Quale futuro per le “sardine”?

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Migliaia di “sardine” a Bologna il 14 novembre 2019 (Fonte: taleoma per www.flickr.com/photos/)

Nell’articolo pubblicato lo scorso Natale il nostro Direttore auspica che le “sardine” passino dalla fase di denuncia a quella di proposta. Sarà possibile questo passo in avanti? E a quali condizioni? Fin qui sappiamo che il loro ingresso in campo è stato motivato dall’esigenza di contrastare silenziosamente il fragore della politica: opporsi alla sguaiataggine e alla violenza del linguaggio in uso nell’agone politico era una necessità sentita da molti. Il fatto di dare rappresentanza a centinaia di migliaia di persone scuotendole dal rassegnato letargo nel quale le avevano spinte un paio di decenni di politica urlata è già una boccata d’ossigeno, forse una benedizione.

Sarà bene però che le “sardine” continuino a non farsi irretire da nessun partito, a non farsi travolgere dal tritacarne mediatico né, tanto meno, a farsi bruciare dai personalismi che sono sempre in agguato. Il messaggio delle “sardine” è semplicemente un messaggio pre-politico, è la voglia di ridefinire il campo e le regole di gioco della politica, attraverso il richiamo ai valori della Costituzione e il rilancio della competenza, della responsabilità e della trasparenza. Il loro riferimento quindi non può che essere il presidente Mattarella il quale non è riuscito sin qui di far calare i medesimi concetti, tante volte espressi dall’ “ermo Colle”, fino alle segreterie dei partiti ed alle testate giornalistiche cartacee, televisive o digitali.

Come potranno le “sardine” alimentare l’attenzione ed il consenso che hanno suscitato? Dovendosi necessariamente difendere da qualunque contaminazione partitica, le “sardine” devono oggi proporsi come un movimento di opinione attivo nelle piazze ma anche capace di individuare proposte concrete da rivolgere ai partiti, a tutti i partiti. Suggerimenti in proposito ne avranno già ricevuti ed altri ne arriveranno. Dalle pagine di questo giornale possiamo avanzarne timidamente alcuni, augurandoci che vengano giudicati utili e fattibili.

Per cominciare, una proposta ambientalista che consiste nel promuovere, come suggerito da autorevoli esperti, l’impianto di nuovi alberi in ogni posto dove la cosa sia possibile. Lo scopo è quello di rimpiazzare la produzione di ossigeno venuta meno per effetto della deforestazione e della cementificazione. Secondo gli esperti un programma planetario in questa direzione potrebbe scongiurare l’accelerazione del riscaldamento del pianeta in atto se non addirittura fermarlo. Qui da noi si tratterebbe di coinvolgere nel progetto enti, associazioni di cittadini ed anche singoli possessori di terreni incoraggiandoli a piantare alberi sia sul suolo pubblico che nelle proprietà private. È evidente che un simile proposito comporta innanzitutto l’impegno di sensibilizzare le masse verso una decisa tutela dell’ambiente ma anche, e forse soprattutto, la burocrazia verso la massima semplificazione delle procedure autorizzative ove necessarie. Inutile dire che, con le opportune garanzie e controlli, andrebbero disposti anche appositi finanziamenti pubblici, senza trascurare che anche il mondo dell’impresa potrebbe essere coinvolto in iniziative analoghe, da sfruttare magari in sede pubblicitaria.

Consapevoli dell’inadeguatezza di un contributo meramente nazionale alla soluzione di un problema immenso, sarebbe comunque opportuno che le “sardine” si appropriassero, prima degli altri, di quello spazio libero ed in rapidissima espansione che in Italia i partiti ambientalisti non sono stati sin qui in grado di conquistare. E ciò anche nella prospettiva di incrociare già da subito analoghe iniziative che intanto nascono in altri Paesi.

Di portata più modesta ma di attuazione più avventurosa è la proposta di promuovere finalmente la regolamentazione dei partiti politici. Allo stato essi sono niente di più che associazioni di fatto e come tali ben lontane dal garantire agli elettori un minimo di trasparenza. E quando manca la trasparenza proliferano abusi, frodi e corruzioni: i 49 milioni misteriosamente spariti della Lega Nord non sono che l’ultimo grano di un rosario che si recita sin dalla fine dell’ultimo conflitto e che nacque con i finanziamenti paralleli degli USA verso la DC e dell’URSS verso il PCI.

L’attuale squallore della politica in Italia, al quale la mano libera dei partiti ha dato un sensibile contributo, ci dice che la regolamentazione non è più rinviabile, pena l’ulteriore deterioramento del rapporto tra partiti e cittadini. Possiamo essere certi che non saranno i partiti né quel che resta del M5S (Movimento 5 Stelle) a promuoverla, perché nel breve periodo avrebbero solo da perdere. L’iniziativa non può che venire dalle “sardine” e, tra l’altro, ne rafforzerebbe l’immagine di un movimento estraneo se non proprio opposto ai partiti stessi. L’esternazione di una simile proposta permetterebbe di individuare a quali di essi stia veramente a cuore una competizione politica più trasparente. E forse questo bagno di chiarezza basterebbe a riavvicinare alla politica quell’ampia fetta di cittadini che non votano più e che coincidono, almeno in parte, proprio con i simpatizzanti delle “sardine”.

Disciplinare i partiti significa dare attuazione all’art. 49 della Costituzione il quale, nel riconoscere a tutti i cittadini il “diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”, non specifica quale debba essere il “metodo democratico” lasciando evidentemente al legislatore il compito di fissarne i contenuti, gli obblighi ed i limiti. La presenza di una disciplina che avesse chiarito a suo tempo i casi di incompatibilità e di conflitto di interessi, avrebbe impedito a Berlusconi di fondare un partito di cui era in realtà il proprietario. Ed impedirebbe oggi al M5S di essere affiliato alla Casaleggio Associati.

Norme rigorose dovrebbero prescrivere il divieto di donazioni e di finanziamenti anonimi ed imporre la pubblicità dei nomi di donatori e finanziatori, come avviene in numerosi Paesi. Solo così l’elettore potrà sapere quali partiti vengono, ad esempio, sostenuti dai fabbricanti di armi o dai petrolieri, quali da associazioni di commercianti, quali dal Vaticano ecc. facendosi in tal modo un’idea più realistica di chi possa esercitare, alla luce del sole, pressioni sui partiti: è quel che succede negli USA con le famose lobbies che finanziano i partiti in maniera assolutamente legale. La trasparenza nei finanziamenti potrebbe infine condurre, e non pochi se lo augurano, ad un oculato ripristino del finanziamento pubblico dei partiti, in assenza del quale non potrà mai nascere un partito dei diseredati o dei nullatenenti o dei cittadini di etnie diverse dalla “pregiata” etnia italica. E, per concludere, occorrerebbe introdurre l’obbligo della pubblicazione del bilancio annuale, cosa che allo stato pare faccia, spontaneamente, il solo PD. Molto ci sarebbe da aggiungere sul tema della trasparenza nella vita politica, ma lasciamo alle “sardine” il tempo di discutere i suggerimenti che da tante parti arrivano loro.

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