Trasformismo all’orizzonte

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L’interno di Palazzo Montecitorio a Roma, sede della Camera dei Deputati (Fonte: wikimedia)

Superata la formalità del referendum, il taglio dei parlamentari è ormai definitivo, salvo ulteriori possibili proposte di superamento del bicameralismo, come quella preannunciata da Luciano Violante (PD). Considerato che la riforma elettorale, legata indissolubilmente al taglio dei parlamentari, si dirige verso il proporzionale, è ragionevole prevedere che si assisterà ad una corsa al riposizionamento dei partiti. Infatti, scartato opportunisticamente l’indirizzo maggioritario, perfettamente confacente alla facilità con cui la destra conclude tradizionalmente le più spregiudicate alleanze, ben diversamente dai miserevoli distinguo che assillano la sinistra, il proporzionalismo spalanca le porte alla frammentazione dei partiti. Proprio per ridurne gli eccessi sarà prevista una soglia di ingresso alla rappresentanza parlamentare, al momento fissata al 4%.

Ma vediamo di prefigurare quali strade potrà prendere questa ricollocazione. Percorrendo, a partire da sinistra, l’intero arco parlamentare, si porrà il problema dei fuoriusciti di LEU e dintorni, che potrebbero rientrare nel PD per evitare il rischio di non superare la soglia, sempre che Renzi continui a restarne fuori, perché non sarebbe ammissibile per Bersani e soci la riedizione di una coesistenza già rivelatasi inaccettabile. Per la Bonino e i suoi sodali ci asteniamo rispettosamente dal fare previsioni: amano la solitudine. Così come correranno da soli i visionari di Potere al Popolo.

I Cinque Stelle sono un grosso punto interrogativo. Vedremo nei prossimi mesi, se non addirittura nelle prossime settimane, se ci sarà una scissione, che potrebbe rivelarsi fatale per il governo, o se, liberatisi di Di Battista, Casaleggio e i loro adepti, decideranno di accedere a qualche forma di alleanza col PD: sempre che, mantenendo l’unità interna, non prevalga la tentazione di giocarsela da soli con buone speranze di superare lo sbarramento e di collocarsi al centro dell’arco parlamentare continuando comodamente ad essere né di sinistra, né di destra e, perché no, nemmeno di centro: insomma un partito distopico.

È superfluo ricordare che col sistema proporzionale il centro diventa la posizione più ambita perché promuove chi lo occupa al rango di “ago della bilancia” (Craxi docet) ed è quindi là che il trasformismo italico darà il meglio di sé. “Italia Viva” di Renzi, “Azione” di Calenda e “Forza Italia” si annunciano come i protagonisti delle manovre cui assisteremo. Un drappello di forzisti si va infatti preparando da un pezzo, capeggiato dalla nostra corregionale Carfagna, degna di un minimo di rispetto per aver assunto talvolta posizioni distinte dal codazzo dei cortigiani di Berlusconi. Allarma ovviamente la presenza nel gruppo di personaggi che, senza fare nomi, avremmo preferito dimenticare. E non stiamo parlando di quel pacioccone di Tajani col quale forse andremmo anche a cena ma che si candida anche lui alla guida di questa allegra brigata di transfughi, insidiato, prevedibilmente, dal presidente confermato della Liguria, Toti. Lo scopo è sempre quello di collocarsi al centro ma, a causa della stramaledetta soglia, sarà forse necessario confluire verso Renzi e Calenda andando ad aggiungere confusione in quello che già si prospetta come uno scontro sanguinoso.

Ma la trasformazione più radicale potrebbe riguardare la Lega post-salviniana che, rinunciando a diventare un partito a diffusione nazionale, tornerà su posizioni autonomiste e magari europeiste mandando in soffitta Salvini, Putin, Trump, Lukashenko, Orban e tutti gli altri ispiratori della dissennata carriera politica dell’ex ministro dell’interno. Sarà interessante sapere in questo caso quale potrà essere il comportamento di Forza Italia (o di quel che ne resta dopo la fuoriuscita di Carfagna, che mai si batterebbe per l’autonomia del Nord tornata al centro del programma politico della nuova Lega). Questo quadro ipotetico ma non improbabile vedrebbe finalmente Fratelli d’Italia ricacciati all’estrema destra, come è giusto che sia, portando a conclusione quello sciagurato ciclo berlusconiano iniziato con lo sdoganamento di “Alleanza Nazionale” e della “Lega Nord” nel 1994.

Intenerisce, si fa per dire, la solitudine alla quale sembrano condannati gli eventuali fuoriusciti dai Cinque Stelle che sotto la guida di Di Battista si dirigevano verso Salvini ma, non trovandolo, avranno la sola alternativa di passare alle dipendenze della Meloni, se non vorranno sparire dalla scena. Senza poter escludere altri possibili scenari, questo sembra abbastanza verosimile. Ma in ogni caso bagliori di trasformismo lampeggiano all’orizzonte.

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