Esserci o non esserci?

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Conforta sapere che finalmente qualche intellettuale di tutto riguardo colleghi alla mutazione climatica la questione demografica. Lo ha fatto, con la consueta chiarezza, Michele Serra nella risposta a un lettore pubblicata sul Venerdì di Repubblica dello scorso 11 agosto.

Ricordando preliminarmente che il numero degli umani si è decuplicato in poco più di un secolo, il noto opinionista denuncia che «… nessuna agenda politica pone il controllo delle nascite tra i suoi obiettivi: e anzi, i governi nazionalisti (compreso il nostro) che hanno sempre più peso negli equilibri mondiali, per timore della sostituzione etnica pigiano sul pedale della natalità: date figli alla Patria. Come se a contare non fosse il numero complessivo degli umani, ma la loro suddivisione in Nazioni, in religioni, in culture tra loro ostili. In questo quadro, non mi sento di escludere che qualche potente e qualche ricco conti sul fatto che la natura “si autoregoli” e provveda ad avviare una decimazione di homo sapiens che rimetta un poco in equilibrio il rapporto tra la terra e i suoi abitanti più ingombranti, inquinatori e dissipatori, cioè noi.» Serra conclude la sua risposta col realistico sospetto che ad essere decimati saranno quasi solamente i poveri.

Questa drammatica prospettiva è ignorata, o elusa, dai governi nazionalisti (il nostro, che lo è a pieno titolo, ha incluso la lotta alla denatalità tra gli obiettivi della prossima manovra finanziaria) e anche da alcuni di quelli che nazionalisti non lo sono. Sembra però sottovalutata anche da quei soggetti non istituzionali che si battono per la GPA (gestazione per altri o maternità surrogata). Sulle pagine del quotidiano Domani Maurizio Mori, presidente della Consulta Bioetica Onlus e Membro del Comitato nazionale per la Bioetica, ha commentato l’approvazione in prima lettura della legge sul reato universale di gravidanza per altri affermando che “la legge infligge del male e danneggia la felicità generale” e ribadendo poi che è “un attacco indiscriminato alla felicità generale”.

Evitando prudentemente di entrare nel merito della delicata questione, ma riconoscendo prioritariamente il diritto di tutti di procreare e di formare un nucleo familiare, può essere interessante qualche riflessione sulla felicità generale sopra evocata. Se ci si riferisce alla felicità dei genitori che, in una maniera o nell’altra, mettono al mondo un figlio realizzando la legittima aspirazione ad allargare la sfera dei loro più profondi affetti, non c’è dubbio che la limitazione o l’impedimento delle nascite in generale la ostacoli. Sul fronte opposto andrebbero comunque valutate le tante nascite indesiderate e le tante gravidanze interrotte. È poi necessario distinguere sia le nascite agognate che quelle sgradite a seconda delle condizioni sociali ed economiche delle singole coppie e dei paesi e delle etnie cui appartengono. È chiaro che i numeri dei paesi scandinavi saranno ben diversi da quelli presumibilmente riscontrabili nei paesi dell’Africa subsahariana.

A questo punto è giusto interrogarsi su cos’è la felicità ben sapendo però che non esiste una risposta univoca, un po’ come avviene da secoli per l’arte. Non è certamente quella, tutta filosofica, di Epicuro né quella che la Dichiarazione di Indipedenza degli Stati Uniti d’America (1776) sancisce come diritto alla libertà di iniziativa per raggiungere gli obiettivi da ciascuno desiderati. In questo senso la felicità diventa sinonimo di “soddisfazione delle proprie ambizioni, purché legittime”. Con un po’ di buon senso possiamo ridurre l’idea corrente della felicità a un’esistenza mediamente gradevole e serena. Se questo suggerisce il senso comune, per accedere al concetto di felicità generale minacciato dal divieto delle GPA in corso di approvazione, occorrerebbe però includervi anche la futura esistenza dei nascituri e dei nostri discendenti in generale. E allora diventa difficile immaginarla, questa felicità generale, perché lo scenario cui noi tutti andiamo incontro non è dei più incoraggianti. La crisi climatica comporterà tutta una serie di fenomeni, a partire da una crescita dei flussi migratori con tutte le conseguenze che fatalmente comporterà in termini di convivenza, di occupazione dei territori più vivibili, di conflittualità e di odio razziale. La graduale delegittimazione di tutti gli organismi sovranazionali in grado di sopire o di punire i tentativi di sopraffazione che serpeggiano scopertamente tra paesi confinanti e non (si pensi all’ONU, ai vari G20, G10 e via dicendo ma anche alla stessa Unione Europea). C’è poi la minaccia, ancora indefinita, dell’Intelligenza Artificiale che troverà una classe politica debole, divisa e quindi agevolmente pilotabile verso la sua più diffusa e capillare applicazione. E poi c’è un generale offuscamento dei valori che sostengono la convivenza civile tra i popoli e il rispetto delle minoranze al loro interno.

Sono tutti fattori che porranno i popoli più evoluti, dopo decenni e decenni di benessere, difronte ad un futuro incerto. Si pensi a quanta influenza potranno avere, in prospettiva, previsioni metereologiche allarmanti sugli spostamenti di persone e di merci, per non dire di alluvioni e incendi. Né, d’altra parte, si intravede la possibilità di invertire in tempi ragionevoli le tendenze in atto, impresa che dovrebbe necessariamente partire da un’istruzione scolastica capace di ripristinare tutti i valori alla base della convivenza tra i popoli e le classi sociali. Ma quale delle grandi nazioni oggi metterebbe mano a programmi di istruzione a medio e lungo termine? Gli interessi capitalistici non vedono al momento alcun vantaggio in un’inversione delle tendenze autolesioniste in atto. La loro cecità non gli fa vedere altro che la crescita dei profitti, cioè delle vendite e dei consumi il cui presupposto è l’esistenza di una vasta platea di consumatori: una drastica riduzione delle nascite va quindi combattuta, almeno nei paesi che vivono nel benessere. Il famoso PIL (prodotto interno lordo), che deve crescere costantemente pena la recessione, altro non è che un misuratore dei consumi.

Il quadro appena tracciato non incoraggia certamente le popolazioni più consapevoli ad assicurarsi una discendenza. In un mondo in cui si va affermando il diritto di decidere come e quando finire i propri giorni, logica vorrebbe che si chiedesse ai nascituri se preferirebbero esserci o non esserci. La scelta invece grava drammaticamente sui potenziali genitori. E tuttavia la prospettiva di un mondo ai limiti dell’invivibile non impedisce ai diseredati di continuare a prolificare liberamente. La fede religiosa, le tradizioni, l’ignoranza non sono una colpa e quindi come si può biasimare chi mette al mondo delle creature destinate più a soffrire che ad essere felici? Eppure, se si osservano i comportamenti di questi genitori che noi consideriamo incoscienti, ci sembra di capire che il loro tenore di vita, prossimo allo zero, non li esclude da momenti di gioia e di allegria. Forse la felicità, quella felicità che resta indefinibile, è lo scintillio che di tanto in tanto sprigiona un ceppo ardente in un caminetto, ma anche un mucchio di sterpaglie che brucia illuminando la notte di migranti in attesa dell’imbarco tanto desiderato.

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