Riso amaro: 5 febbraio 2024

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Come prevedibile, Michele Santoro ha annunciato che si presenterà alle elezioni europee con una propria lista incentrata sul pacifismo. Riuscirà certamente a coinvolgere qualche nome illustre antimilitarista, come Tomaso Montanari o, forse, Massimo Cacciari più qualche cattolico progressista in libertà. Santoro cerca da tempo spazio e sembra lo abbia trovato nell’opposizione all’ulteriore invio di armi all’Ucraina come unico mezzo per favorire un discorso di pace, obbiettivo condiviso peraltro anche col M5s, con i Verdi-Sinistra Italiana e con una minoranza del PD. Ma in nessuna di queste formazioni politiche, che pure lo avrebbero accolto con interesse, l’irrequieto Santoro si sarebbe sentito a suo agio: la disciplina di partito non fa per lui, individualista per vocazione e già europarlamentare eletto nel 2004, ma da indipendente, nelle liste progressiste “Uniti per l’Ulivo”. E quindi viaggerà da solo sottraendo voti al già incerto campo largo che dovrebbe contrastare l’esito elettorale della Meloni alle europee.

Escludiamo che Santoro si candidi per interesse personale, ma non si può non rilevare come il protagonismo, suo e di altri personaggi pubblici di sinistra, abbia danneggiato e danneggi tuttora il maggiore dei partiti progressisti a tutto vantaggio di quelli che dovrebbero essere gli avversari da sconfiggere. Nel merito piacerebbe chiedere a Santoro e a chi la pensa come lui sul conflitto russo-ucraino se hanno in mente un percorso realistico di pacificazione che vada oltre la semplice petizione di principio. Una generica spinta verso la pace si registra attualmente solo nell’Unione Europea e nelle Nazioni Unite, entrambe schierate a favore dell’Ucraina, e non sappiamo se stia nascendo un movimento pacifista nell’esausto paese di Zelensky. Né si vedono all’orizzonte pacifisti russi con i quali aprire un dialogo. Sarebbe poi interessante sapere chi o quale stato intravedono nelle vesti di mediatore: per il momento non c’è riuscito il cardinale Zuppi. Non vorremmo che la pace proposta da Santoro coincidesse con la vittoria di Putin: in tal caso dovremmo attrezzarci a difendere tra qualche anno l’Estonia o la Lettonia da ulteriori “operazioni speciali di denazificazione”.

Rientrando nel pollaio governativo, le annunciate dimissioni di Sgarbi dalla carica di sottosegretario alla cultura ci hanno messo di buonumore, non tanto per il suo impatto positivo sull’immagine del nostro Paese, quanto per la relativa modestia degli addebiti che gli sono stati mossi rispetto ai ben più gravi abusi, anche passati, che avrebbero dovuto sconsigliare di affidargli un qualunque incarico governativo. Un sorrisetto lo merita anche Sangiuliano che, in linea con la prassi governativa dello scaricabarile (vedi la richiesta al CNEL, presieduto da Brunetta, del parere tecnico che ha consentito al Governo di sfuggire alla discussione del salario minimo), ha voluto trincerarsi dietro l’Autorità Antitrust per indurre alle dimissioni il celebrato critico d’arte. Le dimissioni, tra l’altro, non sono state ancora presentate e la storia avrà dunque un seguito.

Va poi segnalato il rigatone italico proiettato nello spazio da Lollobrigida. Al cognato d’Italia consigliamo benevolmente di dare un’occhiata anche alla stampa e all’informazione libere: se continua ad informarsi, sempreché ne abbia tempo, sui canali televisivi e sui giornali filogovernativi, non eviterà figuracce come quella rimediata sul caso di Ilaria Salis, di cui si è dichiarato ignaro, e scoprirà forse che la stampa “radical chic” non merita le tonnellate di letame da lui invocate.

Ma nella settimana abbiamo avuto anche una sorpresa: la Meloni ha il senso dell’umorismo e dell’autoironia (cosa rarissima tra i politici: solo Andreotti, Prodi e Bersani): stringendo la mano al Presidente della Commissione dell’Unione Africana, Moussa Faki, ha sussurrato, rivolta al pubblico: “Quello vero”; con un chiaro riferimento alla penosa gaffe nella quale era caduta qualche mese fa quando due comici russi, spacciandosi per il presidente africano, la avevano intervistata telefonicamente per oltre mezz’ora. Chissà se era ispirata dallo stesso fine umorismo quando, sollecitata ad esprimersi sulle catene imposte alla Salis, ha detto che in molti paesi i detenuti sono incatenati, non soltanto in Ungheria. E forse c’era dell’ironia, ma molto ben celata, nell’affermazione dell’abitualmente serioso Nordio quando in Parlamento ha detto, sempre in riferimento alla nostra connazionale incarcerata a Budapest, che in Ungheria la magistratura è indipendente. Se non scherzava dobbiamo temere che la sua riforma della giustizia tenda ad allinearla con quella magiara.

Ed infine, sempre in tema di umorismo, ma questa volta involontario, va collocato il dialogo tra l’anziana signora che manifestava in piazza per la Salis e il carabiniere che non riconosceva in Mattarella “il suo presidente” perché non lo aveva votato lui. Doveva essere uno dei due famosi carabinieri delle barzellette. Speriamo vadano in pensione presto tutti e due restituendo all’Arma la dignità che le spetta.

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