Luca Giordano: l’uomo dietro l’artista

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Luca Giordano, ritratto di Antonio Nacarlo

Quest’anno si celebrerà il 390⁰ anniversario della nascita di uno dei più illustri figli di Napoli, il pittore Luca Giordano. Leggendo l’opera dei suoi biografi contemporanei, quali il canonico Carlo Celano e lo storico della pittura De Dominicis, si scopre che dietro le migliaia di opere dipinte c’è il racconto dell’uomo, non meno interessante del suo pensiero artistico. Attraverso aneddoti e scritti cercheremo di comprendere l’uomo per fare ampia luce sull’opera dell’artista che seppe incantare l’Europa intera con i suoi straordinari capolavori.

Luca Giordano nacque a Napoli il 18 ottobre 1634 e venne battezzato nella chiesa del Rosario di Palazzo ai Quartieri Spagnoli. Il padre Antonio, “modesto pittore di niun grido” (De Dominicis), ebbe il gran merito di intuire il precoce talento del figlio Luca e di avviarlo alla bottega del suo “compariello” (ne era stato il testimone di nozze) José de Ribera detto lo “Spagnoletto”, capofila indiscusso della scuola pittorica napoletana post caravaggesca. Luca visse e continuò ad imparare nello studio allo Spirito Santo del maestro fino alla morte del Ribera, avvenuta nel 1652. In quei nove anni fu il discepolo preferito ed ebbe modo di dimostrare tutta la sua straordinaria valentia di pittore. La proverbiale tirchieria del maestro valenziano fu per Luca vera lezione di vita. Secondo i biografi lo Spagnoletto non perdeva occasione per ripetere al discepolo: “guagliò fatti pagare per il tuo lavoro. E non rifiutare le commissioni di nessuno, ma imparati che un buon pittore deve possedere tre pennelli: uno d’oro, uno d’argento e uno di rame; in base a come lo pagano sceglie quale usare”.

Luca neanche diciasettenne è già un maestro riverito e stimato, ma la sua fame di apprendere lo spinge a viaggiare verso la fonte dell’arte. Prima arriva a Roma, dove incontra le opere dei grandi maestri del rinascimento Michelangelo e Raffaello e diviene amico di Pietro da Cortona impegnato nelle decorazioni di Palazzo Pamphili. Racconta De Dominicis che il ragazzo copiò per ben dodici volte il ciclo di affreschi delle Stanze Vaticane dell’Urbinate e i capolavori custoditi nella galleria Farnese. Il padre Antonio trasse vantaggio da questa attività vendendo ai ricchi forestieri i disegni del figlio. Da qui nacque il soprannome “Luca fa presto“, dalle continue sollecitazioni del genitore che invitava il ragazzo a sbrigarsi per produrre più materiale da vendere. “Fa presto”, leitmotiv di urgenza non solo di guadagnare ma, soprattutto, di apprendere nuovi modi di intendere l’Arte. Stanco dell’ambiente romano, dove Luca si era fatto un nome come copista (addirittura falsario, per facezia, tanto bravo da ingannare il mercante d’arte internazionale Gaspar Romer), Giordano parte per Firenze, poi raggiunge Parma ed infine Venezia. Un vero viaggio a rebours nella storia dell’arte: dalla perfezione del disegno dei maestri rinascimentali toscani, al naturalismo dei Carracci fino al magnifico luminismo veneto di Tiziano e Tintoretto. In questo periodo il suo stile si libera definitivamente dai colori cupi, retaggio della lezione riberiana: i suoi nuovi maestri ideali sono adesso Rubens, El Greco, Luca di Leida ma anche Velasquez, artisti di cui ha potuto ammirare le opere. Giordano fa suo questo immenso patrimonio rielaborandolo con la capacità straordinaria di sintesi di cui è dotato, abbandonando le scene tenebrose di tanta pittura napoletana del suo tempo per slanciarsi verso l’eterea e abbagliante nuova luce del secondo Barocco. Come ebbe a sintetizzare lo storico dell’arte Sergio Ortolani: “Un fiume immenso di luce e colore rompe gli spazi: è il sogno in cui sfocia il Barocco. Invadere di vibrazioni e vita ogni piano, ogni riposo della forma.

Luca Giordano, Trionfo della fede, Escorial – scalone principale

Il genio di Luca Giordano esplose al suo rientro in patria. Possedere un quadro del giovane maestro napoletano divenne un “must” imprescindibile per chi voleva definirsi importante. Quasi tutte le chiese della sua città, espressione dei vari ordini monastici, pretendevano un suo lavoro, ogni nobile o ben nato voleva ornare la sua dimora patrizia dei colori del Giordano. Luca accontentò tutti lavorando freneticamente per un ventennio. La sua fama travalico i confini del Regno di Napoli. Papi e regnanti iniziarono a contendersi le opere dell’artista più richiesto del suo tempo. Per averlo a Firenze, il Granduca di Toscana fece pervenire insieme alla sua richiesta una pesante catena d’oro che adornò il collo del pittore per tutti gli anni a venire. Nel 1692, all’età di 58 anni, Luca venne chiamato a Madrid alla corte di re Carlo II, trascorrendo un decennio a dipingere in esclusiva per il monarca. Luca fu tanto popolare alla corte spagnola che il re gli concesse il titolo di “caballero“. Cinque furono le grandi commesse che lo portarono al consolidamento su scala internazionale della sua pittura: il Monastero di San Lorenzo dell’Escorial, la chiesa di San Antonio dei Portoghesi, il Casón del Buen Retiro di Madrid e la sacrestia della Cattedrale di Toledo. Ma che uomo fu Luca? Possiamo conoscere il suo aspetto grazie ai numerosi autoritratti che eseguì nel corso della carriera. Un disegno del periodo romano ci mostra un giovane magro, fine, elegantemente abbigliato con i capelli fluenti ed il pizzo alla moda degli spagnoli. I biografi ci aiutano a capirne l’indole indicandoci un uomo dal carattere allegro e dalla battuta pronta. Un uomo di mondo ma, nello stesso tempo, integerrimo. Lontano dallo stereotipo dell’artista squattrinato, tormentato e maledetto. Fu infatti cittadino esemplare e padre di dieci figli, tutti felicemente sposati, a cui lasciò in eredità oltre 250.000 ducati tra proprietà e contanti. Fu inoltre maestro disponibile e amorevole per le centinaia di allievi che si alternarono, per oltre mezzo secolo, nella sua bottega. Pur potendosi fregiare del titolo di pittore di corte dei sovrani spagnoli, non fu mai borioso. Unico difetto raccontato dai biografi, raccogliendo le testimonianze dei tanti invidiosi del suo successo, fu quello di essere, come si diceva all’epoca, “portatore di fascino”, cioè di essere uno jettatore. A farne le spese il viceré di Spagna che ebbe l’ardire di maltrattare Giordano in pubblico. In capo a pochi giorni l’hidalgo fu fulminato da un infarto durante una cerimonia religiosa. Altra “vittima illustre” il pittore Claudio Coello che, invidioso del pittore napoletano, ebbe modo di sparlarne con il re. Carlo II non solo non ascoltò le amare facezie del Coello, ma lo allontanò addirittura dalla corte. L’invidioso per il dolore si ammalò tanto da morirne, non prima però che lo stesso Giordano gli andasse a rendere omaggio al capezzale.

2 commenti su “Luca Giordano: l’uomo dietro l’artista”

  1. Raffaele Catania

    L’inclusione di aneddoti personali e citazioni dirette aggiunge un livello personale che avvicina il lettore all’artista. Complimenti!

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