Diario dell’inquietudine: 15 aprile 2022

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La settimana santa e la Pasqua dovrebbero essere occasione di raccoglimento, di pace e di calore familiare. Anche quest’anno invece la serenità è turbata dalla guerra in Ucraina. Ci sta dunque bene una paginetta del diario dell’inquietudine. Rende inquieti da qualche decennio anche l’abbandono delle tradizioni pasquali, violate dal consumismo e dalla massificazione dei comportamenti e dei gusti. Nelle case dove vivono bambini, adolescenti ma anche adulti consapevoli, fioccano le uova di Pasqua, altro che l’economia di guerra evocata da alcuni esperti in materia di approvvigionamenti energetici. Non che siano stati trascurati i capisaldi culinari della festa, la pastiera e il tortano, sia pure, quest’ultimo, nella sua versione moderna, degenerata verso una farcitura ridondante, che ha sostituito l’umile ma nobile casatiello di un tempo (farina, sugna, pochi “cicoli”, pecorino grattugiato, pepe e qualche uovo sodo incanestrato sulla superfice). Qualcuno ricorderà forse che nei primi anni 50 il casatiello veniva preparato in casa ma poi portato dal fornaio del quartiere, insieme al “ruoto” con l’agnello. Il fornaio provvedeva alla cottura comune di tutti i casatielli e gli agnelli che gli arrivavano, ciascuno contraddistinto da un segno che ne permetteva poi il riconoscimento al momento del ritiro.

La pastiera, al contrario, si è involuta, come il panettone, e la maggioranza la pretende senza canditi e col grano passato. La celebrazione pasquale della primavera rimane un ricordo, come lo stanno diventando lo scioglimento della Gloria, il sabato santo, che si annunciava con uno scampanio solenne all’ora del vespro, finito il quale si era autorizzati ad assaggiare il casatiello. E poi c’erano “I Sepolcri”: i fedeli, ma anche chi fedele non era, visitavano un numero di chiese rigorosamente dispari (almeno cinque, come le piaghe di Cristo o sette, come i dolori della Madonna), ciascuna delle quali allestiva uno spazio dedicato alla passione di Cristo ed all’Eucarestia, nel quale spiccavano, tra i simboli religiosi, anche abbondanti riferimenti al grano e al rifiorire della natura. I Sepolcri, detti appunto anche il “giro delle sette chiese” era anche l’occasione per una lunga passeggiata, lo “Struscio”, dalla quale poteva nascere qualche felice incontro tra anime solitarie desiderose, da tempo, di trovare un partner. Oggi i sepolcri ci sono ancora, ma contemplano la visita ad una sola chiesa e riguardano una minoranza: lo struscio langue. La poesia di Viviani che segue, dal titolo “‘O Struscio” ce dà un quadretto quanto mai realistico, anche se un po’ amaro, di quello tradizionale:

Giovedì Santo ‘o «struscio» è nu via vaie:
Tuledo è chiena ‘e gente ‘ntulettata,
ca a pede s’ha da fa’ sta cammenata,
pe’ mantene’ n’usanza antica assaie.
– Mammà, ci andiamo? – Jammo. Ma che faie?
– Vediamo due sepolcri e ‘a passeggiata.
E ‘a signurina afflitta e ‘ncepriata
cerca ‘o marito ca nun trova maie.
‘A mamma ‘areto, stanca, pecché ha visto
ca st’atu «struscio» pure se n’è ghiuto,
senza truva’ chill’atu Ggiesucristo,
s’accosta a’ figlia: – Titine’, a mammà,
ccà cunzumammo ‘e scarpe. – L’ho veduto.
E me l’hai detto pure un anno fa.

E con questi versi auguro a tutti – editore, collaboratori e lettori di zonagrigia.it – una serena Pasqua.

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