Un altro I(n)chino al neoliberismo

tempo di lettura: 3 minuti
Fonte: Elaborazione grafica di G. Capuano

Una gran noia e un senso di vuoto ci assale leggendo e ascoltando i tanti personaggi che culturalmente, economicamente e socialmente identifichiamo come classe dirigente, che nel nostro Paese non sempre si dimostra all’altezza di compiti ordinari e straordinari. È questa una gramigna che può minare alla base la crescita della nostra democrazia, la nostra convivenza pacifica.

Anche quelli che si chiamano fuori dalle responsabilità di governo perché si definiscono studiosi e non pesano le conseguenze delle loro idee propongono la solita solfa su temi tra i più importanti e delicati per un Paese. Il lavoro e il lavoratore vengono ancora discussi come fossero mezzi di produzione e come se l’unico problema al riguardo sia riuscire a diminuirne il costo complessivo e sottoporlo a controlli maggiori, lì dove non è possibile spingere l’automazione ai livelli desiderati. Le persone non esistono in quanto tali e a loro non vengono imputati nemmeno i risultati che conseguono con il loro lavoro. Questo sta avvenendo in modo sfrontato con i lavoratori di molti settori pubblici ai quali è negata la possibilità di dare un senso alla propria attività, immersi come sono nello sbrigare pratiche, che li estranea dall’ erogazione di un servizio e li allontana dai cittadini. Di fronte al dissesto di molte pubbliche amministrazioni, al disagio di tanti lavoratori e lavoratrici, al malcontento dilagante, ridiscendono in campo i “cervelloni” con le loro astrazioni aziendali, con i loro modellini teorici anacronistici pensati per altri tempi e organizzazioni.

Un esempio recente ci viene da Pietro Ichino, paladino di uguaglianza e di parità da perseguire con selvaggio economicismo. Funambolico giurista, uomo da carriera allevato e cresciuto in ambienti protetti, appena laureato gli fu offerto di dirigere una parte della FIOM-CGIL e poi seguirono tanti importanti incarichi politici, universitari e professionali. Il caso nasce da una serie di sue dichiarazioni e interviste in cui dice, tra l’altro, che si sta chiaramente determinando una situazione di disparità tra lavoratori pubblici e privati. I primi, anche se in casi “impossibili”, stanno godendo di pieno stipendio grazie allo smart-work, al lavoro agile, quello da casa, mentre tanti lavoratori dei settori privati sono stati messi in cassa integrazione. Con queste affermazioni passa un messaggio contro i lavoratori del pubblico impiego, considerati dei privilegiati, ma non si sfiorano né si scalfiscono quelli che sono i veri problemi della pubblica amministrazione, viene data voce solo ad un’opinione popolare, il che non ci si aspetta da uno studioso.

Alcuni spunti del suo discorrere potevano contribuire ad avviare una seria riflessione sul lavoro pubblico e sul ruolo e sullo stato delle pubbliche amministrazioni a partire dai suoi vertici e, invece, ci si comporta come a Caporetto, dove si fucilavano i soldati italiani per motivare con la negligenza e la presunta vigliaccheria della truppa una sconfitta militare la cui responsabilità era da cercarsi a ben altri livelli.

Le misure adottate con successo dal Governo, per rallentare fino quasi a interrompere la diffusione dell’infezione pandemica, hanno imposto e accelerato l’adozione delle nuove modalità per l’erogazione di servizi pubblici già previste dalla legislazione vigente, trovando percorsi creativi anche per quei casi che non si prestavano a una immediata soluzione. Una operazione che si è inserita in un sistema organizzativo arretrato, poco e male informatizzato e comunque edificato su modelli gerarchici inefficienti, con l’aggravante di una popolazione lavorativa anziana per lo più trattenuta al lavoro per gli effetti nefasti della riforma Monti-Fornero, cosa che riguarda anche l’apparto direttivo. Si discuta di questo allora. Forse un paese che deve affrontare nuove e impegnative sfide ha bisogno di una pubblica amministrazione “professionalizzata”, che attragga e valorizzi nuovi saperi, nuove energie. Si creino meccanismi attrattivi per giovani qualificati, attivando meccanismi selettivi meno burocratici e formali, prospettando possibilità di carriera e valorizzazione, con un adeguato riconoscimento economico. Si pensi a meccanismi per consentire ai più anziani, stanchi e demotivati, di uscire dignitosamente dal lavoro attivo magari pagandogli, come per i lavoratori privati, subito il trattamento di fine rapporto. Queste disparità e disfunzioni sistemiche Ichino le trasforma in idiosincrasie verso una parte di lavoratori e lavoratrici ai quali si addebitano colpe che invece derivano da un sistema legislativo farraginoso, dall’accavallarsi di competenze e ruoli tra amministrazioni centrali, regionali, comunali. Si dimentica che le assunzioni nelle pubbliche amministrazioni sono state utilizzare come un ammortizzatore sociale, assumendo persone che altrimenti sarebbero state condannate alla precarietà o alla disoccupazione permanente, ruolo oggi svolto dal misero reddito di cittadinanza, riservandosi le assunzioni nel pubblico impiego non sempre in modo efficace e trasparente. Si parla di semplificazione per non dire deregolamentazione, si parla di “modello Genova” per non dire che si vorrebbero affidare appalti e lavori a chi è gradito al gruppo di governo in carica. Sarebbe invece il caso di alleggerire le pubbliche amministrazioni, di snellire procedure e non appesantirle con inutili procedimenti, per questo è obbligo assumere personale molto qualificato, pagarlo bene e assegnargli non generici compiti ma obiettivi da portare a termine con responsabile autonomia. In Italia, vogliamo ricordarlo, non si è riusciti a produrre un compiuto sistema per valorizzare seriamente il raggiungimento di obiettivi da parte della dirigenza, che si sottrae sistematicamente ad ogni verifica del suo operato, salvo poi bloccare le attività per il timore di compiere irregolarità, una pessima amministrazione facilita la corruzione, ostacola e isola tutti quelli che fanno il loro lavoro con diligenza e coscienza, anche con i pochi mezzi e risorse umane messe a disposizione. Allora, professor Ichino, produca idee e modelli organizzativi che risolvano problemi atavici, si misuri concretamente con il cancro della corruzione e della concussione che dilaga nel nostro apparato pubblico ostacolandone la modernizzazione. Di questo ha bisogno l’Italia.

1 commento su “Un altro I(n)chino al neoliberismo”

  1. Maddalena marselli

    Articolo lucido, essenziale nella esposizione e trasparente nell’esame del problema: i sommari approcci alla pubblica amministrazione denotano l’obiettivo di smantellare il servizio bubblico in favore di organismi privati. Per ora si mette una pezza ai problemi…poi quando tutto crollerà si vedrà che fare?…tipico no?!

Rispondi

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Torna in alto