Quale programma politico?

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A pochi giorni dalla scadenza fissata per il deposito delle liste elettorali cresce lo sconforto nell’elettore di “sinistra” deluso perché, salvo ripensamenti dell’ultim’ora, il PD sarà a capo di una coalizione elettorale striminzita e quindi con scarse prospettive di affermazione. Un ricongiungimento in extremis col M5s aprirebbe a qualche aspettativa positiva, ma la cosa appare assai improbabile e non per responsabilità del solo Conte ma anche di Letta. Così come la sconsiderata scelta di far cadere il governo Draghi, per quanto gravissima, ha trovato una sponda nella inflessibilità del premier che avrebbe potuto concedere qualcosa in più anche al M5s (sarebbe certamente bastato rinunciare momentaneamente all’inceneritore capitolino), così Letta commette lo stesso errore chiudendo la porta a Conte pur avendola invece spalancata a Di Maio, a Calenda ed anche a Renzi: lo stesso errore che commette simmetricamente Conte, con l’immancabile ingerenza dissennata di Grillo.

In assenza dell’allargamento di cui sopra, al PD non rimarrebbe che l’onere di formulare un programma di governo. Tutti glielo chiedono: avversari, commentatori politici, conduttori radiofonici e televisivi ed anche molti esponenti del partito. Sembra a costoro che senza un programma di governo una lista non abbia alcun senso: ed infatti lo si chiede anche a partitini o neo-formazioni. Lo si è chiesto a De Magistris, a Paragone, il pendolare della destra (Lega, M5s e Italexit) e lo si è chiesto a “Coraggio Italia” di Luigi Brugnaro con il suo esiguo 1%, anche se mai intitolazione di un partito fu, inconsapevolmente, più appropriata alle circostanze attuali, viste le nubi minacciose che si addensano all’orizzonte. Non che un partito non debba avere delle idee da realizzare, ma bisognerebbe pur comprendere che se ciascun partito blindasse i suoi propositi non si andrebbe da nessuna parte, come ha dimostrato la vicenda del M5s in questa legislatura: per portare avanti le sue bandiere identitarie ha dovuto tollerare pesanti imposizioni o condizionamenti da parte dei vari alleati di governo.

È dunque evidente che le alleanze politiche, per non parlare di quelle meramente elettorali imposte dal Rosatellum, partoriscono, quando li partoriscono, programmi di compromesso, come tali poco entusiasmanti e coinvolgenti perché si tratta, in definitiva, di limitarli al minimo comune multiplo delle proposte di ciascun alleato: Letta potrà al massimo ribadire la fedeltà all’Unione Europea, ma già l’Alleanza Atlantica e l’invio di armi all’Ucraina provocherebbe qualche malumore nei Verdi e in Sinistra Italiana; potrebbe sottolineare la necessità di portare a compimento il PNRR ma senza riproporre sic et simpliciter l’Agenda Draghi. Potrà invece, e speriamo che lo faccia con la dovuta fermezza, impegnarsi per la riduzione delle diseguaglianze e degli squilibri territoriali, ma rimarrebbe un progetto incolore rispetto alle mirabolanti promesse del centro-destra. Per contrastarle bisognerebbe spararle ancora più grosse ma, ahinoi, i partiti di sinistra non vogliono o non sanno farlo: l’unico fu Renzi, l’infiltrato, con i suoi 80 euro mensili, iniqui sul piano redistributivo quanto inefficaci su quello del rilancio dei consumi.

Alla sinistra non resta dunque nulla da fare? Deve rassegnarsi a perdere le elezioni? No, qualcosa può e deve assolutamente fare, con buona pace di quelli che pretendono un programma politico: spiegare agli elettori che il programma politico della destra è un disegno iniquo e pericoloso che accrescerà le diseguaglianze economiche e sociali. Cosa ci vuole a far capire a un modesto impiegato che la flat tax regala dei soldi, tanti soldi, ai ricchi? È difficile spiegare a tutti i lavoratori e ai pensionati che le entrate con le quali lo Stato, le Regioni e i Comuni finanziano le spese per la sanità, la scuola, la pubblica sicurezza, la giustizia e tanti altri servizi essenziali si finanziano con le tasse? E che per dare più soldi ai ricchi e ai ricchissimi si devono togliere ai meno ricchi, oppure bisogna tagliare la spesa per questi servizi o, infine, bisogna fare altri debiti che andranno ad aggiungersi al gigantesco debito pubblico che già grava sui nostri figli e nipoti. Spiegazioni non molto diverse dovrebbero essere formulate per la cosiddetta “pace fiscale” così chiamata da Salvini ma in realtà null’altro che l’ennesimo condono fiscale tanto caro alla destra, cioè la cancellazione del debito verso lo Stato accertato nei confronti degli evasori fiscali tra i quali, com’è ovvio, non ci sono né lavoratori dipendenti, né pensionati, né tantomeno nullatenenti.

Un po’ più complicato è chiarire che la revisione del catasto, osteggiata dalla destra, è una questione di giustizia perché il valore attuale di numerosi immobili non è più lo stesso che viene loro attribuito nel vecchio registro catastale. Si chiedono i proprietari di alloggi modesti o popolari: per quale motivo il centro-destra è contrario a questo provvedimento, richiesto peraltro dall’Europa nel quadro dell’equità fiscale? Non è forse perché, tanto per cambiare, gli appartamenti situati nelle zone urbane di maggior pregio appartengono ai ricchi e ai benestanti?

Quanto all’autonomia differenziata ci vuole molto per spiegare agli abitanti delle regioni più povere che le regioni più ricche riceveranno più soldi perché intendono gestire la scuola ed altri servizi pubblici in autonomia e che per mantenere immutati i finanziamenti alle regioni che non intendono gestire questi nuovi servizi occorrerà aumentare le tasse in tutto il territorio nazionale? E cosa ne pensano gli abitanti delle regioni “non ricche” del fatto che gli alunni e gli studenti delle regioni “ricche” avranno un’istruzione diversa e forse migliore?

Queste spiegazioni andrebbero ovviamente ripetute quotidianamente, come fa la destra, in tutte le sedi da tutti gli intervistati, i comizianti e gli invitati ai talk show e magari diffusi per le strade da automobili e furgoni con tanto di megafono, come si faceva un tempo, fin quando non risulti che i programmi della destra “nuocciono gravemente alla salute delle classi meno agiate” e portano l’Italia alla bancarotta. Aggiungendo evidentemente che la sinistra combatterà queste proposte e che a sua volta si impegnerà per una equità sociale più giusta di quella attuale.

E già che ci siamo, vogliamo anche sdoganare l’arma della demonizzazione dell’avversario da parte della sinistra? I soliti puristi della tenzone politica dicono che non serve a niente, ma dimenticano la realtà storica: Berlusconi vinse nel 1994 instillando negli elettori la “paura dei comunisti” (tema ripreso anche oggi in spregio all’intelligenza degli italiani); Salvini ha fatto la sua fortuna politica diffondendo il terrore per gli immigrati e per i rapinatori ed i ladri di appartamento (da fermare con le armi prima che vi entrino: con lo stesso metro con cui ha giustificato, in primo momento, la Russia per l’invasione della “minacciosa” Ucraina); il M5s ha sfondato inculcando negli elettori delusi l’orrore per i politici di professione. Perché dunque la sinistra dovrebbe astenersi dal mettere gli elettori difronte allo sfacelo che l’affermazione della destra porterà nella condizione economica delle classi meno abbienti, nella collocazione geopolitica del nostro Paese, nel suo assetto istituzionale introducendo il presidenzialismo (un uomo solo al comando, come Putin, come Trump) al posto del parlamentarismo che saggiamente poggia sul pluralismo delle idee politiche e sul  loro confronto ed, infine, nella improcrastinabile difesa dell’ambiente?   

2 commenti su “Quale programma politico?”

  1. Sergio Pollina

    Caro Mottola,
    Come ti ho già scritto in passato, molto spesso i tuoi articoli sono quelli che mi piacerebbe scrivere se possedessi la tua capacità di espressione. Così è anche con questo. Mi permetto soltanto, sommessamente, di aggiungere che quando scrivi che Berlusconi “in spregio all’intelligenza degli italiani … ” presupponi che gli italiani siano intelligenti. Purtroppo, con le dovute eccezioni non lo sono e la dimostrazione è che hanno scelto negli ultimi decenni i governanti che si meritavano. Solo un popolo di elettori come il nostro poteva scegliere tre governi Berlusconi; e l’unico governo “buono” è quello di Draghi che, guarda caso, non è dipeso dagli elettori. Quando Kohl incontrava i primi ministri italiani esordiva con la battuta: “Con chi mi incontrerò fra sei mesi?” Abbiamo riflettuto quanto sono durati i governi della Tatcher e della Merkel? Quindi, caro Mottola, il problema maggiore non è quello dei candidati, ma degli elettori, e con questi che ci ritroviamo non sarebbe neppure impossibile che si rielegga uno che spacciò una prostituta per la nipote di un capo di governo, in spregio alla “intelligenza degli italiani”. Cordiali saluti.

  2. elio mottola

    Caro Sergio, hai perfettamente ragione ed è questo il mio cruccio maggiore. Quindi ritiro senza fiatare la mia fiducia nell’intelligenza degli italiani. Avremo, mi auguro, occasione di chiarirci che cosa intendiamo per intelligenza. Probabilmente concorderemo nel pensare che si tratta più che altro dell’istruzione, la cui decadenza ritengo irreversibile. E tuttavia credo che dovremo attivarci tutti per dissuadere gli elettori dal votare a destra. Credo che ne avrai conferma anche dal mio commento al tuo ultimo articolo, ora in fase di moderazione. Penso infine di dover una volta per tutte esprimere pubblicamente la mia ammirazione per quanto scrivi e per come lo scrivi. Un caloroso abbraccio.

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