Le Pentite

tempo di lettura: 3 minuti
Processione delle Pentite (immagine generata con AI Copilot)

È ancora notte mentre il corteo d’‘e Pentite scende da Vico II Foria, dove si trova la “Casa di Redenzione”, verso il Borgo di Sant’Antonio Abate. Le donne nascondono il volto dietro un velo grigio e si radunano in piccoli gruppi recitando l’Ufficio delle Lodi. Siamo a metà settembre del 1920, l’aria è appena frizzante e porta dentro di sé il profumo del mare e l’idea della libertà. Qualche finestra inizia ad aprirsi sulla strada e le scarmigliate matrone si affacciano facendosi il segno della croce in direzione delle ragazze velate. Il mercato che anima la strada è già desto da tempo. Tutti gli ambulanti si affrettano ad accaparrarsi un pezzo di spazio vitale sull’acciottolato per esporre la loro mercanzia. Lo fanno in silenzio perché ‘e Pentite impongono di tacere solo con la loro mesta presenza. Intanto è sorto il sole e la più anziana del gruppo, detta la pacchiana, intona ad alta voce un canto: “Susiteve, ca chisto è ‘o primmu sabbato d’ ‘a Maronna, scetateve!”

Aveva inizio così la tradizionale devozione dei “dodici Sabati dell’Immacolata”, rito espiatorio collettivo ribattezzato dai napoletani come ‘a prucessione d’e Pentite. Così venivano chiamate le donne “traviate” o le ragazze “sedotte e abbandonate”. Affidate alle cure dei padri teatini fin dal 1631 e ospitate nel convento di Santa Maria Avvocata dei peccatori al vico II Foria a Napoli.

La sede conventuale (che attualmente ospita un centro di accoglienza diocesano per le persone senza fissa dimora) fu costruita grazie ad una donazione che il nobile Diomede Carafa fece ai frati di San Gaetano Thiene. Gli stessi frati che percorrevano il quartiere a luci rosse della Imbrecciata (zona della città a ridosso delle mura di cinta orientali in cui era consentito il meretricio),cercando povere peccatrici da redimere. Le ex prostitute, che accettavano l’ospitalità del convento, ricevano un’istruzione e avevano la possibilità di prendere i voti oppure di essere avviate al lavoro.

Questa pia istituzione fu chiusa nel Decennio Francese (1806/16) per effetto del decreto di soppressione degli ordini religiosi. Il convento di Foria fu destinato ad ospitare un opificio che produceva cordami.

Dopo la Restaurazione borbonica l’opera di redenzione continuò. I frati teatini lasciarono il posto ad una associazione laicale sotto l’egida della corona, dedicata alla Madonna del grande trionfo sul peccato. Anche i soggetti da redimere cambiarono. Infatti, se prima ad essere accolte era soprattutto “le lupe di mestiere”, adesso ci si rivolgeva esclusivamente alle figlie della borghesia o della piccola nobiltà “cadute in errore”.

I bambini nati da unioni non legittime venivano abbandonati in orfanotrofi come quello della Annunziata. Le madri espiavano le loro “colpe amorose” venendo coercitivamente rinchiuse in questa istituzione.

Le famiglie salvaguardavano il loro onore allontanando le ragazze ree di aver amato fuori dal matrimonio e pagavano una retta di mantenimento per la rieducazione della “pentita”. Anche considerando che la società di allora aveva una tassonomia dei valori molto diversa dalla nostra, questo non può giustificare le vessazioni ed il trattamento patito dalle ospiti di questa “Casa di redenzione”. Infatti se le “pentite” rinunciavano a prendere i voti, venivano impegnate in ferree ed estenuanti sessioni lavorative.

Il duro lavoro manuale e la preghiera costante sono la condotta che bisogna tenere e che costituisce il cammino della redenzione verso i peccati del passato”, recitava la “Sancta Regula” dell’eremita Benedetto, enunciata nel V secolo, e ancora tremendamente di moda per i rettori. Col passare del tempo questi ricoveri, concepiti come soggiorni di breve durata, si trasformarono in veri luoghi di detenzione.

Una bella canzone d’inizio Novecento, scritta dal poeta Libero Bovio, narra la triste vicenda di una ragazza madre a cui i genitori hanno strappato il figlio e rinchiusa nelle Pentite (si può ascoltare la commovente interpretazione di Angela Luce, postata sul suo canale youtube).

Solo negli anni Trenta del secolo scorso lo Stato mise fine a questo scempio disponendo la chiusura di tali “associazioni per la moralità” che operavano su tutto il territorio nazionale. È di pochi anni fa la notizia del rinvenimento in Irlanda di una fossa comune, con oltre cento cadaveri di donne e neonati, nel giardino di quella che era stata una Case Magdalene (istituzione molto simile a quella delle Pentite).

Chissà quante storie di dolore si celavano dietro quel “velo grigio”, tutto in nome di una moralità malata, di una misoginia sessista che come un filo rosso attraversa la storia. Un filo rosso che, purtroppo, non è ancora stato reciso del tutto.

2 commenti su “Le Pentite”

  1. Elio Mottola

    Antonio Nacarlo ci sorprende sempre con le sue riesumazioni di storie poco note o dimenticate riuscendo a trovarne quasi sempre, come in questo caso, un aggancio con la realtà attuale. Bravissimo e buon proseguimento.

Rispondi

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Torna in alto