LE PAROLE SONO IMPORTANTI

tempo di lettura: 3 minuti
Fonte: www.unsplash.com

“Chi parla male, pensa male e vive male. Bisogna trovare le parole giuste: le parole sono importanti.” È una famosa frase del film Palombella Rossa di Nanni Moretti. Quando parliamo di genere, le parole non sono solo importanti. Sono fondamentali. Lo stesso movimento femminista ha declinato la parità di genere in diversi modi: c’è chi la vede come una risposta al maschilismo e al patriarcato e chi invece pensa che proprio questa cultura dell’opposto abbia generato una polarizzazione nei rapporti di genere, insistendo sull’uguaglianza. Ma uguaglianza e parità sono due cose diverse.

Non vorrei avere un punto di vista “di parte” in quanto donna. Vorrei anzi che tutti, donne e uomini, riflettessimo su comportamenti sociali che abbiamo interiorizzato nel corso della storia. Esistono infatti numerosi fenomeni che fanno parte della prassi sociale a cui dovremmo prestare maggiore attenzione. Uno di questi è ad esempio il fenomeno del mansplaining, termine coniato dalla scrittrice statunitense Rebecca Solnit, che si riferisce a quell’inclinazione paternalistica degli uomini nello spiegare alle donne cose che loro stesse conoscono in profondità, essendo spesso esperte in un determinato settore. Dunque si dà per scontato che siano meno preparate. Altri fenomeni sono ad esempio il catcalling, ossia le molestie verbali, consistenti in commenti o gesti di cattivo gusto, rivolti alle donne per strada, o la gender fatigue, ossia la difficoltà a costruire un ambiente di lavoro che sia neutrale rispetto al genere, poiché la discriminazione, anche dal punto di vista remunerativo, continua ad esistere.

La riflessione però può essere spinta oltre, chiedendosi qual è lo stato dei diritti delle donne nel mondo. Se guardiamo al nostro Paese, il massimo a cui possiamo aspirare sono le quote rosa, che sono poi il contrario della parità di genere. Il problema infatti non risiede solo nella consistenza della rappresentanza femminile, ma soprattutto nei modi ancora legati al patriarcato con cui si trattano le donne e della rilevanza a loro data nel contesto politico e sociale.

Se spostiamo lo sguardo oltreoceano, ha fatto scalpore il caso della parlamentare statunitense Alexandria Ocasio-Cortez, apostrofata dal suo avversario politico Ted Yoho come “fucking bitch”. La parlamentare di origini portoricane a soli 29 anni è la più giovane parlamentare donna nella storia statunitense. Alexandria è una donna mulatta, il peggio del peggio per la retrograda mentalità maschilista di parte dei repubblicani statunitensi. Ebbene, dopo le scuse del suo avversario politico, Ocasio-Cortez ha tenuto un duro intervento in Parlamento in cui non ha giustificato il collega per le parole utilizzate: “Non posso lasciar andare. Tutte noi abbiamo dovuto affrontare questo in un certo momento della nostra vita. Ho servito ai tavoli nei ristoranti, ho preso la metro e questo tipo di linguaggio non mi è nuovo. Non è una novità per me ed è questo il problema. È culturale, è una cultura di impunità, di accettazione, di violenza e dipende dalla struttura di potere che la sostiene. Non potevo permettere alle mie nipoti, alle bambine, alle vittime di abusi verbali di vedere le scuse e accettarle come legittime. Il problema è il fatto di usare le donne come scudi e scuse per comportamenti scorretti. Sono qui anche per mostrare ai miei genitori che sono loro figlia e che non mi hanno cresciuta affinché accettassi abusi dagli uomini. Avere una moglie o una figlia non ti rende una persona per bene. Trattare le persone con dignità e rispetto rende un uomo una persona per bene“. Queste sono state le sue dure parole, dopo le quali ha invitato le sue colleghe di partito a raccontare e condividere storie di molestie e maltrattamenti subiti, cosa che ha trovato subito riscontro, con ben 13 denunce.

Ci si dovrebbe dunque concentrare sull’intelligenza emotiva, nel senso latino del termine: comprendere, intendere le emozioni altrui e creare rapporti sociali basati sull’empatia e sulla parità. Serve una rivoluzione che parta dal linguaggio per arrivare ai comportamenti. Una rivoluzione che parta dalla scuola, dall’educazione primaria e dalla famiglia, i primi contesti in cui un bambino o un giovane sono inseriti. Lo stereotipo di genere purtroppo è solo una delle dolenti note della nostra società contemporanea, insieme all’aumento della xenofobia, ad una dilagante cultura razzista e all’emergere di movimenti antidemocratici. Ma proprio in questo contesto serve con forza un cambio di rotta, che parta dalle parole e che non lasci spazio all’accomodamento e all’impunità. Dal linguaggio germogliano i semi dell’abuso e della violenza. Le parole sono una scelta, ed è buffo come spesso proprio loro tolgano la voce.

Rispondi

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Torna in alto