Equilibrismi mediatici

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corda di equilibrista

Tutti vorremmo che la guerra tra Federazione russa e Ucraina finisse domani mattina. A molti non interesserebbe neppure sapere o capire a chi attribuire la colpa di tante distruzioni e di tanti lutti. Ma sono tanti coloro che non hanno resistito alla tentazione di prendere una posizione in proposito. Oltre i due terzi del Paese sono da tempo contrari all’invio di armi all’Ucraina perché ritengono che rafforzare la resistenza della nazione aggredita prolungherà il conflitto ed accrescerà il numero delle vittime.

In realtà questa nobile motivazione si confonde con altre ragioni tra le quali spiccano il terrore per un conflitto nucleare e la paura di perdere il posto di lavoro nei settori messi in crisi dal conflitto. Si aggiungano poi le difficoltà per i meno abbienti di affrontare il preoccupante aumento dell’inflazione e quelle degli imprenditori che vedono la propria attività messa a rischio dalle ripercussioni della guerra sui costi e sulle vendite. Per carità, si tratta di posizioni tutte legittime e variamente degne di attenzione, ma il sentimento che anima la maggior parte degli italiani è certamente di dura condanna dell’aggressione perpetrata da Putin e non si discosta peraltro dall’opinione più volte espressa dal presidente Mattarella, dalla Von Der Leyen e da decine di capi di Stato e di autorità politiche.

Questo sentimento dominante non trova però molto spazio nell’informazione e negli approfondimenti che vediamo sugli schermi televisivi. Lo si dà per scontato e di poco interesse per i frequentatori dei talk show. Molti conduttori preferiscono, per le più volte biasimate esigenze di audience, invitare personalità in controtendenza. Abbiamo quindi assistito a scontri feroci tra chi vede nel “flirt” tra Ucraina e Nato la causa dell’inevitabile reazione russa e chi invece giudica irresponsabile l’aggressione militare. Accese discussioni sono nate e crescono di giorno in giorno intorno all’utilità delle sanzioni comminate alla Russia, che molti ritengono più dannose per chi le infligge che per chi le subisce. Si sono intrecciate dispute su chi abbia violato questo o quell’altro accordo. Molti hanno detto che bisognava intervenire nel 2014 in occasione dell’annessione della Crimea alla Federazione russa ma nessuno di loro si è però domandato come Putin avrebbe reagito all’intromissione della Nato o dell’Unione Europea in quella circostanza. Ed infatti l’ONU si limitò a non riconoscere l’annessione.

Sullo sfondo di questa ormai sterile contesa c’è l’arsenale nucleare della Russia, il più nutrito del pianeta, il cui utilizzo viene di tanto in tanto evocato, ora da Lavrov, ora dal fantoccio putiniano di turno, Medvedev in testa, come “estrema ratio”, costi quel che costi. Sarebbe giusto che si bollassero queste affermazioni come provocazioni o “bluff” perché la loro attuazione comporterebbe anche la scomparsa della Grande Madre Russia: non occorrono le circa seimila testate nucleari di cui dispone Putin perché ne bastano molto meno per cancellare l’intera umanità dalla faccia della terra, volendo. Ma lo vuole Putin? Non è dato saperlo. Secondo alcuni l’autarca russo non si tirerebbe indietro: quando si dice “fare gli interessi del proprio amato popolo”!

A proposito dell’armamentario atomico della Russia è utile ricordare il Memorandum di Budapest che precedette gli accordi di Minsk più volte richiamati dai commentatori ora a favore dell’uno ora dell’altro contendente. Gli accordi di Minsk miravano alla pacificazione nel Donbas e nel Lugansk tra la popolazione russofona dissidente e il governo dell’Ucraina di cui i territori facevano e fanno tuttora parte. Gli accordi furono entrambi disattesi da tutti e due i contendenti. Senza scendere nel dettaglio delle responsabilità di ciascuno nel fallimento di questi trattati è facile sospettare che la superiorità militare russa abbia avuto la sua parte. Il Memorandum di Budapest ce ne può dare la misura. Sottoscritto nel dicembre 1994 da Eltsin, dal neopresidente dell’Ucraina Kučma, da Clinton e dal premier britannico Major (si aggiunsero in un secondo momento anche la Francia e la Cina) il Memorandum prevedeva che l’Ucraina, nel quadro del Trattato di non proliferazione nucleare del 1968, accettasse di trasferire alla Federazione russa le 1.900 testate nucleari presenti nel suo territorio ed ereditate in seguito alla dissoluzione dell’URSS. Le testate furono di conseguenza inviate in Russia per lo smantellamento nei successivi due anni, ma in cambio l’Ucraina ottenne assicurazioni dalla Russia, dagli USA, dal Regno Unito e successivamente dalla Cina e dalla Francia sulla sua sicurezza, indipendenza ed integrità territoriale. L’Ucraina sin dall’annessione della Crimea da parte della Russia ha lamentato la violazione del Memorandum, violazione che gli altri stati firmatari hanno minimizzato, come si sa, interpretando “ad usum delphini” alcune espressioni verbali in esso contenute. Il trattato di non proliferazione nucleare è stato poi disatteso da tutti ed alla fine della giostra l’Ucraina ha perduto la dotazione di testate atomiche che l’avrebbe resa “competitiva” con la Federazione Russa in termini di deterrenza.

Ma tutte le circostanze che hanno determinato un così sfacciato squilibrio tra le due nazioni sono state collocate sullo sfondo delle lunghe, estenuanti pseudo-analisi quotidianamente propinate da tutte le reti televisive. Dietro il paravento di una par condicio del tutto ingiustificata, le emittenti si contendono gli opinionisti più spregiudicati se non addirittura dei giornalisti russi che chiaramente abusano del titolo professionale, trattandosi in realtà di semplici emissari di Putin. In uno studio pubblicato sul quotidiano Domani dello scorso 11 giugno Matteo Pugliese, analista Ispi (fondato nel 1934, l’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale è oggi riconosciuto tra i più prestigiosi think tank dedicati allo studio delle dinamiche internazionali) ci chiarisce che, se compariamo le nostre televisioni nazionali con quelle – pubbliche e private – di Francia, Germania e Spagna, c’è un abisso quanto a presenze di commentatori russi. Pugliese prosegue poi individuando non meno di nove “giornalisti” russi invitati nelle varie rubriche televisive nazionali, insieme a tre funzionari del Ministero degli esteri, a due dirigenti di istituti universitari controllati dal governo e all’ideologo Alekandr Dugin. Dopodiché stila anche una graduatoria tra le reti televisive in base al numero delle loro partecipazioni: risulta largamente in testa RETE 4, che può addirittura fregiarsi del comizio di Lavrov, seguita da LA 7 e da RAI 3. In questa classifica non vengono presi in considerazione quegli opinionisti che sono stati oggetto di attenzione da parte dei servizi segreti né dei tanti ospiti nostrani in odore di filo-putinismo. Il tenore dei loro interventi e le posizioni assunte da larga parte della stampa di matrice berlusconiana danno la misura di quanto l’amicizia tra l’allora dominus della politica italiana e Putin andasse ben oltre la condivisione del mitico “lettòne” e contemplasse anche una serie di reciproci vantaggi economici ottenuti, come mostrato nella puntata di Report andata in onda lo scorso 13 giugno, con i magheggi messi in atto tramite l’ENI, ai quali risale anche la dipendenza italiana dal gas russo. Rapporti vantaggiosi cui stava per accedere anche Salvini tramite il suo emissario Savoini protagonista di quegli incontri all’Hotel Metropol a lungo attenzionati dalla magistratura. In conclusione, sembra innegabile che in Forza Italia e nella Lega ci siano forti pulsioni filorusse, come dimostrato dall’ambiguità delle affermazioni contraddittorie pronunciate nel tempo da Berlusconi e dallo stesso Salvini.

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