Confini invisibili

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Immagine creata con Bing AI

In una landa di deserto spazzata dal vento una bandiera sventola, mezzo strappata, sul pennone intriso di olio da fucili. Potrebbe sembrare un banale straccio da cucina messo ad asciugare da una premurosa e un po’ povera massaia, ma è il simbolo di una “terra senza popolo per un popolo senza terra”, come recitava lo slogan sionista di fine Ottocento. Una lucertola si infila in un muro eroso dal tempo, fa solo un attimo capolino dal foro sberciato per ingoiare una ronzante e fastidiosa mosca. Alcuni ligustri impolverati adornano l’area militarizzata, una macchia di verde scuro nella preminenza ocra del paesaggio lunare. Presso un container con funzioni di garitta una sentinella imbraccia un leggero fucile d’assalto TAVOR modello tar 21, mentre il rivolo costante dello scarico del condizionatore gli imbratta l’anfibio giallo tattico. Un altro soldato, equipaggiato con elmetto e tuta anti-esplosioni, è addetto al controllo dei viaggiatori nel check point improvvisato. Questi sembra essere più un astronauta in attesa del prossimo razzo interstellare che lo riporti in orbita che non un semplice militare in servizio al confine. Tutto potrebbe apparire sospeso, immobile nel tempo e nello spazio, se la forza del vento impetuoso non scombinasse le divise e modificasse, continuamente, il paesaggio sabbioso che li circonda. In lontananza un riverbero di sole rifrange l’immagine di due persone che si stagliano nere in controluce all’orizzonte. Sono vicini al vecchio pozzo delle carovane, più di due chilometri separano i viaggiatori dal punto presidiato, ma i soldati si sentono già invadere da scariche di adrenalina. Sono riservisti ventenni, non soldati di professione; il primo toglie la sicura al fucile d’assalto, l’altro fa avanti e indietro nella sabbia scavando piccoli solchi. Entrambi provano paura e apprensione: un loro commilitone, appena pochi giorni prima, è stato ucciso da un uomo che si è fatto saltare al grido di “Allah Akbar” e la tensione dell’attesa adesso brucia più del sole del pomeriggio.

I due puntini in prospettiva si fanno sempre più grandi mentre si avvicinano. Il riservista con la tuta anti bomba estrae dallo zaino un binocolo per osservare meglio l’entità del possibile pericolo: «Due soggetti: il primo è un maschio, alto circa 175 cm, corporatura media. Il secondo soggetto è una donna, minuta, molto giovane. Entrambi indossano mantello e kefiah.»

«Saranno coloni di qualche kibbutz oppure profughi palestinesi… — il ragazzo col fucile si asciuga il sudore che gli imperla la fronte — Comunque massima attenzione.»

Il posto di guardia si riempie di un silenzio nervoso mentre i due puntini si trasformano in dettagli umani sempre più chiari. Anche la sabbia sotto i piedi dei militari sembra trattenere il respiro, anticipando l’incerto futuro che si rivelerà a breve. L’uomo e la donna si avvicinano sempre più al posto di blocco, ma i soldati non riescono a distinguere i loro volti. Il vento sferza i loro abiti larghi e le kefiah, rendendoli simili a demoni meridiani. Il fuciliere si prepara a intimare l’alt a distanza di sicurezza, ma prima che possa aprire bocca, sente una voce calma e pacifica che gli dice: «Non temere. Siamo solo due pellegrini in cerca di un rifugio.»

Il riservista rimane sbalordito. La voce sembra provenire dal primo viandante, ma non riesce a capire come possa averlo sentito da così lontano. Inoltre, la voce ha un accento strano, come se parlasse una lingua conosciuta ma remota, guarda il suo compagno, che ha la sua stessa espressione incredula. Adesso che il vento si è calmato, è possibile vedere i loro volti. Il primo viandante è un uomo anziano, con una barba grigia e un’espressione serena. Il secondo viandante è una donna giovane, con i capelli castani e un viso dolce. Entrambi hanno occhi luminosi che trasmettono un profondo senso di saggezza e bontà. Il ragazzo col fucile sente il cuore battergli forte nel petto. Non può credere ai suoi occhi… Quelle due persone sembrano Giuseppe e Maria, in viaggio verso Betlemme, come raccontato nei vangeli.

Il ragazzo col fucile non sa cosa fare. Non sa se si tratta di un miracolo o di una trappola: deve inchinarsi, scappare o sparare?  Ma prima che possa decidere, la voce del viandante si fa di nuovo sentire: «Ti prego, figliolo, lasciaci passare. Non abbiamo armi, né cattive intenzioni. Siamo solo in cerca di un luogo dove far nascere il nostro bambino.»

Il soldato sente le parole e si rende conto che la donna è incinta. Vede il suo ventre rotondo e il suo sorriso timido, la mano del viandante che le stringe la spalla con affetto e protezione. Si accorge della loro povertà e speranza, soprattutto ammira la fede e l’amore che hanno negli occhi. Il soldato fuciliere avverte qualcosa cambiare dentro di sé: una pace e una gioia che non ha mai provato, compassione e gratitudine che lo travolgono. Sente una voce interiore che gli dice di fidarsi di quelle due persone, di aiutarle, di farle passare. Il riservista abbassa il fucile d’assalto e fa un cenno al suo compagno, che lo guarda con stupore. Poi, si rivolge ai due viandanti e dice: «Shalom aleikhem, andate pure…»

Il soldato guarda i due viandanti che si allontanano verso il deserto, seguiti dallo sguardo della lucertola che li osserva curiosa. Poi, si volta verso il suo compagno, che ha ancora il binocolo in mano e lo guarda con incredulità. Sente il bisogno di parlare, di capire cosa è appena successo. Così, rompe il silenzio e chiede: «Perché sono qui? Perché sono venuti in questa terra di Palestina, se è sempre insanguinata dai conflitti?»

Il suo compagno alza le spalle e scuote la testa. Non ha una risposta. Forse nessuno ha una risposta. Forse solo quelle due persone sanno il motivo del loro viaggio. Forse solo Dio sa il piano che ha per loro. Il soldato ripensa alle parole del primo viandante, che lo ha chiamato “figlio”. Si chiede se sia vero, se sia davvero un figlio di Dio. Si domanda se sia possibile amare il proprio nemico, se sia possibile la pace, in questa terra di guerra. Se sia possibile la speranza, in questo mondo di disperazione. Se sia possibile scegliere la vita, in questa valle di morte… Il ragazzo col fucile alza gli occhi al cielo e vede una luce brillare più del sole. Sembra una stella pronta a indicare la direzione presa dai due viandanti.

Il soldato lascia cadere il fucile a terra e corre verso la luce, spinto da una forza irresistibile. Vuole ottenere risposte da quella coppia: vuole sapere il senso di tutto questo dolore. Ma per quanti sforzi faccia, non riesce a raggiungerli. È come se ci fosse una distanza invisibile tra lui e loro, una distanza che non si può colmare con la sola corsa. Il ragazzo sente il fiato mancargli, le gambe cedere, il cuore spezzarsi. Si ferma, esausto, e cade in ginocchio sulla sabbia. Alza lo sguardo e vede che i due viandanti sono ormai lontani, quasi scomparsi all’orizzonte. Li immagina sorridere, come se sapessero qualcosa che lui non sa. Li vede scomparire, come se fossero saliti in cielo. Il soldato rimane solo nel deserto, con le sue domande senza risposta, si assopisce esausto sulla sabbia…

«Mi senti figliolo? Svegliati, torna tra noi!» Due sonori schiaffi lo riportano alla realtà… Il soldato si ridesta, la mente ancora impregnata dal ricordo della visione estatica. All’esterno una battaglia imperversa: il rumore assordante delle armi da fuoco si alterna col suono monotono dei monitor cardiocircolatori. Attorno a lui tanti lettini militari formano un rudimentale ospedale da campo con l’odore di disinfettante e sangue a impregnare l’aria.

Solo adesso si accorge dell’uomo al suo capezzale. Ha il camice e una corta barba bianca, lo osserva con attenzione: «Soldato sei al sicuro ora…»

«Cosa mi è successo?»

Il medico decide di dirgli la verità: «Ti sei salvato, ma il tuo compagno non ce l’ha fatta. Siete stati vittima di un attacco kamikaze al check point. Un vecchio e una ragazza si sono fatti saltare per rappresaglia…»

Lo sguardo del soldato ora si perde nel vuoto, il riflesso del suo volto sul display dell’erogatore di morfina riflette una delusione profonda. Aveva sperato che la visione fosse reale, che la fine del conflitto fosse vera, ma la realtà dell’ospedale gli urla in faccia, dissipando ogni illusione. Lo sguardo del riservista si annebbia di disillusione, il deserto fuori dalla finestra ora simboleggia non solo la vastità senza fine, ma anche l’immane tragedia che ha vissuto la sua terra martoriata dalla follia umana solo perché forse un dio l’ha scelta come sua dimora terrena.

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