Cinghiali, che fare?

tempo di lettura: 3 minuti

Vaste aree del Parco nazionale dell’Appennino lucano, del Parco nazionale del Pollino e del Parco nazionale del Cilento, Vallo di Diano e Alburni stanno affrontando da tempo una crescente emergenza legata alla proliferazione dei cinghiali e al conseguente diffondersi dell’infezione virale nota come “peste suina africana”. La notizia è stata rilanciata in questi giorni dallo Studio Legale – Associato Vizzino, un pool di professionisti attenti a fenomeni di rilevanza sociale presenti nel territorio sia regionale che nazionale.

In una petizione rivolta ai competenti enti nazionali e regionali, ai quali compete affrontare il fenomeno, il citato Studio legale ha segnalato che, secondo recenti stime dell’ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale), i cinghiali nel nostro Paese sarebbero 2,3 milioni, vale a dire un cinghiale ogni 26 abitanti circa, che mettono a rischio la salute e la sicurezza degli italiani con un incidente ogni 41 ore causato dalla fauna selvatica.

Non marginali sono gli impatti sulla flora e sulla fauna: infatti, la presenza e la proliferazione di cinghiali hanno causato danni significativi all’ambiente paesaggistico della Calabria; questi animali, com’è noto, si nutrono di radici, tuberi, funghi e vegetazione, distruggendo le coltivazioni agricole e depredando le risorse alimentari di altre specie animali. Ciò comporta un impatto negativo sulla biodiversità locale, minacciando la sopravvivenza di piante e animali che dipendono da determinati habitat. Con particolare riferimento all’area calabro-lucana, si segnalano ripercussioni sull’economia locale: nei comuni di Viggianello, San Severino Lucano, Terranova di Pollino, Mormanno e Rotonda sono state danneggiate e rese immangiabili diverse coltivazioni di lamponi, mirtilli, rovi, olivelli spinosi, fragoline di bosco, nonché molteplici tipologie di funghi, tra i quali i cosiddetti “gallinacci”, configurando tra l’altro anche un grosso danno all’economia per i venditori locali, le cui attività si basano sostanzialmente su tali coltivazioni.

Secondo l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA), «la peste suina africana (PSA) è una malattia virale dei suini e cinghiali selvatici che causa un’elevata mortalità negli animali da essa infettati. Il virus che la provoca, innocuo per l’uomo, genera notevoli disagi socio-economici in molti Paesi.» Quindi sono alti i rischi per l’industria suinicola e l’eventuale trasmissione dell’infezione ad animali domestici.

La petizione promossa dallo Studio Legale Associato Vizzino è rivolta ai sindaci delle aree interessate affinché, nella loro qualità di autorità sanitaria locale, adottino idonee misure per scongiurare il verificarsi di ulteriori disastri sanitari; tra l’altro si chiede “di adottare idonei provvedimenti per la tutela della persona nelle zone montane di riferimento; di attivarsi per realizzare una fitta rete di controlli concreti, posti a difesa della fauna selvatica; di avviare programmi di protezione ambientale utili all’incremento delle specie selvatiche della zona; di mettere in atto tutti i metodi (es. barriere, strumenti di ostacolo, intralcio al passaggio…) atti alla protezione e idonei ad ostruire il passaggio e il massacro delle biodiversità nelle aree protette; di intraprendere in collegamento con gli esponenti delle singole comunità montane specifici programmi atti alla ripresa delle specie selvatiche in via di estinzione nonché quelli di produzione locale; di attuare un piano di regolamentazione dell’attività della vendita della carne di cinghiale, sanzionando le sagre illegali e lo smistamento non dichiarato”. Più concretamente, con la predetta petizione si chiede:

– l’estensione dei poteri dei sindaci in tema di abbattimento di tale specie, in virtù di una tutela effettiva per l’interesse sanitario collettivo;

– l’adozione di politiche di protezione delle colture agricole: gli agricoltori dovrebbero essere supportati nella protezione delle loro colture attraverso l’installazione di recinzioni adeguate e l’utilizzo di dissuasori per tenere i cinghiali lontani dalle zone agricole; potrebbero essere esplorate soluzioni innovative come l’utilizzo di dispositivi di allarme o repellenti naturali per scoraggiare l’accesso dei cinghiali;

– l’avvio di un iter legislativo per la realizzazione di una legge, espressione di una volontà popolare, che regoli l’abbattimento – nel numero e nelle modalità di esecuzione – e la conseguente macellazione delle carni.

Va da sé che è propedeutica una effettiva collaborazione tra le istituzioni: solo una sinergia tra le istituzioni locali, gli enti governativi, gli agricoltori e gli esperti del settore può consentire lo sviluppo di piani di gestione integrata che affrontino il problema dell’ingombrante presenza dei cinghiali in modo coordinato. Questa collaborazione dovrebbe prevedere l’allocazione di risorse finanziarie e umane adeguate a implementare le soluzioni proposte.

Rispondi

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Torna in alto