Quando il nuovo soccombe al vecchio

tempo di lettura: 4 minuti
L’Aida all’Arena di Verona (foto di Eduardo Manchon)

Capita spesso di incrociare sulle pagine dei giornali o sugli schermi televisivi dibattiti talvolta molto accesi sulle regie del teatro d’opera, ritenute dalla parte più tradizionalista della critica e del pubblico poco o per nulla rispettose dell’ambientazione originaria e quindi decisamente dissacranti. La questione, per chi non avesse interesse all’opera lirica, investe un po’ tutta la sfera del lavoro artistico contemporaneo e quindi merita un minimo di attenzione.

Una premessa di ordine storico è d’obbligo: la regia operistica non occupava in passato che un ruolo marginale rispetto alla messa in scena dell’opera, il successo della quale dipendeva dal valore dei protagonisti cioè dalle loro qualità vocali e, un po’ meno, da quelle attoriali. Le cronache dell’800 non davano quindi molto spazio alla regia né alla scenografia e neppure ai costumi. Per incontrare in Italia eventi operistici realmente valorizzati dalla regia occorre guardare ai primi decenni del secondo dopoguerra e alle messe in scena di Luchino Visconti, di Giorgio Strehler e di Zeffirelli. Il valore aggiunto delle loro impostazioni poggiava sulla cura della recitazione e dei movimenti scenici nonché su qualche sottolineatura espressiva e sul senso estetico della scenografia, più ricca con Visconti e Zeffirelli, più stilizzata con Strehler. Per quanto tuttora apprezzato, il loro approccio appare però agli occhi delle nuove leve irrimediabilmente datato.

Fatta questa premessa, chiediamoci: in che modo un regista può dire qualcosa di nuovo nell’opera lirica? e fino a che punto può spingersi la ricerca del nuovo? Di fatto, il lavoro di rivisitazione si concretizza prevalentemente nella trasposizione temporale degli eventi narrati, posponendoli per lo più ad epoche più recenti ed ancora più spesso a quella attuale. Il precursore conclamato di queste attualizzazioni è stato il francese Patrice Chèreau che nel 1976 “aggiornò” l’intero “Anello del Nibelungo” di Wagner. La cosa fece scalpore, suscitando prevedibili perplessità ma poi divenne un punto di riferimento. Ormai si assiste correntemente a capolavori di Mozart, come ad esempio “Le nozze di Figaro”, con personaggi in abiti moderni.

La semplice attualizzazione si è poi rivelata nel tempo scontata e quindi non più sufficiente a caratterizzare il risultato. L’inventiva delle nuove regie, pur non abbandonando le forzature della coordinata temporale, si è quindi rivolta a quella dello spazio realizzando modifiche radicali dell’ambientazione geografica o logistica della vicenda. Vediamo quindi un “Viaggio a Reims” di Rossini ambientato in un moderno resort, che si immagina dotato di piscina, sauna e massaggiatori/trici. Il Falstaff di Verdi viene estirpato dalla fine del XV secolo per ritrovarsi ambientato in un sobborgo e in una lussuosa residenza, forse entrambi londinesi. Altrettanto si fatica a convincersi che “Così fan tutte” di Mozart sia ambientato a Procida sul finire del ‘700. Neanche lo spazio scenico viene poi risparmiato da questa irrefrenabile spinta innovativa: ascensori, piani inclinati inverosimili, porte ingigantite fino al punto di ridurre i personaggi a lillipuziani. Ed infine, raschiando il fondo del barile, introduzione sulla scena di strutture ed oggetti totalmente estranei sia alla narrazione che all’ambientazione storica e logistica: zampe di elefante, entrobordo da dodici metri, pendoli di Foucault che si riflettono in uno specchio ed altro, giustificandone l’uso con intenti metaforici di difficile comprensione o comunque interpretabili da ciascuno a modo suo, salvo poi scoprire, una volta letta qualche illuminata ed illuminante recensione, che la propria visione era del tutto sballata.

L’impressione è quindi che si cerchino, dappertutto e con assoluta libertà, spunti caratterizzanti che rendano una regia “unica” e magari indimenticabile: Calisto Bieito, regista spagnolo celebrato in tutto il mondo, ha sistemato al centro della scena della “Carmen” di Bizet, suo cavallo di battaglia, una berlina anni sessanta (di preferenza una Mercedes), che diventa il catalizzatore di tutta la vicenda. Per non dire dell’ultimissima trovata del regista Leo Moscato il quale, per render omaggio alle vittime dei femminicidi, capovolge il finale della storia facendo morire Don Josè per mano di Carmen. Magnifico!

Presa visione di un bel po’ di messe in scena, o delle loro parti significative, si fa strada il dubbio che l’attualizzazione a tutti i costi sia perseguita per sfruttare al meglio l’avvenenza femminile. Un secolo fa un mezzosoprano aveva spesso la stazza di un soprano e mezzo mentre oggi il mondo dell’opera dispone di cantanti brave ed anche di bell’aspetto quando non addirittura da concorso di bellezza, capaci di rendere finalmente credibili le protagoniste di “Traviata”, “Carmen”, “Manon Lescaut” ed altre eroine. In abiti sette-ottocenteschi risulta infatti arduo mettere in risalto le grazie femminili (alcuni ci riescono comunque), mentre in abiti moderni è più facile ricorrere a scollature, minigonne, tacchi a spillo ecc, com’è evidente anche in questo brano de “Le nozze di Figaro”. Dal quale si evince, se non fosse ancora chiaro, che molte di queste regie “avveniristiche” si rivolgono a un pubblico maschile che non ama solo la musica oppure a qualche marito sonnacchioso che accompagna a teatro la moglie melomane e che bisogna in qualche modo coinvolgere. E quindi abbondano palpeggiamenti plurimi aggravati, scene di nudo, spesso anche integrale: il celeberrimo duetto dal “Don Giovanni” di Mozart, “Là ci darem la mano”, potrebbe essere tranquillamente reintitolato “Là ci darem da fare”. Archiviata la stagione dei tenori “di peso”, tipo Pavarotti, anche al pubblico femminile vengono ammanniti tenori, baritoni e bassi più o meno atletici, se non palestrati, che mostreranno i bicipiti e gli addominali: poca cosa, in verità, ma lo sfruttamento della bellezza femminile è tuttora prevalente, come ci mostra tanta pubblicità.

Tutti gli artifici di cui si è detto trovano un’efficace sintesi in questa scena dell’ “Idomeneo” di Mozart, per la regia dell’osannato Damiano Michieletto, dove un’Elettra con abitino di lamé, borsetta di strass, occhialoni da sole, reduce evidentemente da una festa, si aggira in uno spazio coperto di scarpe e stivali maschili dismessi, che vogliono probabilmente simboleggiare un campo di battaglia ma che, per lo spettatore sprovveduto, rappresenta quel che resta di una bottega da calzolaio invasa dal fango.

In definitiva le rivisitazioni del teatro d’opera improntate alla ricerca sfrenata del nuovo e del personale non convincono perché conducono ad una perdita di senso. Cosa vuol dire trasferire ai nostri giorni vicende e comportamenti umani giustificati al tempo in cui si svolgevano i fatti ma già poco credibili all’epoca in cui gli autori ne concepivano la narrazione? Non a caso l’”Aida” di Verdi, composta nel 1870 ma ambientata nell’Egitto di duemila anni prima, fu rappresentata (e lo è stato per oltre un secolo) con scene e costumi pertinenti. Opere come “Carmen”, “Traviata” e “Boheme” non ponevano invece particolari problemi di rappresentazione scenica perché le loro vicende si svolgevano proprio al tempo della loro creazione. E tuttavia da allora è trascorso più di un secolo: anche ciò che era attualità è diventato storia e come tale dovrebbe sopravvivere al riparo da sospetti interventi di ammodernamento. Non a caso si sono tenuti alla larga da ogni tentazione revisionista registi cinematografici come Ingmar Bergman, autore di un indimenticabile “Flauto Magico”, Joseph Losey col suo “Don Giovanni” e il nostro Francesco Rosi con la “Carmen”.

La smania di rivisitare, di riambientare, di rinfrescare i capolavori del passato rivela in realtà la pochezza delle nuove creazioni, cioè la crisi della produzione operistica contemporanea. E ciò vale, ahinoi, per molte forme di arte delle quali possiamo dire che hanno concluso il loro lungo ma non eterno ciclo vitale e sulle quali avremo modo di tornare.

1 commento su “Quando il nuovo soccombe al vecchio”

  1. Condivido appieno l’analisi di Elio sempre puntuale ed approfondito. Personalmente amo l’opera presentata in maniera tradizionale, con abbondanza di scenografie e varietà di costumi, pur non disdegnando alcune messe in scena più moderne ed agili. Gli archetipi di riferimento sono certamente le “Traviate” di Visconti e Zeffirelli, forse la perfezione, dove magari le posate sul tavolo erano d’argento bordate d’oro ed i calici in puro cristallo di Boemia, ma mi chiedo se al giorno d’oggi, con i vari problemi che il Teatro lirico si trova ad affrontare, ultimo dei quali il Covid, sia ancora possibile riferirsi a quel tipo di allestimento. E poi la ragione di taluni stravolgimenti potrebbe non essere di sola natura economica, forse si pensa, modernizzandole, di avvicinare al mondo del Melodramma categorie di persone che ne sono fuori?! E’ evidente che alla base dell’opera, nella quasi totalità dei casi, c’è una storia d’amore e quindi veniamo al discorso della fisicità degli interpreti; quanto più credibili, in un contesto amoroso, sono cantanti come Carmen Giannattasio o Carmela Remigio o, meglio ancora la Netrebko di qualche decennio fa non ancora sovrappeso, piuttosto che un Rolando Villazon o un Ismael Jordi, rispetto alle Caballé ed ai Pavarotti? Calcolato che l’incidenza della musica nel totale di un’opera sia almeno del 51 percento, e questo spiegherebbe perché il pubblico apprezza anche le esecuzioni in forma di concerto, è evidente che anche l’occhio vuole la sua parte e tutto diventa più apprezzabile e fluido con una regia all’altezza. Io, durante il lockdown, quando RAI5 ha trasmesso centinaia di opere, mi sono goduto fino alla fine un “Don Giovanni” in cui la scenografia era costituita unicamente da due grossi parallelepipedi scuri, che ricordavano tristemente le opere scultoree di Richard Serra. In sostanza, vorrei dire che l’Arte tutta cambia con il tempo, l’importante è riuscire a distinguere ciò che ti da veramente una scarica emozionale da ciò che invece è solo mistificazione.

Rispondi

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Torna in alto