Miracoli di internet

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Edith Piaf (Foto dello Studio Harcourt per Wikimedia Commons)

Critichiamo giustamente gli eccessi e le degenerazioni nell’uso di internet, ma non si possono negare i vantaggi che la rete può offrire a chi se ne serve in maniera appropriata. Se accedi a YouTube per cercare una canzone, un cantante o per soddisfare altre curiosità a sfondo musicale, puoi venire a conoscenza di fatti insospettati, di storie prima ignote o dimenticate che sorprendono il ricercatore anche più agguerrito. E quindi può capitare che da uno spunto banale si giunga a qualche scoperta che merita di essere socializzata.

La storia che voglio raccontare parte dall’ascolto casuale di un cd che riproduce un concerto dal vivo tenuto nel 1989 da Marianne Faithfull, compagna sul finire degli anni ’60 di Mike Jagger, leader dei già affermatissimi Rolling Stones; qualcuno ricorderà la sua figura slanciata, i lunghi capelli lisci e biondi, che facevano tanto “swinging London”. Non cantava male ma ovviamente sfigurava nel confronto col suo osannato partner anche se si esibivano per lo più separatamente.

L’ascolto è subito sorprendente: la prima canzone del disco, che si immagina costituito da sole canzoni in lingua inglese, è in francese e colpisce il tema melodico dal sapore arcaico, del tutto estraneo al contesto che ci si può attendere. Il tema è un motivo cullante molto evocativo e nel testo figura la frase “Les prisons du roy” che dà anche il titolo al brano. Colpito dalla musica ma anche dalle parole che fanno pensare a passioni amorose devastanti, vado a cercarne il testo italiano su wikipedia. Non ne trovo uno men che risibile e quindi lo trascrivo in lingua originale, riportandone di seguito la mia sintetica traduzione:

Au fond des prisons du roy/ Tout au fond des prisons du roy/ Ils l’ont enfermé dans les prisons du roy,/ Aha-a-a-a…/ Messire, dites moi,/ Pourquoi ont-ils fait ça ?/ Aha-a-a-a…/ Est-il vrai qu’il ne reviendra plus jamais,/ Jamais, plus jamais…/ Parce qu’il a volé un diamant plein d’éclat/ Le plus beau des diamants pour moi ?/ Au fond des prisons du roy…/ Tout au fond des prisons du roy…/ Et je m’en souviens il m’avait dit un jour/ Aha-a-a-a…/ «Tu seras plus riche que les dames de la cour.»/ Aha-a-a-a…/ Est-il vrai que je ne l’entendrai jamais/ Jamais, plus jamais…/ Parce qu’il a volé un diamant plein d’éclat/ Le plus beau des diamants pour moi ?/ Au fond des prisons du roy…/ Tout au fond des prisons du roy…/ Messire, dites-moi,/ Est-il là pour la vie ?/ Aha-a-a-a…/ Alors, jetez-moi en prison avec lui/ Aha-a-a-a…/ Et rien ne nous séparera plus jamais/ Jamais, plus jamais…/ Car moi j’ai volé, je l’avoue et sans peur,/ Oui messire, j’ai volé son cœur…/ Au fond des prisons du roy…/ O mon amour je viens vers toi!/ Tout au fond des prisons du roy.

“L’hanno rinchiuso infondo alla prigione/ Sire, ditemi perché lo avete fatto/ È vero che non ne uscirà mai perché ha rubato per me un diamante splendente, il più bello dei diamanti?/ Ricordo che lui mi aveva detto un giorno: “Tu sarai più ricca delle dame di corte!”/ È vero che non udrò mai più, mai più la sua voce perché ha rubato il più bello dei diamanti per me?/ Sire, ditemi, resterà in prigione per tutta la vita?/ Allora gettatemi in prigione con lui e niente ci separerà più, mai, mai, mai perché ho rubato, lo ammetto e senza paura, sì, Signore, ho rubato il suo cuore/ In fondo alla prigione del Re, o amor mio vengo verso di te.”

Continuando la ricerca sulla meritoria enciclopedia on line apprendo poi che la canzone, del 1957, fu nel repertorio della mitica Edith Piaf, cantante francese che spero tutti conoscano (perché rappresenta una delle personalità artistiche più imponenti nella storia della canzone francese ed internazionale).

La sua figura dominò gli anni ’50 in Francia, in Europa e negli U.S.A. In Italia la musica francese occupava allora uno spazio inferiore soltanto a quello presidiato dalla musica d’oltre oceano. Oltre alla Piaf cantanti come il vecchio Maurice Chevalier, Charles Trenet, Yves Montand e poi Gilbert Becaud, tutti raccolti sotto l’appellativo di “chansonniers”, erano largamente popolari nella borghesia nostrana, piccola, media o grande che fosse, grazie alla diffusione che i programmi radiofonici davano alle loro canzoni.

La canzone francese era sinonimo di eleganza, profumava di Parigi ma anche di Marsiglia e talvolta di Legione Straniera, allora impegnata nella dura e cruenta guerra d’Algeria (ma la cosa non ne sminuiva il fascino, perché uscivamo tutti dalla catastrofe bellica e una guerra locale non costituiva reato). Era anche la Francia delle inchieste del commissario Maigret, di Picasso, di registi adorati anche da noi italiani, come Renoir, Carnet, Clement, dell’alta moda, dello champagne, tutti simboli dello “charme” che emanava da tutte le cose francesi e segnatamente parigine.

Di Edith Piaf la radio mandava in onda numerosi successi tra i quali “La vie en rose”, del 1946, che celebrava la fine della guerra aprendo i cuori alla speranza, e poi “Hymne à l’amour” e “No, Je ne regrette rien” solo per citare i più famosi.

Mai però si ebbe modo di conoscere qui da noi “Les prisons du roy”. Perché? Forse perché narrava un amore tanto sublime quanto drammatico? Non credo. Forse perché ritenuta “moscia” per un pubblico che allora voleva ballare anche in casa con la radio? O perché troppo sofisticata per l’ascoltatore medio? Non lo sapremo mai, ma la cosa sorprende perché il fascino di questo brano, che evoca le “segrete” di castelli oscuri dell’alto medioevo francese, quello della dinastia merovingia che tanto aveva suggestionato l’inquieta adolescenza e la prima giovinezza di Proust, ancora colpisce nel segno.

Seguendo le tracce di questo brano si scopre poi che l’autore del testo, un certo Michel Rivgauche, si chiamava in realtà Mariano George Antoine Ruiz: era francese ma evidentemente l’attrazione di Parigi funzionava anche con gli stessi connazionali che non resistevano alla voglia di essere associati alla mitica Rive Gauche della Senna, quella del Quartiere Latino e di Montparnasse, emblemi fino agli anni 70 della Parigi intellettuale, artistica ed “engagée”.

Ma la sorpresa più emozionante è stata scoprire che su YouTube è presente una versione di “Le prisons du Roy” cantata dalla Piaf su un’animazione realizzata nel 1982 da certo Fabien Ruiz, ovviamente imparentato con l’autore del testo, anche lui soggiogato dal fascino antico di questo piccolo capolavoro ingiustamente dimenticato. Miracoli di internet!

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