Il controllo nei sistemi sociali settari*

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Per operare efficacemente, un sistema settario deve osservare e regolare le azioni dei suoi componenti, al fine di garantire che le loro attività siano adeguatamente eseguite e coordinate. Ciò costituisce la sua funzione di controllo. Tale controllo è fondamentale per ogni sistema al fine di garantire l’efficace attuazione del suo compito primario: il sistema deve avere un apparato per controllare i propri componenti. Infatti è proprio grazie all’efficacia del controllo all’interno di un gruppo settario che anche il più bizzarro rovesciamento di prospettiva della realtà dei fatti può essere accettato senza discutere.

Espedienti tipici, adoperati da molti gruppi settari, per esercitare il proprio controllo sono una burocrazia impersonale, una dittatura impersonale sul gusto (scelte musicali, passatempi, film, letture …), e una gran quantità di fonti normative impersonali. A proposito del ricorso al controllo attraverso un apparato burocratico impersonale, R.V. Franz ha osservato: «È il concetto di “organizzazione” che provoca tutto ciò. Esso genera la convinzione che, in tutto e per tutto, qualsiasi cosa dica l’organizzazione, è come se Dio stesso stesse parlando. … sono, in effetti, prigionieri di un concetto. Il concetto o immagine mentale che essi hanno della “organizzazione” sembra quasi che assuma una propria corporeità, sicché lo stesso concetto li controlla, li stimola o li frena, plasmando il loro pensiero, le loro attitudini, i loro giudizi. … l’adozione dell’attuale concetto di “organizzazione” altera radicalmente il loro modo di pensare e le loro opinioni, diventa in effetti la forza dominante, che esercita il controllo».

Queste difese psicologiche proteggono la “cultura” del gruppo da idee inaccettabili, anche se si tratta di “verità” prodotte dallo stesso movimento ma ritenute sorpassate: tali “verità” vengono spesso ignorate in blocco negandole, dimenticandole attraverso la rimozione o distorcendole attraverso la razionalizzazione. Il palese fallimento di tali “verità” obsolete viene negato perché espone i vertici del gruppo a dubbi e causa demoralizzazione, pertanto i fatti e le dichiarazioni ufficiali vengono efficacemente manipolati per mantenere la stabilità interna del gruppo.

In un gruppo settario anche il ricorso a concetti e a espressioni gergali speciali può contribuire, consciamente o inconsciamente, a isolare e tenere separato chi è affiliato da chi non lo è; infatti la lingua viene adoperata per definire, o meglio ridefinire, la realtà. Inevitabile è il rimando all’opera di George Orwell, 1984, il quale, in una splendida, pur se forse involontaria analogia con i movimenti settari, spiega la funzione della “neolingua” in un sistema chiuso come quello dei gruppi settari. In un dialogo contenuto nella parte iniziale del libro, al protagonista, Winston, viene così spiegata la necessità della neolingua: «Non ti accorgi che il principale intento della neolingua consiste proprio nel semplificare al massimo le possibilità del pensiero? Giunti che saremo alla fine, renderemo il delitto di pensiero, ovvero lo psicoreato, del tutto impossibile perché non ci saranno più parole per esprimerlo … Tutta la letteratura del passato sarà completamento distrutta. Chaucer, Shakespeare, Milton, Byron … esisteranno solo in neolingua … Come si potrà avere uno slogan, per esempio, come “la libertà è schiavitù” quando il concetto stesso di libertà sarà del tutto abolito? Lo stesso clima del pensiero sarà diverso. Infatti non ci sarà il pensiero così come lo intendiamo oggi. Ortodossia significa non pensare, non aver bisogno di pensare. L’ortodossia è non conoscenza». Troviamo esemplificato, in forma letteraria, il concetto della estrema pericolosità del pensiero critico indipendente, e che esprime drammaticamente l’obiettivo finale cui si perviene all’interno di molti di questi movimenti: l’abolizione del pensiero “così come lo intendiamo oggi”.

È chiaro che in un sistema sociale il controllo viene effettuato più facilmente quando esiste una collaborazione volontaria fra chi esercita tale controllo e chi viene guidato; infatti è meglio se i controllati accettano la guida senza decisione cosciente e, dato che il meccanismo difensivo d’identificazione opera in maniera inconscia, quelli che adottano gli atteggiamenti dei loro capi lo fanno senza riflettere sulla saggezza delle proprie azioni. I controlli interiori si creano soprattutto sulla base di rapporti personali, e non solo per obbedienza alle esigenze del gruppo; gli adepti possono interiorizzarli quando si identificano con conservi che amano, rispettano o ammirano, persone che hanno fatto proprie queste esigenze.

Un esempio chiarirà meglio gli eccessi cui può condurre il meccanismo di identificazione quando la sicurezza e il benessere personali sono messi a repentaglio dalla dirigenza di un gruppo settario: la cosiddetta “sindrome di Stoccolma”. Quest’ultima si manifesta quando delle persone sono ostaggi e la loro vita è seriamente minacciata; tali prigionieri possono sviluppare un legame “positivo” con i loro carcerieri, non solo aderendo alle aspettative di costoro, ma difendendoli addirittura da chi cerca di realizzare una via di scampo e la liberazione degli stessi ostaggi. Gli esperti ritengono che questo fenomeno possa essere un’esagerata espressione di identificazione con l’aggressore, un meccanismo di difesa psicologica, cioè una strategia di adattamento avente lo scopo di aiutare il soggetto a fronteggiare un conflitto mentale irrisolto. Nella “sindrome di Stoccolma” l’ostaggio deve evitare la minaccia di pericolo fisico ma, nello stesso tempo, guadagnarsi il “sostegno” della stessa persona che rappresenta la minaccia: implicitamente spera che con l’accondiscendenza egli possa guadagnarsi la protezione dell’aggressore; come altre difese psicologiche, questa sembra irrazionale, tuttavia rappresenta forse il miglior mezzo con il quale la persona può rispondere a una situazione emozionalmente insostenibile.

Particolarmente interessante è il confronto tra la situazione descritta come “sindrome di Stoccolma” e il processo di controllo nei gruppi settari. In entrambi i contesti l’identificazione sembra paradossale dal punto di vista dell’osservatore esterno giacché le persone “sottomesse” collaborano attivamente con chi dirige attività percepite dall’estraneo come conflittuali con gli interessi delle persone coinvolte, le quali conservano una tenace fedeltà a individui che obiettivamente minacciano il loro benessere. Come osserva Marc Galanter, «La situazione di culto e quella di ostaggio condividono l’effetto di pinza psicologica …: chi infligge angoscia alla persona dipendente viene anche percepito come colui che può dare sollievo. Così si esercita pressione sugli angosciati perché si conformino a chi, in sostanza, è considerato il solo capace di dare sollievo. … L’identificazione con l’aggressore è qui pertinente dato che ci aiuta a meglio comprendere il processo di controllo nei gruppi carismatici. I membri di questi gruppi subiscono spesso l’efficace aggressione dei loro leader. La società circostante ritiene unanimemente che essi siano costretti a partecipare ad attività sgradevoli e talvolta siano vittime di abusi. Ciò nonostante, hanno il bisogno psicologico di conservare l’affiliazione con il leader e il gruppo, essendo prigionieri in virtù dell’effetto pinza che fa dipendere il loro benessere emozionale dal coinvolgimento nel gruppo, proprio quello che infligge angoscia. In un certo senso non hanno altra scelta se non rappacificarsi inconsciamente con il programma di attività, potenzialmente minaccioso, della dirigenza e uniformarsi alle aspettative per ottenere sollievo emozionale».

Come viene repressa l’autonomia in un gruppo settario? Innanzitutto è estremamente improbabile che, nel contatto con un attento osservatore esterno, gli adepti esprimano esplicite riserve sull’ideologia e sulla storia del gruppo; tale titubanza nasce più dal senso di colpa causato dal timore di danneggiare seriamente la “missione” del gruppo, che dalla paura di suscitare disapprovazione. Non è raro osservare che certi adepti soffrono di angoscia ogni volta che pensano negativamente alla loro affiliazione. La punizione per chi devia dalle norme del gruppo è l’angoscia psicologica, cioè una diminuzione del benessere psichico che colpisce chi si sente meno strettamente attratto dal gruppo; da ciò si comprende perché una significativa parte di reduci dai gruppi settari denuncia l’insorgere di problemi emotivi, anche seri, nel periodo immediatamente successivo al loro allontanamento: si può diventare ansiosi e depressi, rimuginando su possibili contaminazioni sataniche. Anche l’esplicito ostracismo, comminato a chi apostata, provoca una forte paura dalla quale il reduce non sfugge a causa di un profondo e prolungato vincolo emozionale.

* Tratto da S. Pollina – A. Aveta, Movimenti religiosi alternativi, LEV – Città del Vaticano 1998

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