Luca Giordano: una Mostra con poca fortuna tra Parigi e Napoli

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Luca Giordano, San Gennaro intercede per la peste, quadro in prestito al Museo di Capodimonte dalla chiesa di Santa Maria del Pianto, Napoli (Fonte Wikimedia Commons)

A scanso di equivoci, chiariamo subito il senso di questo titolo: la mostra “Luca Giordano – Dalla natura alla pittura”, in corso presso le Gallerie del Museo di Capodimonte, è bellissima; almeno a giudicare da quel che abbiamo potuto vedere con una visita online, in una sorta di DAD con i curatori: la mancata fortuna è chiaramente legata al momento storico in cui si sta svolgendo. Già organizzata nel 2018 a Parigi nelle sale del Petit Palais, con il titolo “Il trionfo della pittura napoletana”, ha dovuto fare i conti con l’atmosfera tesa che permeava la Ville lumiere, costretta ogni sabato ad assistere e subire le manifestazioni violente inscenate dai “Gilet gialli”; la mobilità era di fatto paralizzata ed il clima di tensione generatosi non stimolava la voglia della gente di godere dell’Arte. Una volta rientrate in Italia le opere, in buona parte già facenti parte della Pinacoteca di Capodimonte, insieme ad altre in prestito dal Prado, da collezioni private o dalle Chiese di Napoli, la mostra rinasce in una forma più intima, negli spazi più limitati della Sala Causa a Capodimonte, che già di recente aveva ospitato le rassegne su Caravaggio e Gemito; l’inaugurazione viene fissata per il 6 aprile 2020, ma non se ne fa niente perché in quei giorni ci troviamo a fare i conti con il nemico allora sconosciuto che ancora oggi, a distanza esatta di un anno, non dà segni di cedimento. Cancelli chiusi, qualcosa la vediamo sul web, la situazione pandemica migliora un po’… si riapre ad ottobre! Ci siamo illusi, tre settimane e tutto ripiomba nel buio; i capolavori sono ancora lì, ma nessuno può vederli, respirarli, immergersi nella loro bellezza; lunedì 12 aprile 2021 si sbaracca definitivamente. Dunque una grande occasione andata sprecata, ma forziamoci di pensare positivo, come è giusto fare in questi tempi così atipici; molto possiamo recuperare poiché stiamo parlando di un artista napoletano, quindi pienamente presente nella nostra città.

Luca Giordano nacque a Napoli, forse dalle parti di S. Anna di Palazzo, probabilmente nel 1634 (o, secondo alcuni, nel 1632), figlio di pittore, quindi sin da subito a bottega, incominciò ben presto a produrre opere che non potevano non risentire dell’eredità lasciata dal ciclone Caravaggio e dai suoi epigoni quali Cavallino, Caracciolo e soprattutto Ribera, di cui fu apprendista e dal quale si usa dire fosse stato “contagiato”: basti confrontare il suo “Apollo e Marsia”, in mostra ma già facente parte del patrimonio di Capodimonte, che se non è la fotocopia dello stesso tema descritto dal grande “Spagnoletto” (così era soprannominato a Napoli Jusepe de Ribera), poco ci manca, come pure la serie dei “filosofi” chiaramente influenzata dal maestro. Dunque un “caravaggesco per forza” nei primi anni di attività, ma che nel corso della vita, a seguito di committenze quasi esclusivamente religiose, virerà dal tenebrismo del maestro lombardo al classicismo barocco, di cui può essere considerato uno dei massimi esponenti, fin quasi anticipando il Rococò, lasciando splendide tele e meravigliosi affreschi in ogni parte d’Europa. Del resto, la sua vita fu lunga (settantuno anni per l’epoca erano quasi un record) e ricca di soddisfazioni. Intorno ai vent’anni intraprese a viaggiare in Italia, soprattutto a Roma, dove ebbe modo di confrontarsi con lo stile di Pietro da Cortona, ed a Venezia dove poté ammirare l’opera del Veronese e del Tintoretto, non tralasciando, nel contempo, di dedicarsi allo studio di Michelangelo, del Correggio e di Rubens. Intanto le chiese di tutta Italia andavano riempiendosi dei suoi lavori, anche perché era dotato di una velocità esecutiva non comune, al punto d’essere nominato “Luca Fapresto” (pare però che tale appellativo gli fosse stato affibbiato dal padre, di cui era aiutante). La popolarità andava aumentando ed anche le Corti europee imparavano ad apprezzarlo, tanto che, al culmine della carriera, oramai sessantenne, fu chiamato a Madrid dove restò per circa dieci anni, in qualità di “Pittore di camera del Sovrano Carlo II”. Dal Prado viene appunto un’opera, in esposizione, alquanto particolare: trattasi di un tondo raffigurante la Madonna con bambino e San Giovannino, firmato Raffaello, che realmente potrebbe sembrare un lavoro del genio urbinate, un “falso” dunque; ma, come ha tenuto a precisare Stefano Causa (uno dei curatori della mostra)  nel corso del webinar a cui abbiamo assistito, sarebbe forse più corretto usare il termine “cover” perché Luca non ha dipinto e firmato l’opera tentando di spacciarla per un Raffaello a scopo speculativo, come magari altri faranno dopo di lui: il suo, piuttosto, voleva in tutta franchezza essere un omaggio al maestro, del quale aveva studiato la tecnica al punto tale da assimilarla (Stefano Causa usa il termine “cannibalizzato”, come se Raffaello fosse stato incorporato da Giordano). Forse inconsciamente era un voler mettersi alla prova, vedere se riusciva a toccare le vette raggiunte dall’altro, basandosi sul ricordo e sulle impressioni che aveva tratto ammirandone i lavori.

Considerato che Caravaggio, benché non napoletano, era l’artista più in voga del momento (la sua descrizione dei vicoli di Napoli ne “Le sette opere di misericordia” del Pio Monte è emblematica) e non avrebbe lasciato ai posteri tanto spazio per emergere, la popolarità di Luca forse non si avvicinò a quella del Merisi, ma forse nemmeno la cercava! Tante erano le differenze fra i due: collerico, fumantino, dissoluto, poco affidabile l’uno; tranquillo, oculato, buon padre di famiglia l’altro. Caravaggio fu l’ideatore del “Realismo”, Giordano se ne discostò ben presto in quanto la realtà era sotto gli occhi di tutti, in ogni momento; lui invece aspirava a rappresentare un’altra dimensione, quella che porta al Cielo.

La tematica prevalente fu perciò quella sacra, pur tuttavia in una delle opere esposte, “San Gennaro che intercede per la peste”, proveniente dalla Chiesa di S. Maria del Pianto, possiamo vedere come il nostro non disdegnasse di descrivere un episodio, ampiamente documentato da Micco Spadaro, appunto la peste a Napoli del 1656 alla quale fortunatamente scampò, che ci riporta al momento attuale; infatti, se nella parte alta della pala sono raffigurate le Santità, la parte bassa, quella più vicina al popolo, vede appena emergere sullo sfondo la città permeata di nebbie e miasmi, nella quale in primo piano giacciono i cadaveri dei poveracci colpiti dal morbo (chissà che queste figure non abbiano successivamente influenzato Gericault nel dipingere “La zattera della Medusa”); ebbene, poco più indietro possiamo notare un personaggio, un monatto, con tanto di mascherina. Ecco che la storia si ripete!

La mostra è stata fortemente voluta da Sylvain Bellenger, direttore di Capodimonte, e dedicata a Ferdinando Bologna, grande storico dell’arte deceduto esattamente due anni fa, che di Capodimonte come lo apprezziamo oggi fu il creatore. In tempi normali avrebbe attirato frotte di appassionati d’arte, sia cultori che neofiti; oggi abbiamo dovuto accontentarci di una visita virtuale.

Lastra tombale di Luca Giordano (Foto di A. Ferrara)

Ma, almeno in questo caso siamo fortunati, perché con questo artista così prolifico al quale sono attribuite circa tremila opere fra quadri, affreschi, disegni, incisioni e decorazioni su vetro, disseminate per l’Europa, se proprio non riusciremo in tempi brevi ad andarcele a godere al Prado o al Palazzo reale di Madrid, all’Ermitage di San Pietroburgo, a Vienna, a Firenze, a Roma o a Venezia, nulla ci impedisce di organizzarci un tour personalizzato almeno fra le chiese di Napoli, allestendo una nostra mostra individualizzata, magari partendo da San Pietro ad Aram dove sono testimoniati i suoi esordi, passando per l’Ascensione a Chiaia dove incontreremo “San Michele che sconfigge gli angeli ribelli”, dipinto a ventitré anni (nel quale, secondo la mia personale opinione, emergono delle note che rimandano al manierismo di Marco Pino da Siena, le cui numerose tele presenti a Napoli non poteva non aver visto), proseguendo per i Girolamini, dove nella controfacciata troveremo “La cacciata dei mercanti dal tempio”, e poi dirigendoci a San Martino, per finire a Santa Brigida, dove affrescò la cupola con l’Apoteosi della Santa e dove i suoi resti riposano sotto una lastra tombale che così recita:  “A LUCA GIORDANO NAPOLETANO, ORNAMENTO DEL SUO SECOLO E DELLA PATRIA, A GARA RICHIESTO DAI PIÙ IMPORTANTI UOMINI, CARISSIMO AL RE CARLO II DI SPAGNA, TOLTO AI VIVI A SETTANT’ANNI NELL’ANNO DEL SIGNORE 1705”. Sono sicuro che i suoi splendidi colori ci faranno per un attimo dimenticare le zone rosse, gialle o arancioni con le quali da troppo tempo stiamo facendo i conti.

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