La vittoria del coraggio

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L’esaltante, perché inimmaginabile fino a poche settimane prima, vittoria della Todde alle elezioni sarde ci dice molte cose. La prima, la più banale, è la conferma, sciaguratamente tardiva, che solo il “campo largo” prospettato dalla Schlein può fronteggiare la destra-destra al governo. Pare l’abbia capito anche il pariolino vagante Calenda che ha finalmente aperto ai tanto detestati grillini, condividendo la scelta del candidato della sinistra alla presidenza dell’Abruzzo. Lo stesso ha fatto Renzi e bisogna augurarsi che la cosa non danneggi il candidato. Resiste ancora la Bonino che non tradirà mai il radicalismo narcisistico del suo mentore Pannella e propone un proprio candidato dalla lista +Abruzzo alla quale auguriamo un generoso 1%, approssimato per eccesso. Non lo ha capito neppure Soru che ha preferito portare avanti una candidatura tanto localistica quanto pretenziosa, mettendo a rischio consapevolmente una già difficile vittoria della sinistra: quando cesseranno i personalismi nella sinistra? Quando gli elettori di sinistra metteranno una pietra tombale sui Bertinotti, i Turigliatto, i Soru e i Santoro che hanno preferito e preferiscono tuttora ballare da soli anche quando il Paese si trova sull’orlo di un baratro?

Alla Schlein va, in particolare, il merito grandissimo di aver appoggiato la candidata proposta da Conte sulla semplice valutazione delle sue qualità e delle sue potenzialità di successo. Ma le va soprattutto riconosciuta la sensibilità di aver messo da parte lo squilibrio tra il peso elettorale del PD e quello del M5s, gesto di grande intelligenza politica perché lascia intravedere ai grillini il riconoscimento di una pari dignità. Ed è questo un passo forse decisivo per il percorso comune che i due principali partiti di opposizione possono finalmente intraprendere. Gesto anche coraggioso perché certamente non condiviso da tutto il PD: fosse andata male in Sardegna, oggi la Schlein sarebbe nell’occhio del ciclone. E di tanto coraggio la Schlein avrà ancora bisogno perché il cammino da fare insieme ai grillini, tuttora non pienamente affidabili, è pieno di insidie.

Il comportamento della Meloni nella designazione del candidato comune della destra è stato del tutto opposto: un atto di imperio nei confronti di un alleato di governo rivelatosi, peraltro, inutile e forse dannoso per l’intera coalizione. La Meloni avrebbe potuto, pur ponendo il veto sulla ricandidatura del presidente leghista uscente, aprire un dialogo con tutti gli alleati: possibile che in Sardegna non ci fossero soggetti meno impresentabili di Solinas e Truzzu? In realtà la Meloni vuole fare l’“asso pigliatutto”; non le basta che il candidato alle prossime elezioni abruzzesi, Marsilio, un suo fedelissimo, non sia stato messo in discussione dagli alleati. Non contenta, contrasta anche la ricandidatura di Zaia in Veneto, un po’ per mortificare Salvini e un altro po’, chissà, per castigare Zaia, reo di aver proposto una legge regionale sul fine vita senza averle chiesto l’autorizzazione (che peraltro non sarebbe mai arrivata). La Meloni, ormai è chiaro, intende il governo di un paese come l’occupazione di tutti i centri di potere, anche locali, con i suoi fedelissimi.

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