Gesù non l’ha mai detto

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Comunemente, quando si vuole affermare con assoluta certezza la veridicità di qualcosa, è abitudine dire: è Vangelo, nel senso che nessuno al mondo potrebbe mai dubitare di ciò che si afferma, proprio come non lo si può delle parole contenute nelle quattro narrazioni evangeliche del Nuovo Testamento; esse sono la parola di Dio ed è assolutamente impossibile che errino in qualsiasi modo. Le cose, però, non stanno così, e di recente ce ne siamo occupati cercando di dimostrare quella che con un eufemismo potremmo definire la “inaccuratezza” non solo delle narrazioni evangeliche, ma dell’intera Bibbia.

Possiamo iniziare menzionando un fatto che forse non è molto ben conosciuto e cioè che, sebbene la morte di Cristo possa essere fatta risalire al 30 E.V., i primi scritti su di lui non comparvero che quarant’anni dopo. È facile rendersi conto di quello che può aver avuto luogo lungo il corso di quattro decenni di trasmissione orale, e quali manipolazioni, errori di copiatura, aggiunte possano essere state effettuate lungo quel periodo. È interessante, al riguardo, un commento di Bart Ehrman nel suo Gesù non l’ha mai detto: “A che serve dire che i manoscritti autografi (cioè gli originali) furono ispirati? Noi non abbiamo gli originali! Abbiamo solo delle copie piene di errori, in grande maggioranza distanti secoli dai primi scritti, da cui si discostano in maniera evidente in migliaia di modi”.

Ma perché occuparci ancora della Bibbia (Vecchio e Nuovo Testamento)? Perché, volenti o nolenti, è il libro più importante, più diffuso e più tradotto del mondo occidentale, per buona parte del quale esso non è soltanto un libro, ma la parola dell’Onnipotente messa per iscritto, inerrante e, cosa più importante, essa contiene, secondo molti dei suoi seguaci, le profezie relative a ciò che avverrà nel prossimo futuro, cosa che, va sottolineato, avviene da duemila anni senza che nemmeno una volta e in minima parte nessuna d’esse s’è avverata. Sotto questo aspetto possiamo dire senza tema di smentita che la Bibbia è il libro più diffuso e meno conosciuto che esista, e se volessimo completare il discorso potremmo dire anche che è il meno conosciuto e il più frainteso.

Volendo giustificare queste asserzioni, potremmo farlo agevolmente, cominciando addirittura con le primissime pagine della Bibbia, quelle che si riferiscono all’opera creatrice di Dio in sei “giorni”. Basta leggere i versetti di Genesi 1:26-28 e 2:18-25. Anche una lettura superficiale mette chiaramente in evidenza che ci troviamo di fronte a due diverse narrazioni della creazione della prima coppia umana, provenienti evidentemente da fonti diverse che, con il trascorrere del tempo, furono fuse in un unico racconto. Nel primo vediamo che Dio crea contemporaneamente l’uomo e la donna e dà a entrambi il compito di dominare su tutti gli altri essere viventi; nel secondo, invece, Dio crea soltanto Adamo, fa trascorrere molto tempo, dato che porta al suo cospetto tutte le forme di vita esistenti perché si desse loro un nome e, notando che Adamo non poteva procreare con esse, finalmente crea la donna, traendola dall’uomo – cosa inesistente nel primo racconto – e ripete loro l’ordine di procreare. Anacronismi, ripetizioni, incoerenze, contraddizioni sono le caratteristiche che saltano subito agli occhi quando si inizia a leggere il testo biblico e, oltre a questo, come hanno fatto notare molti esegeti fin dalla remota antichità, sembra esservi un abisso fra i due protagonisti delle Scritture. Il Dio che ci viene presentato nelle Scritture Ebraiche è profondamente diverso da quello che impariamo a conoscere in quelle Greche, tanto che sono stati numerosi gli studiosi che hanno ipotizzato, nel corso dei secoli, l’esistenza di due divinità supreme, una di nome El (da cui Elohim = dei) e l’altra di nome Jahveh. Il primo è veramente un dio antropomorfo, dato che dice con chiarezza: “Facciamo l’uomo a nostra immagine secondo la nostra somiglianza … Così Iddio creò l’uomo a sua immagine, a immagine di Dio lo creò, maschio e femmina li creò”. – Genesi 1:27, 28. Un dio così “umano” che l’autore del primo racconto non trova nessuna difficoltà nel parlare dell’Onnipotente dicendo di lui che: “Poi udirono il rumore dei passi del Signore Dio che passeggiava nel giardino alla brezza del giorno, e l’uomo fuggì con la moglie dalla presenza del Signore Dio”. – Genesi 3:8. Qui ci viene presentato un dio assolutamente umano, in carne e ossa, dato che Adamo sente il rumore dei suoi passi, mentre uno spirito non dovrebbe fare alcun rumore; un dio a cui, oltre a creare lo sterminato universo, piace farsi la passeggiatina pomeridiana in giardino!

Che dire, poi, di una delle contraddizioni più vistose, una delle quali dev’essere necessariamente una modifica dell’originale. Stiamo parlando delle ultime parole di Gesù prima di morire. In Marco 15:33 e in Matteo 27:45, 46, troviamo che: “Ma venuta l’ora sesta, si fece buio su tutta la terra fino all’ora nona. E all’ora nona Gesù esclamò a gran voce: «Eloì, Eloì’ lamà sabactanì? Che, tradotto, vuol dire: Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato?». Ecco, invece, come Luca (23:44-46) riferisce l’episodio: “Era già quasi l’ora sesta, quando le tenebre si stesero su tutta la terra fino all’ora nona, per essersi oscurato il sole… Ma Gesù, gridando a gran voce, disse: Padre, nelle tue mani raccomando lo spirito mio! E detto questo spirò”. Giovanni, nel suo vangelo (19:30) invece ignora platealmente entrambe le versioni degli altri tre e chiude con queste parole: “Quand’ebbe preso l’aceto, Gesù disse: «Tutto è compiuto»; e. chinato il capo, spirò”.

Ci si rende conto facilmente che le due versioni della morte di Gesù furono opera per lo meno di due persone, probabilmente non testimoni oculari dell’evento che però descrivono in maniera assolutamente inconciliabile le parole del moribondo: Gesù è in preda allo sconforto, o è invece fiducioso tanto da raccomandare al Padre il suo spirito? Secondo la maggior parte dei commentatori biblici, è Luca che apporta modifiche al testo di Marco per ragioni teologiche. Spiega infatti Ehrman: “La tesi illustrata in questo capitolo è che talvolta i passi del Nuovo Testamento furono modificati per motivi di ordine teologico. Questo avvenne ogni volta che i copisti si preoccuparono di garantire che i libri dicessero quello che essi volevano. Qualche volta ciò si verificò a causa delle dispute teologiche che infuriavano all’epoca. Per comprendere questo tipo di modifica è necessario sapere qualcosa delle controversie teologiche dei primi secoli del cristianesimo, i secoli in cui nelle Sacre Scritture fu introdotta la maggior parte delle alterazioni”.

Oggi, così lontani da quei periodi di tempo, ci viene difficile penetrare nella mentalità dei primi seguaci di Cristo e in quella dei secoli successivi; ma il risultato di questo nostro approfondimento rispecchia fedelmente ciò che Ehrman comprese quando cominciò ad applicarsi con impegno allo studio delle Scritture: “la mia fede si era basata su una certa visione della Bibbia in quanto parola infallibile e pienamente ispirata da Dio. Ora non la vedevo più in questo modo; essa cominciava ad apparirmi come un libro molto umano. Proprio come degli scribi umani avevano copiato e modificato i testi delle Sacre Scritture, così, in origine, autori umani li avevano scritti. Si tratta di un libro umano dall’inizio alla fine. Era stato scritto da diversi autori in diverse epoche e in diversi luoghi per rispondere a esigenze diverse”. Egli scrisse questo dopo aver potuto constatare che: “I passi divergenti sono così tanti che non sappiamo neppure quante siano le differenze. La cosa più semplice è forse esprimersi in termini comparativi: fra i tanti manoscritti in nostro possesso esiste un numero di differenze superiore a quello delle parole del Nuovo Testamento. Quelle che possediamo sono copie eseguite più tardi, molto più tardi. Nella maggior parte dei casi, diversi secoli dopo”. E le copie sono tutte differenti una dall’altra in migliaia di punti”. È inoltre opportuno ricordare e da sottolineare a proposito dei vangeli di Matteo, Marco, Luca e Giovanni, che tutti e quattro sono anonimi; allora, quando si cominciò a identificarli con i nomi che attualmente gli vengono attribuiti? Non prima della fine del II secolo, cioè circa un centinaio di anni dopo che questi testi cominciarono a essere letti tra i credenti in Gesù. A tal proposito sono illuminanti le parole di Ehrman: “Oggi, fra gli esperti del Nuovo Testamento, nessuno pensa che gli autori dei vangeli abbiano inventato i loro racconti di sana pianta. Dunque da dove li hanno tratti? Per la maggior parte, dalla tradizione orale dei seguaci di Gesù. Costoro hanno raccontato più e più volte le storie sul loro maestro, a partire da quando era ancora in vita e per molto tempo ancora dopo la sua morte. Queste tradizioni rimasero in circolazione per anni, anzi decenni, prima che gli autori dei vangeli se ne appropriassero… chiunque intenda studiare il Gesù storico o il ricordo di lui che avevano le comunità cristiane delle origini deve prendere in seria considerazione questo dato fondamentale: i resoconti della vita di Gesù di cui siamo in possesso contengono ricostruzioni che sono state trasmesse in forma orale per tutti quegli anni. In linea generale, però, nella storia della ricerca sui vangeli, specialmente a partire dal secolo scorso, gli studiosi si sono in larga parte convinti che fin dai primi anni dopo la morte di Gesù i suoi seguaci non solo abbiano alterato le tradizioni relative alla sua vita e ai suoi insegnamenti, ma ne abbiano anche inventate di nuove… Le prove del fatto che i ricordi di Gesù abbiano incominciato a subire alterazioni subito dopo la sua morte (e perfino durante la sua vita) si possono trovare nei resoconti scritti comparsi una quarantina d’anni più tardi: i vangeli canonici. Spesso questi sono in disaccordo tra loro e, ogni qualvolta due o più versioni di un racconto risultano inconciliabili, dobbiamo convenire che non sono storicamente corrette e che qualcuno ha modificato o inventato qualcosa… I ricordi di Gesù sono nella maggior parte, se non nella loro totalità, ricordi alterati. Ossia casi nei quali sono state ricordate parole che Gesù in realtà non ha mai pronunciato e opere che non ha mai compiuto”.

Non è necessario avere la cultura teologica di Bart Ehrman, o di quei tanti eruditi che nel corso dei millenni si sono dedicati anima e corpo allo studio dei testi sacri, per porsi la domanda cruciale: Se Dio avesse voluto che le sue parole, da Genesi 1:1 ad Apocalisse 22:21, fossero protette da ogni manipolazione, non soltanto avrebbe fatto sì che coloro che furono incaricati o che si assunsero l’onere di farlo, potessero mettere per iscritto con assoluta correttezza le sue istruzioni, i suoi comandamenti, i suoi precetti, ma cosa parimenti importante, avrebbe dovuto far sì che i millenni e i copisti non potessero alterare nemmeno di una virgola i suoi pensieri. Ammesso che “tutta la Scrittura è ispirata da Dio” (2 Timoteo 3:16), a che serve se poi tutto ciò che abbiamo non sono altro che copie manipolate, travisate, snaturate, e quindi di poco o nullo valore?

Qualcuno dei nostri lettori potrebbe chiedersi perché dedicare tempo e attenzione ad un argomento che certamente non riscuote un ampio interesse, né sembra più tanto attuale e pregnante se consideriamo il periodo in cui stiamo vivendo come il più pericoloso da ottant’anni a questa parte? un periodo in cui le tre parole “Terza Guerra Mondiale” sono improvvisamente tornate alla ribalta con tutto il tremendo significato che portano con sé? Ma, se noi siamo affranti nel vedere come le cose stanno degenerando, causando decine di migliaia di morti, fame, malattie, molti altri ne sono esultanti. No, certamente non per le pene e le sofferenze di tanta gente, ma perché ciò che accade secondo i milioni di americani ed europei che ci credono, sono il “segno” inconfondibile che “la fine è vicina”. Un gustoso episodio accaduto a Bart Ehrman e che lui riferisce nel suo Armageddon, è d’aiuto: “Arrivai sul finire di agosto, e avevo appena finito di disfare le valige che ricevetti una chiamata da un giornale locale. Avevano saputo che ero uno studioso del Nuovo Testamento e per questo il giornalista mi chiese: «È vero che Gesù tornerà sulla terra a settembre?»”.

Può sembrare strano, ma esistono milioni di persone pienamente convinte che Gesù sarebbe ritornato – la cosiddetta parousia – agli inizi del secolo appena trascorso, e poiché, ovviamente, nulla del genere è accaduto, si aggrappano a qualsiasi evento che potrebbe servire alla loro causa, e poiché da che esiste la vita sulla terra non sono mai mancate le guerre, le carestie, le epidemie, tutto ciò viene da utilizzato a sostegno della loro predicazione. Per esempio, la pubblicazione di una rivista diffusa in milioni di copie, il cui contenuto è considerato “verità assoluta” dai membri del movimento che la edita, in uno dei suoi ultimi numeri fa la seguente affermazione: «I conflitti che oggi si stanno verificando in tutto il mondo indicano che presto le guerre finiranno. Questi conflitti adempiono profezie della Bibbia che riguardano il periodo in cui stiamo vivendo. Nella Bibbia si parla di questo periodo come della “conclusione del sistema di cose” (Matteo 24:3)». Per onestà intellettuale questo movimento, conosciuto come Testimoni di Geova, avrebbe dovuto aggiungere che con la stessa ferrea certezza delle loro affermazioni, essi avevano già preannunciato la “fine” per l’anno 1914, poi per il 1925, poi per il 1975, e poi ad ogni evento calamitoso, compresa l’ultima epidemia di Covid, ed ogni volta sono stati costretti a contorsionismi esegetici assolutamente ridicoli, per giustificare il fallimento delle loro attese. Non che in questo defatigante esercizio siano soli, sono molto numerose le sette cristiane che condividono la spasmodica aspettativa del “ritorno” di Gesù. Solo pochi nomi delle più note: una è quella dei seguaci di William Miller, i Milleriti, poi definiti Avventisti, quindi ci sono I Fratelli di Plymouth di John Nelson Darby, i Bambini di Dio, la Chiesa Universale di Dio, l’ordine del Tempio solare, e decine di altri.

Il primo ad essere fermamente convinto che la fine del mondo e l’instaurazione di un regno con lui quale re erano ormai alle porte fu proprio Gesù che, contrariamente all’iconografia che solitamente lo dipinge come un mite “agnello di Dio”, è pronto a minacciare sfracelli contro chi avesse cercato di impedirgli di raggiungere il suo scopo: “Intanto conducete qui i miei nemici, quelli che non volevano che io regnassi sopra di loro, e sgozzateli in mia presenza” (Luca 19:27). Ed è sempre Gesù che alla domanda postagli dai suoi discepoli circa il tempo del suo ritorno e della fine della malvagità, risponde con parole ben conosciute da chi si accosta allo studio della Bibbia. Egli rispose dicendo: “In verità vi dico: non passerà questa generazione prima che tutto ciò avvenga. Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno” (Matteo 24:3, 32-35). In verità è difficile attribuire a queste parole di Gesù un significato diverso da quello che evidentemente hanno, ovvero che prima che la generazione vivente a quel tempo, quella di Gesù e dei suoi discepoli, passasse, sarebbe giunta la fine. Da quel tempo sono trascorsi più di duemila anni, e la fine non è giunta.

Domanda di rilievo: com’è possibile che duemila anni di fallimenti profetici non hanno ottenuto l’effetto più logico, e cioè che tutti questi movimenti, riconoscendo di essersi ingannati, ciò nonostante continuano a sbandierare le loro credenze, incuranti del dileggio e dello scherno che ovviamente ciò suscita? Esiste una risposta, ed è una risposta pienamente soddisfacente, della quale parleremo un’altra volta. Per il momento ci basta sapere che all’argomento, con due libri di notevole valore, si è dedicato Leon Festinger, uno dei più importanti studiosi di psicologia sociale, che nel 1956 pubblicò due volumi su questo tema: Teoria della dissonanza cognitiva (Ed. Franco Angeli, 1992) e Quando la profezia non si avvera (Ed. Il Mulino, 2012).

Abbiamo dedicato la nostra narrazione in due parti alla disamina della veridicità dei vangeli e del cosiddetto Nuovo Testamento. Ancora più interessante è la valutazione della storicità e veridicità della narrazione veterotestamentaria. Ed è ad essa che ci dedicheremo in un prossimo articolo.

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