuperare e gestire i tanti contributi previdenziali ed erogare le pensioni.

Siamo convinti che, quando decisero la distribuzione dei ministeri, la scelta di assegnare al ministro Speranza, del piccolo partito di Bersani, il Ministero per la Salute, la scelta fu guidata da criteri poi saltati: non c’erano soldi da gestire e il sistema era fortemente in mano alle Regioni e quindi quello di Speranza sarebbe stato un ruolo di secondo piano. Poi la pandemia ha cambiato tutto.

Ma da PD e M5S nessuna vera proposta di riforma e di ridefinizione delle competenze tra centro e periferia, tra Stato e Regioni. Nessuno si pronuncia sulla medicina territoriale, sulla prevenzione, sulla formazione e sul reclutamento del personale. Al ministro Manfredi, in quota PD, si era chiesto un intervento sul sistema formativo delle professioni sanitarie. La scelta di Speranza di aumentare i posti disponibili per gli specializzandi ha rischiato e rischia di impantanarsi sulle inefficienze ormai acclamate delle strutture universitarie, delle scuole di specializzazione e, nonostante si sia anticipata l’entrata in vigore di alcune norme come quella che rende un giovane laureato in medicina automaticamente autorizzato ad esercitare la professione, la carenza di medici e infermieri non è stata risolta come non è stato risolto, o avviato a risoluzione, il problema del divario tecnico, organizzativo, economico e sociale tra Nord e Sud.

È vero Renzi, con tutta la sua strutturale ambiguità, è il responsabile di questa crisi politica nella maggioranza di governo. Ma gli altri dove sono e cosa fanno? Chi non ha peccato scagli la prima pietra.

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