Quando il gioco si fa duro

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Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella (Fonte: https://www.quirinale.it/page/biografia)

I tre mesi che ci separano dalle elezioni europee preoccupano. Il venticello autoritario, che si era già sollevato all’indomani dell’insediamento del governo Meloni con l’emanazione del cosiddetto “decreto Rave”, si è via via rinforzato fino a diventare un vento costante che potrebbe degenerare in una bufera. Superfluo enumerare tutti i gradini che la maggioranza al governo ha salito giorno dopo giorno adottando provvedimenti autoritari e illiberali. Superfluo anche menzionare i richiami, più o meno larvati, espressi dal Quirinale con la consueta discrezione: sono stati tutti puntualmente ignorati nella sostanza anche se falsamente accolti con una sufficienza irritante per noi e figuriamoci per Mattarella.

Ci si domandava qualche tempo fa, proprio sulle pagine di questo giornale, fino a quando avrebbe retto la pazienza (e la salute) del nostro ottantaduenne Capo dello Stato, ma dopo l’inedito e fermo monito da lui lanciato a seguito dei fatti di Pisa e di Firenze, siamo probabilmente prossimi al limite. Ciò, in particolare, per la levata di scudi della Meloni, di Salvini e dello stesso, abitualmente pacato, Tajani che hanno riversato le cause dei pestaggi sugli studenti e sulla sinistra che ne ha preso le difese. La Meloni ha addirittura accusato Mattarella, celandolo sotto la generica e dunque ambigua categoria delle “istituzioni”, di ostacolare le forze dell’ordine, affermazione gravissima che la Meloni ha poi dirottato, ma solo a distanza di quattro giorni e con la consueta faccia tosta, sui deputati della sinistra che però non sono “istituzioni”. In occasione della rettifica la Meloni ha tenuto anche a precisare che tra lei e il Presidente c’è il massimo accordo, cosa che contrasta con la realtà dei fatti.

La premier Meloni (Fonte: https://www.governo.it/it/il-presidente)

Ma la realtà dei fatti sembra totalmente estranea alle esternazioni della Premier che è tornata anzi a replicare per l’ennesima volta la fandonia secondo la quale la riforma del premierato da lei agognata non intacca i poteri del Capo dello Stato. Chissà se la Meloni si rende conto che con le sue scivolate, anche in politica estera, rischia di perdere di credibilità in Europa e nell’Occidente. I suoi atteggiamenti irridenti nei confronti delle opposizioni, sostenuti da una vis retorica degna dei suoi padri politici ma arricchita, o forse banalizzata, da facezie ad effetto, in stile “Bagaglino”, come quelle miserevolmente profferite a Cagliari alla vigilia delle elezioni, e in parte ripetute anche in Abruzzo, suonano palesemente stonate rispetto alla patina di dolcezza, di angelica cordialità che esibisce negli incontri ufficiali. Qui da noi si fatica ad accorgersene perché un sistema mediatico, che definire compiacente è riduttivo, esalta l’azione di governo e sfrutta senza scrupoli ogni minima occasione per attaccare ferocemente la sinistra: l’ultima è la vicenda dell’indagine aperta dal capo della Procura di Perugia, Raffaele Cantone, sulle presunte violazioni della banca dati della DIA (Direzione Investigativa Antimafia). La stampa di destra e le reti televisive amiche vanno sbandierando che ci sarebbe stata un’attività di dossieraggio nei confronti di esponenti del Governo, smentita per il momento dalla stessa Procura, omettendo l’unica notizia certa, rappresentata dai compensi per consulenze svolte per “Leonardo” ed altre imprese di armamenti da Guido Crosetto prima di assumere la carica di ministro della difesa: nulla di penalmente rilevante ma la spia di un possibile conflitto di interessi che avrebbe dovuto sconsigliare di attribuirgli l’alto incarico di governo. Una vicenda che la Meloni ha distorto in chiave vittimistica, domandandosi chi siano i mandanti degli accessi abusivi ai dati personali di personaggi noti, della politica e non, ma gettando un sospetto sui giornalisti del quotidiano “Domani” e addirittura sul suo editore Carlo De Benedetti.

Il polverone sollevato potrebbe tornare molto utile in vista delle imminenti elezioni abruzzesi e bene ha fatto la Schlein a mostrare sulla vicenda e sui suoi possibili risvolti la stessa indignazione della Premier e dei suoi fedeli giannizzeri depotenziandone in tal modo l’influenza sugli elettori abruzzesi. Le indagini ci diranno se i fatti emersi, proprio a seguito di una denuncia di Crosetto, configurino reati e a carico di chi, ma il timore è che, comunque si risolvano le elezioni in Abruzzo, la destra di governo eleverà il livello dello scontro con le opposizioni e con Mattarella. Le occasioni non mancheranno, sia con le manifestazioni pro Palestina che con quelle degli studenti in risposta agli atteggiamenti violenti adottati con sempre maggior frequenza da frange delle forze dell’ordine, che appaiono, episodio dopo episodio, non casuali ma frutto di una strategia intimidatoria forse alla base della stessa denuncia di Crosetto. Se questo è il clima che la Meloni intende sfruttare, possiamo essere certi che sarà amplificato dai media che le sono fedeli, con le ormai note deformazioni della verità volte a denigrare gli oppositori e ad alimentare il vittimismo che tanto spazio occupa, da sempre, nella propaganda della destra.

Bisogna solo sperare che la foga propagandistica della destra al governo si accontenti di strumentalizzare le occasioni che le vengono offerte dalla realtà. Non vorremmo che ad esse, ed alle falsità spesso messe in circolazione con disinvoltura e senza pudore (il numero di nuovi occupati nella costruzione del ponte sullo stretto, il premierato che non comprime i poteri del capo dello Stato, ed altre ancora), dovesse aggiungersi l’ingannevole fomentazione di disordini di piazza o la simulazione di gravi, ma inesistenti, minacce ad esponenti di spicco della destra. Non dimentichiamo che ai margini dell’estrema destra è sempre esistita, sin dalla nascita della Repubblica, una zona d’ombra nella quale si incrociavano anche i servizi segreti deviati e la criminalità più o meno organizzata. Ne danno prova gli esiti dei numerosi processi seguìti alle svariate stragi che hanno insanguinato il nostro Paese. Se a questi strumenti propagandistici “tradizionali” più o meno sleali o illegali si aggiungono le fake news che imperversano sui social e che, sotto la guida di sapienti manipolatori russi avrebbero, come riportato dalla stampa internazionale, favorito la Brexit e l’elezione di Trump alla presidenza degli Stati Uniti, c’è di che non dormire la notte.     

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