Dove sta Zazà?

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Le vicende umane, il loro dispiegarsi nel corso del tempo, sono intrinsecamente complicate per le infinite interazioni cui danno luogo e le tante conseguenze non desiderate. Abbiamo, come specie, cercato di addomesticare l’incertezza, progettando, pianificando e programmando le nostre azioni oltre che con la scienza e la tecnologia, anche attraverso l’edificazione di ordini etico-morali. I nostri comportamenti non possono essere sempre semplificati con schemi dualistici: egoisti o altruisti, consumatori o risparmiatori, cicale o formiche. A chi governa, alle classi dirigenti di un paese democratico con un sistema economico-industriale avanzato spetta l’arduo compito di promuovere una o più opzioni disponibili, mai aprioristicamente determinate, ma legate alle dinamiche economico-sociali nazionali e internazionali. Il più delle volte l’errore che si compie è quello di assumere posizioni sulla base di opzioni ideologiche.

Nell’attuale contesto nazionale ed europeo, solo apparentemente le posizioni in campo sono diversificate ma nessuno si esprime con chiarezza su quali siano le effettive necessità e quali siano gli obiettivi da raggiungere. In ogni caso si continua ad ignorare sistematicamente un postulato che la nostra Costituzione, all’articolo 3, pone al centro dell’azione di Governo: «Tutti i cittadini hanno pari dignità` sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

Governare la complessità del mondo piuttosto che domarla è la sfida delle moderne democrazie, e il richiamo continuo alla semplificazione è sempre sospetto. Come deleterio e sospetto è il richiamo alla volontà popolare, non quella espressa attraverso il voto per l’elezione dei rappresentanti nel Parlamento, ma quella misurata da sondaggi che, per quanto correttamente svolti, rappresentano opinioni espresse sull’onda di quello o questo provvedimento, su questo o quell’episodio di cronaca ma non possono certo rappresentare la volontà compiuta, formalmente e sostanzialmente certificata dal conteggio delle schede votate.

In Italia quando sono state prese decisioni che hanno ridotto i diritti economici e sociali conquistati con anni di battaglie, quando si è riorganizzata la macchina tecnico-amministrativa dello Stato, tagliando o drasticamente ridimensionando l’erogazione di servizi alla cittadinanza da parte delle pubbliche amministrazioni, gli apparati politici e istituzionali si sono nascosti dietro personalità dalla forte connotazione tecnica che, se pur sostenuti da larghe maggioranze parlamentari, hanno agito liberando le forze politiche da ogni preoccupazione elettorale diretta, scaricando sul Nessuno, di omerica memoria, la responsabilità di tagli e sacrifici imposti. Una pratica codarda, foriera di grandi ingiustizie che indebolisce la democrazia, che non consolida risultati, che frena ogni processo di crescita politica e culturale dell’elettorato. Non meno deleteria è la pratica degli “annunci”, tra sventolio di bandiere o commoventi e/o patetici pianti. Interminabili trattative per giungere alla mediazione interna alla maggioranza e, alla fine, il confronto nelle aule parlamentari con l’opposizione e con l’attività di lobbying, dei gruppi di pressione organizzati, formalmente inesistenti e non legittimati nel nostro sistema ma nei fatti ben attivi e consolidati. Poi il nulla.

A tutto ciò un’alternativa è possibile, ma al momento non alberga nelle stanze dove si articola il governo centrale, regionale e periferico del nostro sistema statuale. È la verifica dei risultati attesi.

In questa legislatura, con due diversi governi, sono stati approvati provvedimenti importanti su questioni anche assai diverse.

In materia di previdenza: rinnovo della formula “opzione donna” e “quota 100”. Da chi le ha promosse sono state presentate come azioni “liberatorie” di migliaia di persone che avevano pieno diritto alla pensione. Per i detrattori, uno strumento per indebolire drammaticamente il sistema previdenziale e che avrebbe svuotato uffici e fabbriche di manodopera qualificata. C’è chi ne ha misurato istituzionalmente, socialmente ed economicamente l’impatto? Quante persone sono riuscite ad usufruire di questi strumenti, quale carico aggiuntivo hanno rappresentato per il sistema previdenziale? Le aziende pubbliche e private sono riuscite a sostituire adeguatamente il personale andato in pensione? Ci sono stati punti di criticità? E quali sono stati? A quasi due anni dall’entrata in vigore solo ora il nuovo Governo ha emanato il provvedimento che doveva garantire l’anticipazione della liquidazione per i dipendenti pubblici, bloccata dalla legge Fornero e che, nel caso dei lavoratori che vanno in pensione con quota 100 significa aspettare dai 5 a 7 anni per riscuotere quanto regolarmente versato nel corso della vita lavorativa. E manca ancora l’elenco delle banche convenzionate. Indubbiamente saranno stati svolti studi da parte di centri di ricerca, ma in che modo i risultati sono diventati parte di un confronto politico istituzionale?

Lo stesso si può dire del reddito di cittadinanza. Una gran caciara prima e durante la sua applicazione, il fumo negli occhi dei cercatori di lavoro da assumersi a contratto a termine dalle regioni, disattenzione totale ai regolamenti attuativi, ai tanti paradossi che il provvedimento è andato determinando con il meccanismo dell’ISEE relativo ad un anno prima della richiesta di erogazione del sussidio. Se l’anno prima avevi un reddito familiare superiore a X, oggi che hai perso il lavoro non hai diritto a nessun sussidio. E dopo il primo anno di sussidio come verrà calcolato il reddito ISEE? Sono solo alcuni punti oscuri da chiarire. L’importante, per la parte politica, è potersi vantare di aver emanato il provvedimento.

Il “Decreto sicurezza” di Salvini, e prima ancora il famigerato accordo con la Libia del ministro Minniti con il Governo Gentiloni, prescindendo dalla pur essenziale valutazione politico-culturale per il fatto che abbiano violato norme democratiche sancite dalla Costituzione, dalle leggi internazionali e dalla Convenzione internazionale sui diritti dell’uomo, che risultati hanno conseguito?

Qualche mese fa il Presidente del Consiglio, nella conferenza stampa di presentazione del “Decreto Rilancio”, aveva al suo fianco la titolare del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, la senatrice Teresa Bellanova, che tra le lacrime annunciava un provvedimento che avrebbe finalmente permesso l’emersione del lavoro nero nell’agricoltura e non solo, regolarizzando anche la presenza di migliaia di lavoratori stranieri. Era un momento in cui si temeva che nelle campagne sarebbe mancata la manodopera per consentire la raccolta estiva. Quali sono i risultati ottenuti? Oggi in Italia abbiamo 600mila nuovi immigrati regolari? Nel frattempo leggiamo altre notizie: in un’operazione contro il caporalato: la Guardia di Finanza di Cosenza ha arrestato 52 persone, ha sequestrato 14 aziende agricole, 12 si trovano in Basilicata e due in provincia di Cosenza. Ancora, uno dei più noti imprenditori agricoli del Foggiano è stato arrestato con l’accusa di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro. Nessuno osa fare raffronti tra queste notizie e il provvedimento del Governo.

Altri provvedimenti legati al “Decreto Rilancio” aspettano ancora il varo di regolamenti attuativi e quindi non sono operativi. Intanto si aspetta il Decreto Semplificazione, per l’ennesima volta annunciato con grande enfasi come un provvedimento che dovrebbe risolvere tante, se non tutte, le incongruenze dell’azione amministrativa.

Purtroppo a questa incapacità politico-istituzionale non si contrappone un agire di forze sociali organizzate. Le grandi organizzazioni sindacali sono le grandi assenti in questa delicata e per certi versi drammatica fase. La sensazione è che siano ancora in regime di lockdown, rinchiuse nelle loro sedi a contare iscritti e voti, nel tentativo di far quadrare i bilanci. Pare che ormai basti loro essere parte del sistema dei “gruppi di pressione”, di essere ascoltate in sede istituzionale nella migliore delle ipotesi e di far parte dello scenario mediatico. Una cosa è certa: il 5 luglio a Roma in Piazza san Giovanni c’erano organizzazioni piccole, di giovani e di immigrati, c’era Aboubakar Soumahoroche e la sua USB, con tanti che lottano per non essere dimenticati e schiavizzati ma mancavano CGIL, CISL e UIL.

Così pare che l’Italia abbia smarrito Zazà, nella confusione della banda di Pignataro.

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