Una lezione particolare

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Disegno di A. Nacarlo

Erano gli ultimi giorni di scuola prima delle vacanze invernali, nell’aula però sembrava primavera. Già dalle otto del mattino i raggi del sole, superata la barriera dei palazzi in via Santa Teresa degli Scalzi, avevano invaso i locali della scuola media statale “Salvatore Capurro” attraverso gli ampi finestroni. All’inizio della terza ora, poi, la piccola aula della terza B esposta a mezzogiorno, sembrava una serra.

La professoressa era entrata da poco; sedutasi dietro la cattedra con aria arcigna, aveva inforcato gli occhiali e aperto il registro dei voti. Mentre l’unghia laccata di nero dell’indice della mano destra iniziava a scorrere le pagine, a una sola cosa pensavano gli alunni impauriti e religiosamente silenziosi: interrogazioni a sorpresa!

“Non ci voleva proprio – disse Orny, mentre riponeva lo smartphone all’ultima moda con la cover piena di lustrini rosa, quindi rivolgendosi alla compagna di banco – Cry ieri sono stata al centro commerciale con il mio “love” e i libri in mano non li ho presi proprio…  Tu sei brava a scuola, inventati qualcosa per distrarre la prof! Ti prego, ti prego, ti prego…”.

Cry non sopportava di vedere l’amica del cuore in ambasce e poi era davvero curiosa di chiedere alla professoressa una cosa che l’aveva colpita mentre guardava la televisione: “Prof…” – la ragazza alzò la mano aspettando il permesso di parlare.

“Maria Cristina, se ti vuoi offrire volontaria all’interrogazione per salvare i tuoi compagni, apprezzo il gesto ammirevole ma sono costretta a…”

“Veramente volevo chiederle il significato di una cosa vista al telegiornale pochi giorni fa…”

“Dimmi pure allora” – la professoressa si tolse gli occhiali incuriosita.

“W l’Italia anti-fascista”, che senso ha gridarlo dagli spalti di un teatro nel 2023?

La professoressa, rimasta letteralmente a bocca aperta, abbandonò il registro alzandosi dalla sedia e, aggirata la cattedra, vi si accomodò sul bordo.

“Beh, Maria Cristina, hai fatto una domanda molto interessante e anche molto attuale. Sai cos’è il fascismo?” − chiese la professoressa, guardando la classe con aria seria.

“Era una forma di governo autoritaria e violenta, che non rispettava i diritti delle persone e che voleva imporre una sola visione del mondo” − rispose Maria Cristina, ripetendo quello che aveva letto su un libro.

“Brava. E sai che cosa ha fatto il fascismo in Italia?” − insistette la professoressa.

“Abolì la democrazia, perseguitò gli oppositori politici, instaurò una dittatura, fece alleanza con la Germania nazista e portò il Paese alla seconda guerra mondiale” − elencò Maria Cristina, con un tono di voce più basso mentre contava sulle dita di una mano….

“Giusto. E cosa hanno fatto gli italiani per liberarsi dal fascismo?” − domandò la professoressa, cambiando tono di voce e facendo un sorriso.

“Dopo la destituzione di Mussolini, molti combatterono partecipando alla Resistenza” – disse la ragazza, con un lampo di orgoglio negli occhi.

“E sai pure cosa è successo a Napoli nel settembre del 1943?” − chiese la professoressa, alzando un sopracciglio.

“No, non lo so” − ammise Maria Cristina, incuriosita.

“Allora vi racconterò una storia che riguarda proprio la nostra città”. – Bastò uno sguardo inquisitorio da sopra gli occhiali dell’insegnate per placare il mormorio della classe – “Una storia di coraggio, di dignità, di amore per la libertà. La storia di un popolo e di una ragazza poco più grande di voi…”.

Un sospiro generale si alzò dall’aula, il pericolo interrogazioni a sorpresa era passato. Sì, si sarebbero dovuti sorbire il racconto, certamente palloso della prof, ma con un po’ di fortuna sarebbero arrivati indenni alla quinta ora.

“Chi di voi abita qui a Materdei?” – chiese la prof severa spegnendo ogni residuo entusiasmo…

Diverse mani si alzano nella classe compresa quella di Maria Cristina.

“Anche Maddalena Cerasuolo, una delle protagoniste di questo racconto, era nata qui, in Vico Neve al civico 26. Suo padre era un reduce della prima guerra mondiale ed un anti-fascista convinto, che aveva subìto dal regime tante persecuzioni e violenze per le sue idee. Maddalena, che tutti chiamavano affettuosamente Lenuccia, aveva imparato da lui a non avere paura e a lottare per i suoi diritti. Lei lavorava in una fabbrica di scarpe ed era una ragazza intelligente e curiosa. Nel 1940, quando scoppiò la guerra, Lenuccia aveva 20 anni e viveva con i tanti fratelli e sorelle nella sua casa piccola e umile, ma dove non era mai mancato l’affetto. Lenuccia, come tutti i suoi concittadini di quel tempo, doveva affrontare tante difficoltà e pericoli in quegli anni terribili: le bombe, i fascisti, la fame, le malattie… Ma non si perse mai d’animo e continuò a sperare in un futuro migliore”. – La professoressa studiò la classe fingendo di pulirsi gli occhiali appannati: l’iniziale disattenzione quasi generale dei ragazzi si stava trasformando in fascinazione per la storia raccontata.

“Nel settembre 1943 la vita divenne ancora più dura per tutti i napoletani. In tre anni di guerra Napoli era stata colpita duramente da oltre duecento bombardamenti (centosessanta solo in quell’anno) che avevano fatto strage tra i civili, ammazzandone più di venticinquemila. L’armistizio firmato a Cassibile l’8 settembre 1943 prevedeva la resa incondizionata dell’Italia, la fine dell’alleanza militare con la Germania e la partecipazione alla guerra del nostro esercito al fianco degli anglo-americani”.

“I vecchi alleati divennero nostri nemici all’improvviso?” – disse un ragazzino occhialuto al primo banco –

“Esattamente, Francesco, lo stato maggiore italiano lasciò soldati e popolazione allo sbando. Il 12 settembre 1943 il colonnello tedesco Scholl assunse il comando assoluto della città di Napoli con un proclama in cui impose lo stato d’assedio, il coprifuoco e la consegna delle armi ai residenti. I tedeschi saccheggiarono magazzini e distrussero fabbriche e infrastrutture. La furia della Wehrmacht travolse soldati sbandati e cittadini inermi. Molti edifici vennero invasi e dati alle fiamme. I passanti bloccati per le vie e costretti ad assistere, in ginocchio, alle esecuzioni sommarie di carabinieri, marinai, semplici questurini, colpevoli di voler esercitare semplicemente le loro funzioni. Le forze armate tedesche stavano mettendo in atto una distruzione metodica della città che, secondo gli ordini diretti di Hitler, avrebbe dovuto essere ridotta ‘in fango e cenere’”.

“Uà! e che gli avevamo ucciso i figli piccoli nella connola (la culla) …”

Una sonora risata generale evidenziò due cose agli occhi della prof: la battuta di Pasqualino, il simpatico ripetente della classe, e l’attenzione di tutto l’uditorio, cosa affatto scontata.

“Ora basta, fatemi sentire come va a finire” – Cry, la più presa dal racconto, zittì i compagni – “Prof scusate a questi ciucci! Per piacere continuate…”

La professoressa per nulla infastidita continuò a raccontare: “I napoletani iniziarono a ribellarsi quando fu emanata la disposizione che prevedeva la deportazione di tutti gli uomini dai 16 ai 45 anni, per destinarli ai campi di lavoro nazisti. In opposizione ai rastrellamenti le donne napoletane si fecero coraggio e difesero i loro cari con ogni mezzo a loro disposizione in ogni angolo della città. Non si lasciarono intimidire dalle armi nemiche, ma le sfidarono con le loro armi quotidiane: coltelli da cucina, sassi, bastoni. Le donne, quelle stesse donne svilite e ridotte ad oggetto dal fascismo, viste solo come madri prolifiche, come sottomesse in famiglia, come non degne di pari opportunità e pari diritti, furono le prime a combattere per la libertà della città, mostrando una forza e una determinazione incredibili”.

“W le napoletane” – sussurrò Orny mentre, di nascosto, col cellulare trasmetteva la diretta della lezione sui social.

“I tumulti cittadini esacerbarono la reazione del colonnello Scholl che ordinò per rappresaglia di giustiziare cento napoletani per ogni tedesco ucciso, nonché di sgombrare l’intera zona costiera della città fino a trecento metri dalla costa. Praticamente oltre centocinquantamila napoletani si ritrovarono senza un tetto dalla mattina alla sera. La notte del 27 settembre divampò l’insurrezione. Una serie di azioni spontanee in supporto alla resistenza clandestina partenopea si propagò in tutti i quartieri, dove avvennero duri scontri, assalti ai depositi di munizioni e liberazione di prigionieri italiani rastrellati dai tedeschi”.

“E Lenuccia del Vico Neve che fece prof?” – Cry stava registrando, non voleva perdersi una parola di quella storia esaltante che aveva coinvolto i suoi concittadini. Voleva farla ascoltare alla sua mamma che in Vico Neve ci era nata.

“Lenuccia seguì suo padre e i suoi fratelli nella lotta per la libertà, senza paura. Quando i tedeschi volevano far saltare il Ponte della Sanità, lei si unì agli altri insorti e lo difese sparando dalle barricate improvvisate. A guerra finita, per il suo eroismo, le fu conferita la medaglia di bronzo al valore militare, unica donna a ricevere questo onore. Fu anche riconosciuta come partigiana combattente e come una delle figure chiave della resistenza nel sud Italia. Napoli fu la prima città europea a liberarsi da sola dal nazismo, grazie anche al contributo di Lenuccia e del popolo di lavoratori, insegnanti, scugnizzi, disoccupati, donne, femminielli, cioè omosessuali, e operai che con ogni mezzo avevano impedito che l’ordine di Hitler di ‘trasformare Napoli in una città di cenere e fango’ divenisse realtà”.

“Pure i femminielli fecero la guerra? E poi non è offensivo il termine femminiello?” – disse Pasqualino sbalordito dalla presunta gaffe sessista della prof.

“No, Pasquale, non è offensivo. Discriminatorio fu l’atteggiamento tenuto dal regime fascista che li esiliava al confino, criminale fu inviarli nei campi di concentramento come fecero i nazisti. Sessista è il comportamento di chi deride il diverso…” – la professoressa fece una pausa studiando lo sguardo ancora perplesso del ragazzo – “Come ha raccontato il presidente napoletano della Associazione Nazionale Partigiani Italiani, Antonio Amoretti, ‘Il terzo giorno di battaglia si distinsero proprio i femminielli nel quartiere popolare San Giovanniello dove vivevano in molti. I femminielli combatterono in prima linea a fianco dei partigiani, poiché, come tutti, non avevano nulla da perdere, odiavano i fascisti e amavano la città’. Napoli ha recentemente onorato questi suoi figli dedicandogli una lapide apposta nel rione San Giovanniello”. – La prof interruppe il racconto per impugnare lo smartphone, digitò qualcosa e poi lesse ad alta voce: “Per aver contribuito a liberare la città dall’occupazione nazifascista, e per aver difeso gli ideali di giustizia, fratellanza ed uguaglianza. Ai Femminielli di Napoli e a tutte le persone LGBT”.

“A Lenuccia, Maddalena Cerasuolo, invece è stato dedicato il ponte della Sanità, quello che difese rischiando la sua stessa vita, infischiandosene del suo sesso, della sua cultura, delle sue stesse capacità di combattente. Avendo solo a cuore la sua città martoriata, i suoi concittadini e la libertà”.

La campanella suonò per segnalare la fine della lezione, ma nessun ragazzo si spostò dal proprio posto. Nei loro occhi la professoressa vedeva ora brillare una nuova luce di consapevolezza, soprattutto in quelli di Maria Cristina. A lei rivolse la parola: “Cry, ora hai capito perché ha sempre senso urlare: W l’Italia anti-fascista?”

“Perché il fascismo non è finito nel 1945…”

“Esatto, piccola mia. Parlare dell’anti-fascismo rimane attuale poiché l’ideologia fascista ha lasciato un’impronta duratura nella storia e la lotta contro le sue manifestazioni è considerata una difesa dei valori democratici, della libertà e della giustizia sociale. Inoltre, movimenti e ideologie con elementi fascisti possono emergere in contesti attuali, rendendo importante il mantenimento di una posizione anti-fascista per preservare i principi fondamentali della società”.

Nel frattempo Orny, scansata l’interrogazione e felice per le centinaia di visualizzazioni ricevute, silenziosamente chiudeva la diretta social: “Buon Natale a tutti i miei follower, non dimenticatevi di lasciare un like e di gridare sempre forte: W l’Italia anti-fascista!”

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