Il repertorio elettorale di Giorgia

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La premier Meloni (Fonte: https://www.governo.it/it/il-presidente)

Tra un paio di giorni si chiuderà la campagna elettorale per le elezioni europee e per le amministrative. Poi tireremo un sospiro di sollievo, massimo due giorni, perché irromperanno le successive elezioni amministrative. Quelle che continuiamo a chiamare “campagne elettorali” sono in realtà gli acuti di una ininterrotta messa cantata, con rarissime pause, dal tenore Matteo Salvini e dal soprano Giorgia Meloni, debitamente accompagnati dai cori dei rispettivi fedeli. Una messa celebrata prevalentemente dalla destra populista, perché i partiti che vi si oppongono non hanno una gran voce.

Diciamo subito che il logorroico segretario della Lega nell’acuto in corso di esecuzione sta superando se stesso. Dalla candidatura del generale Vannacci alla solidarietà espressa al pluricondannato Donald Trump, dalla sanatoria dei piccoli abusi edilizi (qualcosa che richiama il celebre noir “La piccola bottega degli orrori”) all’ultima inqualificabile proposta di affidare all’Avvocatura dello Stato l’accertamento di eventuali responsabilità penali degli appartenenti alle forze dell’ordine, è tutto un fiorire di sconclusionati tentativi di raccattare qualche voto in più. Non è dato sapere chi gli suggerisce queste mosse sconsiderate, ma non si esclude possa essere Claudio Borghi, l’ideologo della “Lega per Salvini Premier”, no vax, no Euro, no UE, no cambiamento climatico ed, in affetti, anche no Lega visti i casini che gli combina sui social. Nell’ultima sua performance Borghi ha suggerito a Mattarella di dimettersi dalla carica di Presidente della Repubblica perché, avendo quest’ultimo riconosciuto nel discorso del 2 giugno il ruolo prevalente della “sovranità” europea, avrebbe cancellato quella italiana. Per chi non lo ricordasse Claudio Borghi fu quello che, con aria di sufficienza, spense il microfono del ministro dell’Economia del governo Conte 1, Giovanni Tria, mentre concludeva il suo intervento in conferenza stampa.

Quanto alla premier Giorgia il suo canto ininterrotto varia dal cinguettio accattivante esibito nelle sue visite ufficiali, in Italia e all’estero, nelle quali dispensa sorrisi ai capi di stato di mezzo mondo, alla piena voce necessaria sia per i comizi che per le invettive. Un tono più pacato e suadente caratterizza invece quasi tutti i suoi messaggi sui social. La sua propaganda elettorale non è sconclusionata e, tutto sommato, improvvisata come quella di Salvini, ma si concretizza in assenze significative, in silenzi prudenziali e in filippiche verbali contro gli avversari politici. Tra le prime spicca per gravità la più recente, quella del 50° anniversario della strage di Piazza della Loggia. La presenza della Premier quel giorno a Brescia sarebbe suonata come un tradimento del suo elettorato più estremo che, ormai l’abbiamo capito, affonda le sue radici, anche per motivi anagrafici, forse più negli anni dello stragismo che in quelli della Repubblica di Salò. La Meloni ha preferito andare ad inaugurare una piscina nel “Parco Verde” di Caivano, ormai meta abituale dei pellegrinaggi suoi e di molti rappresentanti del Governo. I silenzi prudenziali, non meno gravi, sono quelli che glissano sui richiami di Mattarella e snobbano i giudizi negativi sull’operato del suo Governo come, ad esempio, la relazione del governatore della Banca d’Italia, Fabio Panetta, nella quale si rappresenta, tra le altre esigenze ineludibili, quella di agevolare l’immigrazione regolare per soddisfare le esigenze del mercato del lavoro, pena la recessione. Sulla richiesta di dimissioni di Mattarella lanciata da Borghi e sostenuta anche dal viceministro Salvini, la Meloni è intervenuta giusto un tantino con una laconica presa di distanze.

Ma sono le esternazioni della Meloni quelle che meritano più attenzione. Il suo talento attoriale è fuori discussione. Frizzi, lazzi e mossettine a parte, è perfettamente in linea con quello di Mussolini: chi non ricorda le pause deambulatorie del Duce con le mani sui fianchi e la mascella volitiva offerta agli osanna del popolo delirante nei suoi comizi? La retorica pungente e virulenta della Premier rende ridicola quella di Salvini, fondata su monotone elencazioni. Le sue invettive contro i partiti che le si oppongono e, in particolare, contro il PD sono spesso vagonate di accuse per lo più inverosimili. Appena qualche giorno fa ha accusato il PD di cattiveria, di diffusione di fake news e disseminazione di odio, ribaltando sul principale avversario ciò di cui si nutre la sua oratoria perennemente vittimistica. Altro che messa cantata per una donna che si professa cristiana! Quando deve opporsi a una critica e non può toccare le predilette corde del disdegno e della denigrazione, si avvale comunque di argomenti pretestuosi e puerili ma nondimeno offensivi. Tale è stato ultimamente quello utilizzato contro la Conferenza episcopale italiana che, per voce del cardinale Zuppi, aveva espresso riserve sia sul premierato che sulla riforma della giustizia, dopo aver criticato in precedenza anche l’autonomia differenziata. La Meloni, con una delle tante cadute di stile, ha negato ai vescovi italiani il diritto di critica perché, in buona sostanza, lo Stato della Chiesa non è una repubblica parlamentare e quindi poco o per nulla democratico. Sarà sfuggito alla Meloni che, una volta approvata l’elezione diretta del premier da lei tanto agognata, anche la nostra non sarà più una repubblica parlamentare.

È prevedibile che i toni della destra e della Premier in particolare (il linguaggio e il tono delle opposizioni rimangono decisamente contenuti) si elevino ulteriormente e che nuove provocazioni vengano messe in campo. Dalla Meloni ci si può aspettare di tutto, compresa la rottura del silenzio preelettorale, cosa peraltro già avvenuta in occasione delle politiche che la portarono al potere: ricorderete la foto, di pessimo gusto, nella quale la Meloni appariva con due meloni nelle mani esibite all’altezza del seno. Qualcosa si inventerà anche questa volta, magari un pretesto istituzionale. In un articolo pubblicato su la Repubblica del 14 ottobre 2022, Concetto Vecchio riportava il contenuto di un foglietto sul quale era appuntato il seguente giudizio sul comportamento tenuto dalla Meloni nel corso di una seduta del Parlamento a camere riunite per l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica: “Giorgia Meloni. Un comportamento supponente, prepotente, arrogante, offensivo e ridicolo. Nessuna disponibilità al cambiamento. È una con cui non si può andare d’accordo”. La paternità di questo appuntino illuminante era di Silvio Berlusconi, forse arrabbiato ma certamente non male informato né prevenuto.

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