Un virus divisivo

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Immagine di coronavirus (Fonte: Wikipedia)

Non ci sono limiti alla capacità che alcuni organi di stampa manifestano nel sovvertire cinicamente la realtà delle cose. L’ultimo caso è non solo emblematico ma anche allarmante perché ci induce a pensare che queste falsificazioni non si fermino davanti a nulla. I fatti sono questi: Briatore, dopo aver villanamente protestato contro tutte le limitazioni imposte dal Governo a tutti i luoghi di svago e segnatamente alle discoteche, si becca il Covid-19 insieme a numerosi dipendenti ed avventori del mitico Billionaire. Possiamo immaginare la faccia di Briatore di fronte a questa figuraccia colossale. Ed infatti un timido tentativo di nasconderla viene messo in atto, ma la notizia trapela e il nostro va a ricoverarsi all’ospedale “San Raffaele” di Milano. Qualche sera dopo, la sua amica e consocia nella proprietà del Billionaire, senatrice Daniela Santanchè, in TV chiarisce ai malpensanti che il multiforme Briatore si è ricoverato per una banalissima infiammazione alla prostata. E la cosa avrebbe fatto semplicemente sorridere o al massimo ghignare, come ha fatto il sempre eccessivo ma pertinente De Luca, che comunque gli ha augurato su Facebook di guarire rapidamente dalla sua “prostatite ai polmoni”. Inutile aggiungere che alla fine tutta questa manfrina evapora perché si riconosce la presenza del Covid-19 con buona pace della prostatite nonché di Briatore, della Santanchè e di tutti quelli che vi hanno allegramente preso parte.

Ma la cosa non finisce qui. Se si facesse finire qui, resterebbero agli atti le figuracce dei protagonisti ma anche un certo discredito nell’entourage politico, economico e finanziario che li circonda, manifestamente portato a minimizzare e talvolta a ridicolizzare il timore del contagio. E ciò non tanto perché al “San Raffaele” Briatore è stato ricoverato nel reparto del prof. Zangrillo, medico personale, come tutti sanno, di Berlusconi, poi contagiato a sua volta, ma perché il primario del reparto anestesia e rianimazione del “San Raffaele” è tra quelli che mettono da qualche tempo in discussione la pericolosità del Covid-19, come Sgarbi, Salvini e numerosi altri esponenti dell’opposizione al governo Conte. Zangrillo, in particolare, si era esposto più volte dagli schermi televisivi in una critica abbastanza supponente e non certo garbata, ai virologi, infettivologi e specialisti vari del Comitato Tecnico Scientifico o con esso solidali. Tra questi il professor Galli, che si era nettamente schierato a favore di rigidi criteri di sicurezza sin dal primo apparire del Covid-19 e poi nel corso di numerosi interventi televisivi.

Ora, si dà il caso che, mentre Zangrillo rappresenta un po’ la punta di diamante della sanità lombarda privata, Galli sia primario dell’ospedale “L. Sacco”, un ente pubblico vigilato che fa parte dell’Azienda socio-sanitaria territoriale della regione Lombardia e quindi della sanità pubblica. Ed è noto a tutti quanta parte di responsabilità nel terribile impatto che la pandemia ha avuto in quella Regione sia stata imputata alla condizione in cui è stata ridotta lì la sanità per fare spazio a quella privata che ovviamente poco o nulla si è interessata dell’organizzazione sul territorio della medicina di base. Solo per rinfrescare la memoria, Formigoni è stato condannato per corruzione avendo favorito con delibere pilotate la sanità privata (Gruppo Mauceri ma anche San Raffaele) creando un danno alla sanità pubblica valutato da alcuni in 60 miliardi di euro (fonte Wikipedia): d’altra parte la sanità privata è da decenni un business più che appetibile, basti pensare a Ligresti e, più di recente, ad Angelucci.

Nella triste vicenda della pandemia parallelamente alla sanità privata è stata messa in discussione anche la gestione sanitaria della Regione Lombardia caduta sotto la lente della magistratura, che ha aperto numerose inchieste, una delle quali riguarda il presidente Fontana.

Insomma la destra lombarda e tutto il sistema che le ruota intorno attraversano un brutto momento ed hanno quindi bisogno di un immediato soccorso in vista delle imminenti elezioni. E chi può offrirlo se non le truppe cammellate della stampa di destra? Il direttore di “Libero”, Pietro Sinaldi, che ormai conosciamo bene per una presenza quasi quotidiana sugli schermi televisivi, pubblica il 1° settembre un editoriale in prima pagina nel quale il prof. Galli viene accusato di fare politica (leggi: di collaborazionismo col Governo) nelle sue eccessive apparizioni televisive. È il prezzo che Galli deve pagare per aver contrastato il minimalismo rassicurante del prof. Zangrillo: se fa politica, come insinua Sinaldi, le sue tesi sono poco attendibili perché funzionali alla sua posizione politica. D’altra parte nello stesso editoriale i sospetti vengono estesi anche ad altri esponenti della sanità pubblica lombarda come il prof. Crisanti, reo dello stesso infondato allarmismo, mentre il caso del prof. Lopalco rappresenta la base su cui poggia tutta l’imbastitura giornalistica perché realmente candidato in Puglia con Emiliano. Insomma è iniziata una campagna denigratoria nei confronti di quei docenti e primari di ospedali pubblici che hanno di fatto sbugiardato Briatore, Santanchè, Zangrillo ma anche Salvini, Sgarbi e tutti quelli che se ne fregano della mascherina. Ci domandiamo a questo punto se l’ottimo Sinaldi sia stipendiato per dirigere un quotidiano o per screditare tutti gli avversari della destra. Del resto la delegittimazione dell’avversario è una costante dei media controllati direttamente o indirettamente da Berlusconi e poi dalla Lega; come dimenticare il caso del giudice Raimondo Mesiano: dieci anni fa all’indomani di una sentenza che condannava la Fininvest, in mancanza di punti deboli nella sua vita privata e professionale, quel magistrato fu oggetto di attenzione da parte di uno zelante conduttore di trasmissione Mediaset per il colore “strano” dei suoi calzini, che rivelava a suo avviso un soggetto dal quale non ci si poteva attendere un giudizio imparziale.

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