Il Cile dice addio a Pinochet

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Cittadini in Plaza de la Dignidad alla chiusura delle urne (Foto di El Mostrador)

Ieri, 25 ottobre 2020, il popolo cileno è stato chiamato alle urne per cambiare la propria Costituzione, risalente alla dittatura di Pinochet. Il nuovo “processo democratico” iniziato l’anno scorso, il 18 ottobre 2019, ha visto come prima tappa istituzionale la sfida tra l’Apruebo (consenso) e il Rechazo (rifiuto). I cileni presentandosi in massa alle urne hanno espresso una chiara volontà: l’Apruebo ha vinto con il 78,27% a fronte del 21,73% del Rechazo. Il secondo quesito della scheda elettorale riguardava invece la forma dell’Assemblea Costituente: mista o costituzionale? Mista, ossia formata per metà da membri eletti popolarmente e metà dal Parlamento, mentre la forma costituzionale interamente formata da membri eletti dal popolo. Anche in questo caso, la vittoria è stata schiacciante: la convenzione costituzionale ha raggiunto il 79,04%. In parole povere, il popolo cileno, con una semplice crocetta e esprimendosi su una nuova Costituzione, ha detto dunque addio a Pinochet e all’eredità che il dittatore aveva lasciato nella società cilena.

Come siamo arrivati a questo? Tutto è iniziato con le immagini degli studenti di Santiago che l’anno scorso scavalcavano i tornelli della metropolitana come forma di dissenso contro l’aumento del costo dei trasporti. Questa protesta si è estesa nei mesi a vari strati della popolazione. Il Cile metteva d’un tratto sul banco degli imputati il sistema sanitario elitario non in grado di tutelare le fasce più deboli della popolazione, gli studenti protestavano per un’istruzione pubblica e di qualità, si rivendicava la nazionalizzazione dell’acqua come bene comune. Il Cile infatti è il Paese con “l’acqua più privatizzata del Pianeta”. Non a caso nel 1981 Pinochet fece approvare il Codigo de agua ma nessuno immaginava che questa privatizzazione scellerata potesse restare in vigore per oltre trent’anni. Ultimo, ma non meno importante, il riconoscimento del Popolo Nazione Mapuche, popolazione indigena a cui sono stati sottratti lembi di terra che gli appartengono da oltre 500 anni e che ora chiedono un posto nella nuova Costituzione.

I cileni si sono battuti per le forti disuguaglianze all’interno del Paese e per lo stampo privatistico che caratterizza lo Stato da oltre trent’anni. Questi lunghi mesi di proteste si sono distinti per le dure violazioni dei diritti umani e l’uso spropositato della violenza da parte delle forze dell’ordine.

Ciò che sembrava potesse arrestare una forte partecipazione popolare, come la pandemia, in realtà non ha fermato il popolo cileno che anzi si è organizzato con forti atti di solidarietà all’interno dei propri quartieri.

Il ponte che collega passato e presente è proprio la giornata di ieri, nonostante le rivolte di quest’anno non abbiano trovato grandi spazi tra i principali quotidiani mondiali, è interessante osservare come un movimento nato all’esterno delle mura istituzionali abbia poi apportato un cambiamento all’interno dello Stato stesso.

Ma questo è solo il primo passo di un lungo processo che adesso vede impegnato il popolo cileno in una seconda ma non meno importante data: l’11 aprile 2021 si eleggeranno i 155 membri dell’Assemblea Costituente interamente eletti dal popolo. E avrà una caratteristica inedita nel mondo: sarà formata in parti uguali da donne e uomini, garantendo la piena parità di genere.

I quesiti adesso sono molteplici e non a tutto c’è una risposta: come saranno scardinati i pilastri dell’era di Pinochet? Quali saranno le tutele sociali che uno Stato, fino ad oggi fortemente privatistico, garantirà? La situazione cilena sarà d’esempio nel quadro latino-americano o resterà un caso isolato? Sarà solo il tempo a sviscerare tutte queste domande. Nel frattempo le immagini arrivate dal Cile stanotte hanno dato speranza alla democrazia con migliaia di cittadini che esultando iniziano a scrivere una nuova pagina di storia.

di Francesco Fusi e Rachele Renno

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