Le origini della “Scuola di Posillipo” e Anton Sminck van Pitloo

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Anton Sminck van Pitloo, La riviera di Chiaia, Museo Correale di Sorrento

Ad inizio Ottocento, quando gli artisti formatisi all’Accademia reale di belle Arti di Napoli dicevano di un pittore: “Si è diplomato alla scuola di Posillipo”, lo facevano in modo burlesco e denigratorio. A Posillipo non c’erano scuole d’arte, viveva invece una colonia di famiglie di pittori “commerciali” (i Gigante, i Carelli, i Fergola) che sbarcavano il lunario dipingendo paesaggi della città da vendere ai turisti. “Quick view painters” (vedutisti veloci) erano definiti dai viaggiatori del Grand Tour che affollavano la collina e che acquistavano queste piccole tele per avere un ricordo del promontorio mozzafiato sul golfo di Napoli.

Il livello qualitativo delle opere pittoriche iniziò ad innalzarsi quando i figli dei pittori nominati iniziarono a frequentare l’atelier dell’artista Anton Sminck van Pitloo, vedutista olandese stabilitosi a Napoli nel 1816. “Monzù Pitlò”, così era affettuosamente chiamato dai suoi allievi, era un aristocratico votato alle arti che, grazie al mecenatismo, dei Bonaparte prima e dell’ambasciatore russo Grigoric Orloff poi, ebbe la possibilità di formarsi artisticamente in Francia e di perfezionare la sua tecnica pittorica soggiornando a Londra e a Roma. Nei suoi viaggi di studio conobbe e apprezzò le opere di “pittori innovativi” come William Turner e Camille Corot. Le sue opere di paesaggio, pur tenendo conto della realtà oggettiva rappresentata, si caratterizzavano per la maniera enfatica in cui venivano illuminate. Gli effetti cromatici di albe e tramonti prevalevano sulla resa puramente illustrativa, donando alle stesse un’impronta stilistica già pienamente “romantica”. Altra innovazione del maestro olandese fu quella di “ritrarre la Natura dal vivo”, realizzando le sue opere “en plain air” (all’aria aperta), moda che sarà poi tanto cara ai pittori dell’Impressionismo francese.

La casa studio di Pitloo, al numero 11 di Vico Vasto a Chiaia, fu una vera fucina di talenti: Salvatore Fergola, Gabriele Smargiassi, Teodoro Duclère e Giaginto Gigante tra i più importanti allievi. Un aneddoto legato all’abitazione di Chiaia del pittore olandese ci racconta che il suo mecenate, conte Orloff, voleva far risiedere il suo protetto in via Nardones (presso il palazzo dell’allora ambasciata russa a Napoli) oppure all’”Hôtel des Russes”, dove alloggiavano i dignitari della Corte di Nicola I Romanov, sito all'”Area ‘o Castiello” (attuale piazza Municipio). Tuttavia Pitloo rifiutò garbatamente l’invito decidendo di andare a vivere nel borgo rivierasco di Chiaia. Fino agli inizi dell”800 infatti, il vasto territorio compreso tra le attuali piazza Vittoria e Margellina era lambito dal mare, (il toponimo napoletano “Chiaja” deriva dallo spagnolo “plaja”, cioè spiaggia), ed abitato prevalentemente da pescatori. Il pittore, che amava il suo lavoro, non gradendo “distrazioni mondane”, si sentiva a suo agio tra la povera gente che viveva di pescato.

Lo stesso Pitloo fu molto amato dai napoletani del posto che, pur non comprendendo il suo astruso idioma, provavano immenso rispetto per quello strano “furastiero” che dipingeva in spiaggia mentre loro rammendavano le reti. L’innovativa bellezza delle sue opere ed il successo commerciale, ottenuto grazie ad una facoltosa e competente committenza di respiro europeo, fecero ricredere anche i pittori classicisti dell’accademia partenopea, tanto che nel 1824 gli venne affidata la cattedra di paesaggio presso la medesima Accademia reale. Purtroppo la stessa maledetta epidemia di colera che nel 1837 stroncò la vita di Giacomo Leopardi, si portò via anche il “romantico” Pitloo all’età di 47 anni. Le sue spoglie riposano nel ex Cimitero acattolico di Santa Maria della Fede, lì dove, tra erbacce ed incuria, nel cuore di Napoli, resta piantato il seme di chi, con la sua arte, ha contribuito a rendere le bellezze della nostra città celebri nel mondo.

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