Il diario dell’inquietudine: 28 gennaio 2022

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Difficile allontanare le conversazioni familiari dallo psicodramma che gli italiani attraversano da qualche settimana seguendo la vicenda delle elezioni del nuovo capo dello stato. Non ci riferiamo naturalmente a quegli italiani che se ne sbattono ampiamente e che saranno poi i primi a lamentarsi se le cose andranno male, ma a quelli che, come noi, seguono stampa e televisione cercando di capire quale possa essere la conclusione più utile al Paese. Per noi che preferiamo tra le emittenti televisive La7, una soluzione non disprezzabile sarebbe l’elezione di Enrico Mentana, sollevando noi e lui stesso dalle sue micidiali “maratone” nelle quali, col supporto di pur stimati commentatori, si cercano le ragioni che hanno indotto a dare il voto a Rocco Siffredi o ad Al Bano (a lui sicuramente per la voce) prima di ammettere che si tratta di piccole burle. Non diverse da quella, molto più spettacolare, messa su da Berlusconi con la sua autocandidatura che ha comunque occupato per qualche settimana i teleschermi e le notti tormentate da incubi di molte persone perbene.

Ad oggi abbiamo assistito alla caduta di almeno una decina di candidature, una vera e propria “strage degli innocenti”, tra i quali si annidava anche un bel numero di “indecenti”, perpetrata soprattutto da quell’altro burlone mica male che è Salvini, sostenuto nelle sue trovate ora da Berlusconi, ora dalla Meloni e spesso da tutti e due insieme. L’interrogativo che attanaglia la maggior parte dei nostri connazionali è: avremo un nuovo presidente prima che inizi l’altro evento di importanza capitale che è il Festival di Sanremo? E poi, altro interrogativo, perché il presidente della repubblica non può essere eletto col televoto?

Ed in realtà non sarebbe male se Mattarella guardasse anche ai sondaggi d’opinione, qualcosa che somiglia alle “giurie popolari” che incoronano i vincitori di concorsi canori, talent show e simili. Scoprirebbe (ma lui lo sa bene) che è il presidente più amato dagli italiani e che il suo successore non sarà all’altezza. Eppure Mattarella fa prevalere, nel suo ostinato rifiuto della ricandidatura, un principio che non è presente nella Costituzione formale che, infatti, non vieta una possibile rielezione, ma soltanto in quella “sostanziale” che poggia sul seguente ragionamento: se i padri costituenti hanno fissato in sette anni la durata della carica presidenziale vuol dire che la ritengono sufficiente a garantire il regolare svolgimento della vita istituzionale e, nel contempo, della dialettica democratica. È probabile che questo orientamento nasca dalla lettura dei verbali dell’Assemblea Costituente, nella quale ogni articolo fu oggetto di ampia discussione. Ma se, alla fine, è prevalsa la linea che non pone un divieto alla rielezione, ci sarà pur stata una valida motivazione. Quella che permise il reincarico, anche in quel caso forzato, di Napolitano nel 2013.

Rattrista quindi pensare che Mattarella anteponga l’astratto, e peraltro encomiabile, rispetto della propria visione di un principio della Carta all’esigenza di salvare il paese da un Parlamento ormai ridotto a “nave sanza nocchiero in gran tempesta” e così via fino al “bordello” che è sotto gli occhi di tutti. Nessuno gli chiede di rimanere necessariamente altri sette anni ma semplicemente di portare il Paese alle nuove elezioni e ad un consolidamento delle iniziative legate al PNRR. Quindi un paio d’anni, come Napolitano: la Costituzione non vieta le dimissioni anticipate. Oltre ai versi del sommo Dante, restando nella metafora del naufragio, vengono alla mente, con tutto il rispetto e la gratitudine imperituri dovuti a Mattarella, le parole che il nostro concittadino Gregorio De Falco, già capo della sezione operativa della Capitaneria di porto di Livorno ed oggi senatore aderente al Gruppo Misto dopo l’ignominiosa espulsione dal Movimento 5 Stelle, ebbe a pronunciare nella concitata conversazione col comandante della Costa Concordia incagliata negli scogli dell’Isola del Giglio: “Torni al Quirinale, cazzo”.

3 commenti su “Il diario dell’inquietudine: 28 gennaio 2022”

  1. Sergio+Pollina

    Condivido, parola per parola, tutto ciò che Mottola argomenta, con la sua consueta sagacia e ironia. Mi associo a lui per il “torni a bordo …”

  2. ADRIANO FERRARA

    La probabile rielezione forzata di Mattarella (che proprio voleva tornare a fare il privato cittadino, avendo salutato tutti e fittato un appartamento) per me rappresenta la sconfitta di tutta l’attuale classe politica, che non è stata in grado di esprimere un nome presentabile. Dalla Destra salviniana che ha proposto degli “improponibili” (inutile fare nomi) ed ora si assume il ruolo di chi ci ha messo comunque tutta la buona volontà, ben sapendo di stare lì a perdere tempo, fino alla Sinistra come sempre autolesionista, che non ha saputo o voluto neanche fare un nome. C’è un’ampia maggioranza di governo che si riconosce in Draghi, ma la stessa maggioranza non riesce a fare fronte comune per portare un nuovo inquilino al Colle? Sono sinceramente dispiaciuto, mi dispiace soprattutto per il nostro Sergio, il quale, per puro senso dello Stato, accetterà il reincarico, ma fra poco più di un anno, a fine legislatura e col governo in scadenza, verrà sollecitato a lasciare per far posto a qualcun altro, indovinate chi!

  3. elio mottola

    Ringrazio vivamente Sergio Pollina per l’apprezzamento che spesso esprime per i miei modesti lavori. Anch’io sottoscriverei parola per parola tutte le sue riflessioni se fossi in possesso di un bagaglio culturale altrettanto vasto. Si fa quel che si può.

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