Aridatece Petrolini!

tempo di lettura: 4 minuti
Ettore Petrolini in un fotomontaggio del 1920 (Fonte: Wikipedia)

Se in Italia “tutto ruota intorno a Salvini” (Repubblica, 3 dicembre), vuol dire che siamo messi veramente male. Siamo diventati un Paese “in cerca di capi da seguire. E da per-seguire”. È, quindi, il quadro di una nazione non più “nazione”, ma “campanile”, divisa in fazioni, come nel Medioevo quando ci si divideva fra Guelfi e Ghibellini, solo che adesso non si chiamano più così, ma “followers”, che invece della spada usano la più comoda clava dei social media per menare fendenti a destra e a manca, preda di un furore, protetto dall’anonimato, che ha pian piano trasformato l’intero paese in una cànea di voci indistinte dalle quali emergono latrati che hanno ormai – tristemente – invaso anche le aule del Parlamento.

Che ci sta accadendo? Che ci è accaduto? Secondo Francesco Merlo, quello appena trascorso è stato il decennio degli “arcitaliani” nel quale si sono manifestate tutte le caratteristiche peggiori (molte) e quelle migliori (poche) dell’italico carattere. Sempre secondo Merlo siamo il Paese del trasformismo dove persino il “vaffa” si è trasformato in potere e strapotere, ma anche quello degli idoli traditi e spernacchiati: Berlusconi, D’Alema, Prodi, Renzi, Grillo; e anche il decennio degli sbruffoni (Salvini), dei comici promossi a maestri di pensiero (Crozza, Fiorello, Zalone); del razzismo diffuso e vigliacco. Di chi la colpa di questo apparentemente inarrestabile scivolamento in basso? Principalmente degli “arcitaliani” (copyright Curzio Malaparte). Resta ancora un mistero insoluto, più tenace dei segreti di Fatima, l’innamoramento collettivo di una significativa parte del Paese nei confronti di personaggi che in altri tempi non sarebbero stati buoni nemmeno per un avanspettacolo di provincia. Per districarci da questo inestricabile ginepraio si potrebbe, forse, fare un passo indietro nel tempo, e riandare ai lontani anni ’60, quando Umberto Eco diede alle stampe un suo saggio celebrato e mai dimenticato: Fenomenologia di Mike Bongiorno, nel quale il grande semiologo analizzava le ragioni dello straripante successo di colui che incantò gli italiani per lustri, pur essendo un uomo assolutamente “mediocre”. La sintesi che Eco ci presenta è così riassunta: Non provoca complessi di inferiorità, pur offrendosi come idolo, e il pubblico lo ripaga, grato, amandolo. Egli rappresenta un ideale che nessuno deve sforzarsi di raggiungere perché chiunque si trova già al suo livello.

La mediocrità è dunque la chiave del successo in politica, perché non mette nessuno a disagio. Con un supremo sforzo di immaginazione, riusciamo a vedere un uomo come Aldo Moro, studioso di altissimo livello, raffinato pensatore, forbito nell’esprimersi, profondo conoscitore dell’animo umano, e politico di insuperata esperienza, osannato e idolatrato da masse di persone che, come Di Maio, Salvini, e i loro sodali, spesso non riescono a infilare due congiuntivi al posto giusto, o confondono il participio presente con il gerundio, e se gli chiedi cos’è la semiotica strabuzzano gli occhi? Certamente no! È molto più semplice e “popolare” parlare il linguaggio delle periferie, alla Meloni, con il suo incantevole accento da borgatara, o presentarsi in luoghi come il Papeete, a torso nudo, mojito in mano, e incantare l’arcitaliano che poi dovrà votarlo perché lo riconosce come uno dei “suoi”. Se, poi, lo stesso irsuto personaggio, mostrando un altro aspetto della sua camaleontica capacità trasformista, promette alle masse diseredate e in attesa del suo verbo che: “Farò tutto quello che è umanamente possibile, con l’aiuto di Dio e del cuore immacolato di Maria, per restituire agli italiani lavoro, serenità e sicurezza, alle famiglie speranza e futuro, ai giovani certezze e diritti, nel nome del valore supremo della Libertà”; come non cadere ai suoi piedi? “Vasto programma”, avrebbe detto De Gaulle; più vasto ancora di quello di Gesù Cristo che dovette riconoscere che “i poveri li avete sempre con voi” (Gv. 12, 8). Eppure questo fenomeno, che dall’alto della sua eloquenza giudica  i discorsi del Capo dello Stato ed ex giudice costituzionale, oltre che persona di grande cultura e sensibilità, “melliflui, incolori, indolori e insapori”, è lo stesso personaggio che soltanto lo scorso anno, quando brandiva il potere come una clava, aveva promesso – ancora una volta – mirabilia dalla sua gestione. Con la consueta formula del “prima gli italiani” aveva garantito di dare una casa ai terremotati del centro Italia, indossando varie felpe con i nomi dei comuni che visitava, promettendo “aiuti immediati”; il risultato è che 50.000 sono ancora senza casa. Ed è sempre “Salvini Premier” che aveva fatto un punto d’onore del suo governo la seguente promessa (prima d’essere eletto), “Cosa faccio se vinco le elezioni? Taglierò dal 5 marzo (2019) sette accise. Il 5 marzo è passato da un pezzo e le accise sono sempre là. Aveva poi detto che avrebbe “realizzato da subito” la flat tax, con due aliquote fisse al 15 e al 20%. Potremmo rivolgerci a “Chi l’ha visto?” per sapere che fine ha fatto. Che dire, poi, dell’impegno solenne di innalzare le pensioni di invalidità e quelle minime (sotto i 500 euro) per le quali aveva detto di aver già trovato i soldi. Dove? Abbassando quelle ai migranti. “Pensioni sociali pagate a persone arrivate qua per ricongiungimento familiare senza che abbiano mai versato una lira in Italia. Secondo me non è giusto”. Era tanto ingiusto che tutto è rimasto come prima. Aveva anche promesso l’esenzione totale dalle tasse universitarie agli studenti italiani indigenti, che sono rimasti poveri e con le stesse tasse. Poi era volato in Sardegna, animato da sacro furore patriottico, e aveva promesso ai pastori sardi: entro 48 ore il prezzo del latte di pecora deve arrivare a un minimo di 1 euro al litro. Obiettivo mancato! E, per finire, l’uomo che ama le divise delle forze dell’ordine (e anche le loro moto d’acqua) aveva garantito ai poliziotti di rinnovare il loro contratto di lavoro scaduto da tempo. Quando lasciò il governo il contratto era sempre lo stesso.

Riavvolgiamo il nastro e riascoltiamo ciò che ha detto proprio il 1° gennaio il nostro “arcitaliano” nazionale: “Appena gli incapaci al governo toglieranno il disturbo e gli italiani potranno tornare a votare, noi siamo pronti a prendere per mano il Paese” (si è trattato probabilmente di un lapsus freudiano: la frase corretta avrebbe dovuto essere: prendere in mano il Paese) e per portarlo dove? Per farne un Paese in cui a chi non la pensa come lui è persino vietato esporre uno striscione dal balcone di casa sua, subito rimosso dalla polizia? Un Paese nel quale a chi alza le mani e grida “pace” vengono messe le mani addosso e quasi strangolato dai suoi galoppini? Un Paese in cui a una ragazza che si faceva un “selfie” con lui, accompagnato dal ricordo di quando disprezzava i “terùn”, viene sequestrato il cellulare con l’intimazione di cancellare la battuta non gradita al ministro? Un Paese in cui un ministro, comodamente seduto sulla sua poltrona, guarda senza batter ciglio un’umanità dolente alla quale nega, tronfio e soddisfatto, le più elementari misericordie – atto dovuto almeno per rispetto al “cuore immacolato di Maria”?

Chiudiamo con una battuta dell’intramontabile Petrolini che, nella risposta che diede durante un suo spettacolo a uno del pubblico che lo aveva fischiato, disse: “Io nun ce l’ho cò te, ma cò quelli che te stanno vicino e non t’hanno buttato de sotto”. Salvini fa il Salvini: è nella sua natura; non gliene si può fare un torto. Se dovesse riconquistare il potere, anzi, i “pieni poteri”, la colpa sarà sempre e solo degli arcitaliani che non l’hanno “buttato de sotto”!

Rispondi

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Torna in alto