Il Cile e la destra che si organizza. Intervista alla prof.ssa M. R. Stabili

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Fonte: www.unsplash.com

Con Francesco Fusi stiamo realizzando un progetto investigativo dal titolo ˝Plaza de la Dignidad˝; al riguardo, col supporto del prof. Raffaele Nocera dell’Università degli studi di Napoli “L’Orientale”, da mesi studiamo le cause delle proteste cilene iniziate lo scorso ottobre. Le violazioni dei diritti umani, i morti e i numerosi prigionieri politici causati in questi mesi dal governo cileno, ci hanno spinti a cercare maggiore visibilità per quanto accade; tale lavoro si trasformerà in un documentario. In questo contesto si è ritenuto necessario intervistare la prof.ssa Maria Rosaria Stabili, docente del dipartimento di Scienze Politiche dell’Università “Roma Tre” e grande conoscitrice delle dinamiche socio-politiche dell’America latina.”

Domanda: Già prima del Covid-19 la questione sociale era molto tesa, anche la questione dei giornalisti per cui è stato impedito a chiunque non fosse riconosciuto dal governo cileno di documentare quanto accadeva. Pensa che l’attuale governo di Piñera abbia acuito una situazione già esistente o piuttosto con il suo ritorno al governo ciò si sia verificato?

Risposta: Non c’è dubbio che il secondo governo Piñera abbia acuito tensioni politiche e sociali che covavano già da tempo e che sono esplose a partire dal 18 ottobre dello scorso anno con le massicce manifestazioni di protesta che sono andate avanti tutti i mesi successivi, sino all’apparizione, anche in Cile, del Covid-19. Il governo è sembrato allo sbando, senza strumenti, incapace di dare risposte alle rivendicazioni sociali e di controllare la protesta. Si è avuta la sensazione che il Covid-19, mettendo fine alle manifestazioni, sia arrivato in soccorso del governo Piñera al “momento giusto”. Noi abbiamo guardato alle proteste e alle manifestazioni con favore e con la speranza che potessero cambiare qualcosa, ci siamo concentrati a capire e interpretare i protagonisti delle manifestazioni pacifiche, ma poca attenzione abbiamo dedicato al fatto che il disagio sociale accumulato ha anche permesso ai gruppi della destra estrema di crescere e prendere piede, come le violenze e le distruzioni, perpetrate contemporaneamente alle proteste pacifiche, potevano forse suggerire. Questo purtroppo è il limite della sinistra: guardare al proprio campo e non cercare di capire davvero la controparte. Concentrati sulle proteste, sulle manifestazioni, sui fermenti di Plaza Dignidad, abbiamo forse scordato cos’era il Cile alla vigilia del golpe. Questo mi preoccupa. José Antonio Kast, il fondatore del Partido Republicano, che rivendica esplicitamente il suo legame con Pinochet e ha come obiettivo quello di ripristinare una sorta di continuità con la dittatura militare, sta aumentando il suo consenso e mi pare che la situazione creatasi, con le misure adottate per contenere la pandemia, aiuti le forze di destra a riprendere il controllo.

D.: Che dire del fatto che c’è stato il ritorno dei militari in strada, cosa che non si vedeva dall’epoca della dittatura?

R.: Non è tanto quello. Noi ci preoccupiamo del ritorno dei militari per strada, accanto ai Carabineros, ma secondo me non è questo il pericolo più serio. Il problema più preoccupante è che anche le persone e i gruppi di destra organizzano i cabildos, le assemblee territoriali che hanno, ovviamente, obiettivi e significati opposti rispetto a quelli organizzati dai manifestanti e/o dalle forze progressiste e di sinistra. La destra è presente anche nelle periferie, nelle zone più povere del Paese e non soltanto nei quartieri alti. Si organizza per portare da mangiare, per attivare le Ollas comunes così come i gruppi e le associazioni democratiche e cristiane, ma hanno molti più soldi per farlo. La società civile si sta polarizzando e il problema non è soltanto la presenza dei militari per strada. Il quadro è molto più complesso, anche perché c’erano molte tensioni all’interno sia dell’arma dei Carabineros sia delle Forze Armate, in particolare nell’Esercito. Le alte sfere sono coinvolte in fatti di corruzione e appropriazione indebita e c’era molta insoddisfazione, malcontento nei ranghi inferiori. Ma, ovviamente, le manifestazioni, che noi abbiamo trovato emozionanti e bellissime, hanno ricompattato militari e carabinieri e radicalizzato la destra civile. In Cile l’ordine ha sempre trionfato sulla libertà. Dall’800 in poi è sempre stato così. I fantasmi del passato tornano tutti. Io ho vissuto in Cile negli anni Ottanta, durante il regime militare. Ho vissuto il coprifuoco dopo le manifestazioni di protesta che hanno avuto inizio nel 1983. Ricordo i rastrellamenti, gli interventi violenti dei militari anche all’interno della Università Cattolica. Davvero non so che sbocco avrà la situazione cilena, aggravatasi con la pandemia, che ovviamente ha acutizzato e reso più gravi i problemi economici e la questione sociale. Sono molto preoccupata e l’unica cosa che so fare come studiosa è cercare di capire la complessità delle dinamiche. Prima della pandemia i Cabildos sono stati un’esperienza intensa, ragazzi meravigliosi che gestivano i dibattiti, cronometrando il tempo a disposizione per dare voce a tutti, è stato bellissimo. Ma ho anche visto gente di destra che convocava un cabildo e organizzava i gruppi per l’autodifesa cittadina e questo mi preoccupa di più.

D.: Un altro aspetto importante è la questione del Plebiscito Costituzionale. Non so se ci saranno le condizioni ad ottobre affinché si possa svolgere, ma questo può far nascere un nuovo “estallido social” ancora più forte?

R.: Sì. Più passa il tempo più la crisi si acutizza e le incertezze sulla buona riuscita aumentano. Se dovessero esserci le condizioni perché si svolga in ottobre, alla domanda se si vuole una nuova Costituzione i “si”, con buona probabilità, potrebbero essere maggioranza e questo sarebbe già un passo avanti. Ma non sono affatto sicura che nelle risposte alla seconda domanda – cioè se si vuole un’Assemblea Costituente composta al 100% da membri eletti dalla popolazione oppure una composta per il 50% da parlamentari in esercizio e un 50% da eletti direttamente dai cittadini – prevalga la prima opzione sulla seconda. Il Covid-19 ha aumentato il senso di incertezza, di instabilità, i timori tra la popolazione e tutto questo alimenta le forze di destra, che invocano ordine e sicurezza, che non vogliono modificare la Costituzione di Pinochet e che sventolano il pericolo del caos e di una crisi ancora più profonda. Molti dei militanti dei partiti della destra, diciamo “più moderata”, si stanno avvicinando al Partido Republicano, alle cui posizioni di estrema destra abbiamo già fatto riferimento. Non scordiamo che, durante le manifestazioni prima della pandemia, gli attacchi più duri nei confronti della presidenza della Repubblica e dell’attuale governo di destra venivano dalla destra estrema, persino da ex-ministri del Presidente e non dalla piazza.

D.: Tra i suoi filoni di ricerca lei si occupa di politiche di genere. I collettivi femministi hanno avuto, soprattutto prima della pandemia, grande risonanza e hanno anche formato il PAF (Partido Alternativa Feminista) con cui si volevano proporre per partecipare all’Assemblea Costituente. Lei crede che ci saranno possibilità che questo partito o comunque i collettivi femministi organizzati possano avere un peso nell’Assemblea Costituente?

R.: Mi auguro di sì anche se nutro qualche dubbio. Quando vivevo in Cile, partecipavo al movimento femminista e alcune delle figlie delle femministe degli anni ’80 sono ora tra le leader dell’attuale movimento che presenta delle discontinuità importanti rispetto al passato. Con loro ho discusso molto. Il problema che riscontro, se di problema si può parlare, è l’esasperazione dei toni e dei contenuti. Sarò una “vecchia” moderata (quando ero giovane ero più radicale), ma ritengo che iniziative e atteggiamenti assunti durante le manifestazioni di piazza come quella di sedersi nude, dalla vita in giù, sulle ginocchia della statua di mons. Mariano Casanova, importante arcivescovo di Santiago e fondatore della Università Cattolica alla fine dell’Ottocento, sia stata una provocazione davvero inutile che, anziché creare consenso, ha allontanato persone che pure condividono l’idea che le donne debbano avere più peso e visibilità nelle istituzioni e in genere nella vita pubblica. Questo è un momento in cui è necessario costruire consenso e unità forte tra tutte le componenti, tra tutti i gruppi sociali democratici. Ma in Cile, in questo momento, tra la sinistra si gioca a chi più fa “il puro e il duro”. È il dramma storico della sinistra e non soltanto in Cile. La maggior parte dei collettivi femministi ha come riferimento politico la coalizione di partiti della sinistra “Frente Amplio”, che sta mal combinato, con divisioni importanti tra i gruppi che lo compongono. Non c’è un leader credibile. La difesa della “dimensione orizzontale” dell’organizzazione, sostenuta dai movimenti femminista e studentesco è affascinante da un punto di vista teorico ma nell’agire politico non è praticabile. Il rifiuto di avere una qualche rappresentanza forte, che interagisca con le altre realtà organizzative, fuori dalle manifestazioni di piazza può risultare, in certi momenti, pericoloso. Sono evidenti alcune incomodità delle vecchie femministe rispetto alle giovani: negli anni ’80 il movimento femminista, nato durante la dittatura, aveva tutte le contraddizioni della “prima generazione”: tutto chiaro dal punto di vista teorico nel difendere la radicalità dell’analisi sul patriarcato, ma più confuso e meno coerente nell’agire concreto, timoroso, attento e prudente per via del regime militare e della repressione. Di fronte alla radicalità dell’attuale movimento alcune vecchie femministe si sentono “scomode” anche se sono di sinistra, socialiste, comuniste. Sono emerse personalità interessanti e importanti, per certi versi carismatiche, ma sono troppo radicali nelle loro manifestazioni per poter aggregare e unire. Mi auguro che durante il processo costituente, soprattutto quando si dovranno formare le liste elettorali in vista delle elezioni dell’Assemblea costituente che dovrebbero svolgersi nell’aprile 2021, le femministe, il movimento studentesco e l’arcipelago di partiti e gruppi che fanno riferimento al Frente Amplio abbiano buonsenso e sentano imprescindibile la necessità di negoziazioni pacifiche al loro interno per realizzare l’obiettivo di una nuova Costituzione effettivamente democratica.

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