Una “classe” in rivolta

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Profeti di sventura o laici osservatori. Certo è che su queste pagine abbiamo intravisto la possibilità che i predatori di risorse pubbliche stessero affilando i propri denti in vista della preda da sbranare. La nostra attenzione era stata rivolta in particolare a faccendieri e imbroglioni certificati, istruiti nelle scuole del sottobosco dei partiti, delle amministrazioni pubbliche o nelle agguerrite e oggi sempre più dissimulate scuole delle organizzazioni criminali. Queste bande sono già all’opera ed è un problema atavico dell’Italia, la quale non riesce a liberarsi di questo fardello.

La novità è oggi un’altra e coinvolge apparti e organizzazioni nazionali e sovranazionali. Come già abbiamo scritto, la FCA, la ex Fiat, sta cercando di fare il colpo grosso dichiarando i suoi intenti senza preoccuparsi di giustificarli. Ora il Governo deve decidere se porre condizioni.

Altra cosa è la protesta del presidente Bonomi della Confindustria, l’associazione degli industriali italiani, che alza la voce e si lamenta che il Governo starebbe sprecando risorse perché si è preoccupato eccessivamente di chi il lavoro non l’ha o lo ha perso per la crisi determinata dalla pandemia. È inoltre ripartito con la litania sugli eccessivi vincoli che la legislazione del lavoro – quella che resta dopo gli smontaggi e le destrutturazioni operate dai governi di centro destra e da quello di Matteo Renzi -, definita ancora troppo rigida, troppo favorevole ai lavoratori, e che gli industriali hanno le mani legate nei processi produttivi e di riorganizzazione industriale. Dall’altro capo del mondo, in un’altra democrazia, l’India, dove sopravvivono 1 miliardo e trecentomila persone, in uno degli stati che ne compongono la federazione, il presidente ha deciso, per favorire la ripresa industriale e produttiva, di aumentare l’orario di lavoro contrattuale passandolo dalle attuali 10 a 12 ore e, con una logica opposta a certi ragionamenti che si fanno in Italia, di portare, per decreto, i salari al loro livello minimo definito dalla legge, abbassando il salario contrattuale conquistato da alcune categorie ove fosse più alto. Insomma si decreta per legge una sorta di ritorno alla schiavitù. È forse quello che vorrebbe anche Bonomi?

Nel settore agroalimentare il provvedimento del Governo per l’emersione del lavoro clandestino è stato giudicato blando dalle organizzazioni della sinistra sindacale ed eccessivo da parte della destra, istituzionale e no. Sta di fatto che in migliaia continueranno a lavorare in condizioni di semi schiavitù. È questo il mondo post pandemia, quel mondo che romantici commentatori decantavano essere ormai diverso e migliore, diventato più buono per grazia ricevuta?

La posizione di Bonomi non è isolata nel mondo che conta nel nostro Paese e ha trovato subito chi, anche nella maggioranza di governo, gli strizza l’occhio con la speranza di venire accolto sulla corriera che lo riporterebbe a Palazzo Chigi, il signor Matteo Renzi, lui sì flagello di Dio che, come le orde di cavallette in Africa, ha raschiato i campi faticosamente coltivati dalla sinistra italiana.

La classe, la sezione C, la Confindustria è in rivolta, ma presidi, insegnanti e bidelli non osano intervenire, forti della loro debolezza. La politica si ritrae, si propone come amministratrice priva di volontà propria.

A chi chiede, provocatoriamente, un governo istituzionale magari presieduto da Draghi, per spiazzare quel minimo di identità democratica e costituzionale che il primo ministro Giuseppe Conte ha garantito in questi duri mesi, va risposto che quel governo esiste già.

Giuseppe Conte è forse il più democristiano, o cristiano sociale, della storia repubblicana, forse ancor più di De Gasperi, Fanfani e Moro. Solo che loro avevano alle spalle un partito-stato, insediato in ogni anfratto del Paese, dentro e fuori lo stato. Giuseppe Conte è invece solo. A sorreggerlo rimane solo la debolezza degli altri.

Il Sindacato, i movimenti sociali sono silenziosi e indeboliti, per responsabilità soggettiva, per aver perseverato con una costanza patologica nei propri errori e per le strutturali modificazioni sociali e produttive che gli hanno sottratto interlocutori.

La sinistra politica è a brandelli e ha paura delle sue stesse idee fino a giungere alla mistificazione di ridurre la teoria economica di Keynes a una teoria della crisi, accettata da tutti e quindi non divisiva. Solo che loro finanziano soltanto chi riempie le buche, sostegno al reddito, e non osano finanziare chi le buche le fa, le opere pubbliche.

Sotto la stessa bandiera del PD ci sono Zingaretti, il segretario, Bonaccini (ed Elly Schlein), De Luca ed Emiliano, presidenti di Regione. Liberi e Uguali governa al centro, ha un buon ministro, Roberto Speranza, e intelligenze politiche ormai marginalizzate che, dopo che Renzi ha liberato della sua presenza il PD, vorrebbero riconciliarsi con la casa madre, ma non ci provano per paura di scomparire del tutto. Nel frattempo il generale Pappalardo ci riprova e con i suoi gilet arancioni va in piazza a Milano. Siamo fortunatamente solo alla farsa della protesta, e i protagonisti sono fuori dal mondo oltre che essere dotati di un livello di sensibilità pari allo zero, visto che negano la pandemia proprio nella Regione che ha avuto il più alto numero di contagi e di decessi. Forse è meglio così perché, se la situazione precipitasse in un moltiplicarsi di piazze infuriate, non ci sarebbe nessuno in grado di governarla ed indirizzarla e rischieremmo tutti di esserne travolti. Vorremmo leggere almeno un rigo, scritto da chi per professione svolge un ruolo politico, dove oltre l’evocazione del pericolo della rivolta ci fosse anche solo accennato un percorso comune da intraprendere. Per ora abbiamo provato ad indossare lenti ad altissimo ingrandimento ma non ne abbiamo trovato traccia.

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