Archeologia e Bibbia: Figli d’Israele nella terra del Gosen

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Statua del re Sobekemsaf (Fonte: https://www.worldhistory.org/image/5382/)

Giacobbe stava vivendo il momento più bello della sua vita. La gioia di ritrovare vivo suo figlio Giuseppe era stata incontenibile. Inoltre, sembrava essere giunto per lui il momento di poter trascorrere il resto della sua vita in piena serenità. La terra del Gosen, che gli era stata destinata dal faraone, era una regione molto fertile che si trovava tra il ramo più a oriente del delta del Nilo e i Laghi Amari. Un papiro risalente alla XII dinastia chiama questa terra o Qosem. L’abbondante irrigazione di cui poteva usufruire offriva la possibilità di coltivare su un ottimo terreno e di permettere alle mandrie di avere a propria disposizione grandi pascoli.

La famiglia si era nuovamente riunita. Anche Giuseppe aveva deciso di trascorrere i suoi giorni futuri vicino al padre, trasferendosi così ad Eliopoli. Il secondo libro della Bibbia, il libro dell’Esodo, si apre proprio narrando il periodo fiorente che la famiglia di Giuseppe stava vivendo in quel momento.

Con il passare del tempo gli Ebrei presero ad integrarsi sempre di più con i loro vicini egizi. Impararono a seguire i tempi in cui il Nilo, straripando, finiva per inondare la terra e ad aspettare che le acque, ritirandosi, rendessero i campi fertilizzati dai nitrati. La terra donava loro datteri, frutta, lenticchie, fagioli e cavoli. Il farro e l’orzo permettevano di produrre pane e birra. Potevano mangiare carne e pesce regolarmente, grazie alle ricche foreste e agli innumerevoli corsi d’acqua da cui erano circondati. Tracce di tale abbondanza si ritrovano tra gli scritti di un autore del XIII secolo di nome Pai-Bes, e nei dipinti della tomba di Nebamun, datati intorno al 1356 a.C.

Furono diciassette anni felici. Quando infine Giacobbe morì, Giuseppe diede disposizioni per farlo imbalsamare alla maniera egizia e, per rispettare la sua volontà, ordinò che il suo corpo fosse riportato a Hebron, per essere sepolto accanto ad Isacco, suo padre, e a suo nonno Abramo, nella grotta di Macpela.

Intanto, qualcosa di grave stava cominciando ad accadere nella zona dell’Alto Egitto. Avvenimenti che, in seguito, avrebbero avuto una serie di importanti ripercussioni sui discendenti ebrei di Giacobbe e Giuseppe.

La XVII dinastia si ritrovò ad affrontare degli invasori provenienti dal Regno di Kush, i quali conquistarono una serie di possedimenti coloniali in Nubia (l’attuale Sudan). Il territorio, inoltre, fu invaso anche dalla dinastia di Abydos, che governò la regione tra il 1640 e il 1600 a.C. Nel 2014 fu riportata alla luce la tomba di re Seneb Kay, quarto ed ultimo sovrano di questa misteriosa dinastia.

Il periodo difficile in cui versava l’Alto Egitto è reso evidente anche da alcuni ritrovamenti archeologici. Ad esempio, la statua del re Sobekemsaf II, risalente al 1570 a.C., mostra i segni di una rozza esecuzione, decisamente lontana dalla maestria degli artisti del Medio Regno. Sul retro del trono è presente l’immagine di Ipi, la dea ippopotamo. Il papiro Sallier I racconta che la guerra tra Nord e Sud, quindi tra i re di Avaris e Tebe, fu causata proprio da un ippopotamo appartenente al re Seqenenra.

Il forte ruggito dell’animale impediva all’ambasciatore di re Apepi, residente alla corte di Tebe, di dormire. Questi, indispettito, si ribellò, sporgendo un reclamo. Il re Seqenenra, offeso da questo gesto, convocò con urgenza un consiglio di guerra. Poco dopo la flotta navale di Tebe salpò per la battaglia.

Il corpo mummificato di re Seqenenra, ritrovato nel 1881 nelle vicinanze di Deir el-Bahari, mostra sul volto i segni della violenza subita a colpi di spada e lancia. La guerra proseguì anche dopo il suo regno. Re Ahmose I, della XVIII dinastia, sconfisse gli Hyksos nel nord, conquistando la città di Avaris.

Nel 2012 gli scavi di Tell el-Dahba portarono alla luce sedici mani mozzate. La spiegazione al macabro ritrovamento è risultata chiara grazie a un’iscrizione rinvenuta nella tomba di Ahmose. Qui si racconta che, al termine di ogni battaglia contro gli Hyksos, i soldati usavano portare al re la mano destra mozzata del loro nemico, in modo tale da essere premiati con “l’oro del valore”. Da un resoconto del capitano di una galea tebana, sembra che questo fosse il modo con cui gli Egizi contavano il numero dei nemici uccisi.

Come abbiamo detto, l’invasione tebana ebbe degli effetti notevoli sugli abitanti del delta del Nilo e, di conseguenza, sui discendenti di Giacobbe e Giuseppe che per quasi un secolo si erano sentiti al sicuro nel territorio paradisiaco del Gosen.      

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