Elvira Notari: ingegno, passione e caduta

tempo di lettura: 5 minuti
Rosè Angione nel film “Santanotte” di Elvira Notari

Questa è una storia italiana fatta di ingegno e passione ma anche di ostracismo e prevaricazione politica. La storia di una donna che ha scritto il suo nome nel libro della Storia, ricacciando indietro pregiudizi borghesi e discriminazioni di genere. Questa è la vicenda artistica e umana di Elvira Notari, la prima regista cinematografica italiana in assoluto ed una delle prime a livello mondiale.

Nel 2025 il cinema comparirà 150 anni; ne è passata di acqua sotto i ponti da quando i fratelli Lumière proiettarono la loro prima pellicola nel sottoscala del Gran Cafè des Indie a Parigi. Chissà se i due inventori avevano contezza che la loro creatura avrebbe avuto l’immensa capacità di cambiare lo stile di vivere ed immaginare di miliardi di persone. Il Cinema come settima arte, come veicolo di propaganda, come “arma di distrazione di massa“. Allora, nel 1895, l’invenzione era considerata un semplice divertissement, una diavoleria che coniugava scienza, tecnica e gusto per l’intrattenimento. Non certamente la prima né l’unica sperimentazione creata per stupire e attrarre le élites di quella “gabbia dorata“, come Umberto Eco chiamava il periodo che va dalla fine dell’Ottocento alla Prima Guerra Mondiale conosciuto da tutti col nome di Belle Époque.

In una città come Napoli sempre pronta a recepire le idee che arrivavano dalla Ville Lumière, il cinematografo arrivò quasi subito. Al salone Margherita fu proiettata, per la prima volta in Italia, una pellicola cinematografica. Nel 1897 la prima sala cinematografica nazionale fu aperta in città dall’italo-americano Mario Recanati nella galleria Umberto I. Quell’area un po’ decadente della ex capitale borbonica, che si affrettava a grandi passi verso la modernità, favorì la presenza contemporanea in città di grandi esponenti dell’arte, della musica e delle scienze facendo di Napoli un polo culturale all’avanguardia. Il cinematografo fu un successo enorme in quegli anni avidi di novità sulle sponde di Partenope e vi trovò terreno fertile. Una nuova forma di espressione non verbale consegnata nelle mani di un popolo che ha innata la gestualità come comunicazione. Altra grande novità tutta napoletana fu il fatto di comprende per primi la spendibilità non solamente elitaria della nuova scoperta. L’imprenditore Menotti Cattaneo ebbe l’intuizione di presentare il cinema al popolo minuto: fu un successo clamoroso. Nel suo baraccone adibito a teatro nella popolare strada di Foria (lo stesso in cui aveva esordito un giovanissimo Viviani) fece il suo ingresso una macchina da proiezione. Un breve filmato intervallato tra riviste e varietà, offerto a pochi centesimi. Una operazione di marketing vincente. Il popolo divenne avido di proiezioni, così nacquero diverse sale in città in pochi mesi. In meno di un lustro ogni quartiere vede nascere la sua hall cinematografica. Lo stesso Menotti inaugurò, nel 1901, la Sala Iride, unico cinema nazionale in esercizio ininterrottamente da 123 anni. Altro primato tutto napoletano fu la creazione del primo lungometraggio interamente prodotto su suolo italico: “il delitto delle Fontanelle” del 1907, realizzato dai fratelli Troncone. Nel primo decennio del Novecento Napoli contendeva ad Hollywood il titolo di capitale del cinema muto. Ben quattro case di produzione e diversi teatri di posa sorsero sulla collina del Vomero, la Vesuvio film di Augusto Turchi, la Partenope Film dei citati fratelli Troncone, la Polifilms di Giuseppe Di Luggo e la Casa Cinematografica Lombardo che diverrà poi la celeberrima Titanus. Si stima che, fino allo scoppio del conflitto bellico del 1915, più del 50% dei film distribuiti sul mercato nazionale venisse prodotto e girato a Napoli.

In questo nuovo filone espressivo ed economico mosse i primi passi la giovane Elvira Coda. Lasciato il suo lavoro di insegnante iniziò, insieme al marito, il pittore e fotografo Nicola Notari, a lavorare nel mondo della celluloide. Dopo un periodo di apprendimento e studio fondò nel 1907 la Dora film prendendo a prestito il nome da una dei suoi tre figli. Iniziò a girare i primi documentari filmando le feste popolari e gli avvenimenti cittadini. Da subito capì che il suo prodotto, per essere vincente, doveva contraddistinguersi dagli altri immessi sul mercato. Grazie alle capacità pittoriche del marito, esperto nel colorare le pellicole, introdusse, per prima nello sviluppo, l’uso del viraggio, un procedimento chimico che conferiva alla celluloide una particolare nuance di colore che cambiava da scena a scena per riflettere i sentimenti espressi (ad esempio il blu per la melanconia e il rosso per la rabbia).

Con i primi soldi guadagnati Elvira, soprannominata “la marescialla” per il suo carattere austero e la ferrea disciplina, decise di investire nella costruzione di un proprio teatro di posa e nella fondazione di una accademia di recitazione dove formare gli interpreti dei suoi film. Desiderava che i suoi attori non esasperassero la gestualità scimmiottando gli altri divi del muto, ma che si comportassero come nella vita reale, calandosi semplicemente nella parte affidata. Non paga, iniziò essa stessa ad occuparsi della stesura delle sceneggiature, ricalcando lo stile sferzante e post-verista di Matilde Serao. Scelse la Napoli popolare come ambientazione privilegiata per le sue storie. Il mondo ritratto fu quello della povera gente, degli esclusi dalla modernizzazione della città propagandata dal piano di Risanamento. Un mondo dove regnava la povertà, attraversato da un forte disagio sociale, sulle cui ingiustizie e drammi finiva sempre col trionfare l’amore. I suoi lavori erano realizzati facendo appello ai sentimenti e alle emozioni in modo tanto convincente che divenne proverbiale l’episodio di uno spettatore che in un cinema napoletano sparò alcuni colpi di pistola sullo schermo, per uccidere il “cattivo” di turno. Elvira coinvolse amici e familiari nella recitazione e nella produzione. Tra questi, il suo stesso figlio Eduardo, noto come lo scugnizzo Gennariello nel mondo della finzione cinematografica, fu uno dei primi attori bambini del cinema italiano e apparve in tutti i suoi film. Anche le proiezioni venivano curate e dovevano seguire le indicazioni della regista; «le immagini dovevano essere coordinate con musica e canto eseguiti dal vivo, dando origine alla pratica dei “cantanti a presso”, un vero e proprio intrattenimento multimediale» (Giuliana Bruno, Rovine con vista: alla ricerca del cinema perduto di Elvira Notari, 1995).

In meno di un ventennio Elvira scrisse e diresse più di sessanta film di successo e oltre cento cortometraggi. Attraverso le sue opere, offrì straordinari esempi di cinema che affrontarono con maestria, e per la prima volta, temi sociali, dimostrandosi una regista di indiscusso talento e contribuendo a consolidare l’originalità del cinema della cosiddetta “scuola napoletana”. Il grande successo della Notari superò i confini nazionali approdando negli Stati Uniti d’America. Erano gli anni in cui l’emigrazione raggiunse i massimi storici: quasi duecentomila meridionali avevano lasciato l’Italia in cerca di miglior fortuna oltreoceano. A questo target si rivolse la Dora Film aprendo una sede di distribuzione a New York. Anche questa fu una impresa vincente: raccontano le cronache che ogni giorno centinaia di emigranti facevano la fila per rivedere sullo schermo i luoghi natii abbandonati per sempre. Come ricorda Giuliana Bruno, pellicole come ‘A legge, E’piccerella, ‘a Santanotte, Mandulinata a’ mare, sbaragliavano ai botteghini la concorrenza di opere come il gabinetto del dottor Caligari di Robert Wienee “Il Monello” di Charlie Chaplin.

L’avvento al potere del Fascismo nel 1922 segnò, tra le altre cose, la fine del sogno di celluloide della Notari. Benito Mussolini ebbe sin da subito chiara l’idea di veicolare la sua propaganda attraverso la cassa di risonanza del cinema. Vendere al mondo “la bugia di una Nuova Italia”, cioè “la costruzione di un’immagine idealizzata di un Paese stabile, ordinato e vigoroso in cui il popolo conduceva una vita sobria e moralistica, incarnando gli ideali e i valori fascisti.” (Dizionario di storia, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 2010.)

A causa della coercizione fascista, della sua codificazione dell’arte ingabbiata e permessa solo per esaltare la dittatura, i lavori della Notari divennero impresentabili. Il regime non poteva ammettere la descrizione cruda di un popolo come quello napoletano che conviveva quotidianamente con la povertà e i suoi deleteri effetti come l’invincibile Camorra. Inoltre l’uso del dialetto fu considerato un vero e proprio affronto all’“italico idioma”, tanto da vietarne l’uso nella legge del 1928 che ne estirpò definitivamente la presenza dalle opere cinematografiche e teatrali.

Grazie a imprenditori compiacenti, pagliacci in camicia nera boicottarono, prima attraverso la censura e poi fagocitandola, la “Dora Film” e le tante imprese napoletane per trasferirne i mezzi e le idee nella erigenda Cinecittà romana, cancellando, di fatto, tutti coloro che avevano fatto grande il Cinema Napoletano.

Rispondi

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Torna in alto