La fede e il dubbio

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Auguste Rodin, Il Pensatore, Parigi (Fonte: Wikipedia)

All’inizio dell’Ottocento il crollo della cosmologia geocentrica provocò una serie di effetti a livello sociale, culturale e morale. «La scienza entrò in conflitto con la religione perché sembrava minacciare il confortevole posto occupato dall’Uomo all’interno di un cosmo creato secondo un disegno divino. La rivoluzione iniziata da Copernico e terminata da Darwin ebbe l’effetto di emarginare, persino di svilire gli esseri umani. Gli uomini non furono più posti al centro del disegno supremo, ma furono relegati a un ruolo secondario e senza apparente significato in un indifferente dramma cosmico, come comparse improvvisate finite per caso nel mezzo di un grande set cinematografico» (Paul Davies, La Mente di Dio. Il senso della nostra vita nell’universo, Milano 1995, p. 11).

L’immagine della natura del mondo e della sua storia, almeno nella tradizione occidentale, nacque con la metafisica di Aristotele, nel IV secolo a.C., per poi strutturarsi ulteriormente con l’astronomia di Tolomeo nel II secolo d.C., ed è stata una visione destinata a durare fino al XVII secolo. Per oltre duemila anni la Terra fu concepita come un corpo immobile al centro dell’Universo. Il Sole e tutti i pianeti le giravano attorno, ciascuno nel suo proprio cielo, mentre nel sottosuolo si collocava l’oscuro regno degli inferi. Quello concepito era, quindi, un Universo immaginato come un cosmo a tre piani: Inferi, Terra e Cielo. Il Tutto era percepito come un sistema ordinato e bello, dal quale non poteva venir fuori nient’altro che ordine e bellezza. Proprio per questo il termine greco “kosmos”, che originariamente significa “ordine” e che si traduce in cosmo,richiama la cosmesi e i cosmetici.

In questo sistema tutto era immaginato come perfettamente collocato in un luogo preciso, persino il male, e questa visione aveva ripercussioni concrete sulla vita reale, sulla politica, sulla società e, naturalmente, sulla religione. Ogni cosa era contenuta in uno schema ben definito. Tutto veniva compreso in un unico sistema e vissuto come dipendente dall’alto. Tant’è vero che «la parola “universo”, presa a prestito nel XVIII secolo dal latino “universum”, di uguale significato, è il neutro sostantivo di “uni-versum”, cioè volto in uno, riassunto in un’unità (da “unus” e “vertere, versum”). Universo significa allora, preso alla lettera, il “tutto come quintessenza di ogni parte”» (Hans Küng, L’inizio di tutte le cose, Milano 2006, p. 12).

«La civiltà greca aveva idee piuttosto avanzate circa il mondo naturale – tra queste la sagace intuizione dell’atomo da parte di Democrito (circa 406-370 a.C.) e la visione eliocentrica del sistema solare avanzata dal filosofo del IV secolo a.C. Filolao. Quando questa grande cultura andò incontro al declino e il mondo occidentale piombò nella cosiddetta Età Buia [il Medioevo], le Scritture assunsero il ruolo di spiegazione della verità, e il libero pensiero venne abbandonato. Quest’atteggiamento intellettuale continuò nel tardo Medioevo, durante il quale… si registrarono pochi tentativi di fare davvero della scienza. Deviazioni dalle convinzioni stabilite non erano tollerate, in una cultura dominata dalla Chiesa e da monarchie di sovrani “cristianissimi”. Detto in breve, non si doveva mettere in discussione “l’ordine delle cose”» (Amir D. Aczel, Perché la scienza non nega Dio, Milano 2015, p. 35).

La religione, però, che in Europa aveva sempre rivestito, sotto ogni punto di vista, un ruolo primario nella vita dell’uomo, vide sgretolarsi la propria unità da quando il 31 ottobre 1517 Lutero inchiodò sul portone della chiesa del castello di Wittenberg le 95 tesi sulle indulgenze, dando così inizio alla Riforma protestante. Nel 1543, con il De revolutionibus orbium coelestium libri VI (“Sei libri sulle rivoluzioni delle sfere celesti”), il canonico cattolico Copernico, rifacendosi a un’idea di Aristarco di Samo (III secolo a.C.), e sulla base di alcune osservazioni, calcoli e riflessioni geometriche, presentò il geniale disegno di un nuovo modello dell’universo, dando così inizio a ciò che sarebbe poi diventata una vera e propria rivoluzione astronomica, segnando conseguentemente la fine del modello tolemaico. Una rivoluzione che sempre più andò a solidificarsi con l’Astronomia nova di Keplero nel 1609, il Sidereus nuncius di Galileo nel 1610 e i Philosophiae naturalis principia mathematica di Newton nel 1687. Una serie di grandi opere scientifiche destinate ad aprire un nuovo mondo per le scienze fisiche, un mondo in cui la conoscenza empirica, sperimentabile e misurabile veniva vista come l’unica strada percorribile per la spiegazione della natura e, per questo motivo, destinata a destabilizzare la mente degli uomini, i quali, più prendevano coscienza di tutto ciò, più vedevano vacillare quei punti fermi che da millenni avevano costituito una solida struttura della loro mente.

«Con il trascorrere del tempo scienza e religione gradualmente imboccarono strade separate e, nel XIX secolo, la prima riportò numerose vittorie decisive nei confronti della seconda, almeno per quanto riguarda alcune delle più ingiustificate convinzioni sull’universo associate alla tradizione ebraico-cristiana» (Amir D. Aczel, cit., p. 51). Nel 1851 il fisico francese Léon Foucault inflisse il colpo di grazia alla convinzione della Terra stazionaria. Ma fu solo nel 1913, diversi decenni dopo la conferma sperimentale offerta dallo scienziato, che la Chiesa Cattolica Romana finalmente accettò la prova di Foucault che a ruotare fosse davvero la Terra. Il percorso che portò a questa nuova consapevolezza «non era stato facile; e che siano occorsi sessantadue anni dalla conferma sperimentale affinché quella Chiesa accettasse che viviamo su un pianeta in movimento e ruotante intorno al proprio asse, mostra quanto la scienza abbia dovuto combattere duramente contro le interpretazioni letterali delle Scritture» (Amir D. Aczel, cit., p. 57). Ma il crollo della visione di un Universo configurato secondo una logica ordinatrice non fu che l’inizio di una serie di ulteriori sconvolgimenti che, come un terremoto, presero a colpire le fondamenta stesse del rassicurante pensiero comune, provocando continui e inarrestabili cedimenti.

Come effetto domino, nel 1789, la Rivoluzione Francese innescò un vero e proprio sovvertimento politico e sociale. Nel 1848 il comunismo di Marx-Engels promosse, con il Manifesto del partito comunista,l’idea che la fede altro non era che da considerarsi come una consolazione condizionata da interessi. Nel 1859 Darwin, con la teoria dell’evoluzione e la pubblicazione de L’origine delle specie, sconvolse il mondo con una rivoluzione biologica. Le analisi delle testimonianze fossili e dei risultati derivati dalle osservazioni della natura che ne seguirono, dimostrarono la discendenza degli esseri umani da antenati primigeni e di tutte le specie da forme di vita più elementari.

Nel 1886 Nietzsche, con l’opera Al di là del bene e del male, innescò una vera e propria rivoluzione morale mostrando la propria teoria secondo la quale dietro i valori assoluti, contraddistinti dalla morale, non c’era niente. Nel 1899 le teorie di Freud, con L’interpretazione dei sogni, ebbero come conseguenza una rivoluzione antropologica: la religione veniva vista, secondo la sua visione, essenzialmente come risultato di una proiezione di un desiderio.

Nel giro di qualche secolo un gran numero di conoscenze, che fino ad un certo punto erano state considerate fondamenta inamovibili del pensiero occidentale, venne scosso dalle radici, causando un clima di disorientamento tra i credenti. La visione materialista accolse con entusiasmo queste scoperte, mentre la fede nella scienza faceva sempre di più indietreggiare quella religiosa, con il risultato che sempre più persone continuavano a non sentire più il bisogno di fare riferimento a qualcosa di superiore.

Hans Küng, nel commentare questo rapido mutamento dell’antica, unitaria immagine dell’uomo, questo teatro pericolosamente instabile dove nulla sembrava essere più certo, si chiede: «Che cosa è rimasto dell’umanesimo classico greco-occidentale dopo le grandi, umilianti disillusioni dell’uomo: la prima a opera di Copernico (la terra dell’uomo non è il centro dell’universo), la seconda a opera di Marx (la dipendenza dell’uomo da disumani rapporti sociali), la terza con Darwin (la derivazione dell’uomo dall’inferiore regno animale), la quarta con Freud (la coscienza dell’uomo affonda le sue radici nell’istintivo e nell’inconscio)?» (Hans Küng, Essere cristiani, Milano 2013, p. 38).

I teorici del disincanto, dal canto loro, «a partire da Max Weber, hanno sottolineato lo spaesamento e l’angoscia che accompagnano il dubbio sulla realtà di ciò che le religioni ci assicuravano, la secca perdita emotiva che colpisce noi sapiens alla mala novella del sidereus nuncius che ci costringe a prendere atto di non essere il centro attorno a cui ruota il Sole e l’universo tutto, alla ferita narcisistica, vera e propria mazzata e piaga più che mai aperta, inferta da Darwin alla nostra sicumera di essere culmine e scopo del creato» (Paolo Flores D’Arcais e Vito Mancuso, Il caso o la speranza? Un dibattito senza diplomazia, Milano 2013, p. 41).

Tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, però, dopo un periodo di smarrimento, questa nuova visione cominciò a essere elaborata in maniera positiva. Si cominciava, infatti, ad intravedere che la pretesa che ci fosse un “Governo” sul mondo, sulla storia e sulla vita degli esseri umani, non solo risultava priva di fondamento, ma che la sua inesistenza liberava l’uomo da un senso di oppressione dalla sua esigenza di libertà e autodeterminazione. Si cominciava, quindi, a realizzare che quel processo che, in un primo momento, aveva portato alla crisi della tradizione e al fallimento dell’idea di un “Principio Assoluto” alla guida del mondo, era ora da considerarsi come qualcosa di necessario e di positivo, una tappa imprescindibile nella lunga marcia dell’umanità verso la libertà, e che le scoperte astronomiche di Copernico, Keplero e Galileo che ci avevano, in un primo momento, fatti sentire sperduti nel cosmo ed immersi in una insensata odissea nello spazio, rappresentavano invece un’importante conquista che i più sintetizzavano con la frase: “meglio persi nel vuoto che incatenati ad un’illusione”. Anche le considerazioni sulla storia dell’uomo e sull’interpretazione della natura, che erano state inizialmente la causa scatenante di un senso di vuoto interiore, ora andavano riviste. Era l’inizio della modernità, quella stagione storica e culturale caratterizzata dalla ricerca di autonomia dell’uomo da ogni costrizione, da ogni autorità, forse pure da ogni guida e, di conseguenza, certamente dal Dio cristiano.

Da allora l’uomo non farà più ricorso a nessun’altra autorità se non alla sua ragione, unica guida e luce. Il futuro rapporto tra fede e ragione, filosofia e teologia, società e religione avrebbe da quel momento visto crescere sempre di più l’affermazione dell’indipendenza del regno umano da Dio. Un cambiamento di rotta importante, per cui oggi «sia a livello della natura sia a livello della storia, la coscienza religiosa non ritrova più un punto di appoggio esterno a sé stessa per conciliare da un lato il governo divino sulla propria interiorità, per essa tanto evidente, dall’altro la serie impressionante di eventi in balìa dell’arbitrio, dell’irrazionalità, della fatalità, dell’ingiustizia che compongono la sequenza che chiamiamo storia» (Vito Mancuso, Il principio passione, Milano 2013, p. 34). È perciò più che comprensibile riscontrare in molti il dubbio se sia ancora da considerarsi degno di una persona responsabile continuare ad impostare la propria esistenza alla luce di una qualche logica che presiede la natura, se sia ancora possibile credere nell’esistenza di una Realtà primaria, espressione profonda di una forza ordinatrice che regge l’Universo.

Altrettanto legittima è però anche la posizione di coloro «che non sanno che farsene della fede dei tradizionalisti… che non chiedono una spiritualità che dia loro benessere a buon mercato o un aiuto a breve termine per risolvere i problemi dell’esistenza… che non si limitano a “credere”, ma che vogliono anche “sapere” e per questo si attendono una concezione della fede che abbia un fondamento filosofico, teologico, esegetico e storico, nonché conseguenze nella prassi», e che, nonostante tutto, non riescono a fare a meno di chiedersi, in alcuni momenti della loro vita, se esiste o no, un senso ultimo dell’esistenza, se esiste o no, un fondamento, una logica per questa vita (Hans Küng, Ciò che credo, Milano 2010, p. 7).

Come anche, penso non sia per niente irragionevole riflettere sul seguente aspetto: se il mondo è, come sosteneva Nietzsche, per sua natura forza arbitraria, significa che anche la vita stessa dovrebbe riprodurre tale principio arbitrario e dovrebbe perciò configurarsi come lotta all’insegna dell’astuzia e volontà di potenza, non certo come amore e dedizione al bene e alla giustizia, ma se il mondo, invece, non è forza arbitraria, ma esprime, al contrario, una primordiale logica cosmica all’insegna della relazione armoniosa all’opera da sempre nell’ammasso di energia che è l’intero universo, significa allora supporre una diversa e particolare comprensione o visione dell’esistenza, significa che, in alternativa al senso di insicurezza dell’esistenza umana, dello smarrimento descritto da Nietzsche, in seguito al quale l’essere umano è divenuto cosciente di aver «cercato in ogni avvenimento un ‘senso’ che non c’è, cosicché alla fine il ricercatore si è perduto d’animo», è ancora possibile tentare «una ricostruzione della cosmologia, e conseguentemente una rinnovata filosofia della natura, nella convinzione dell’importanza decisiva di tutto ciò per l’etica e la spiritualità» (Vito Mancuso, cit., pp. 34-35); è, forse, ancora possibile ritrovare un punto fermo, saldo e incrollabile, su cui fondare la nostra speranza.

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