Rocco Galdieri, l’altro lato dell’anima napoletana

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Foto tratta da www.cosedinapoli.com

Nel contesto letterario chiamato “periodo d’oro della canzone napoletana”, che spazia dall’unità d’Italia fino agli anni ’50 del Novecento, poeti come Salvatore Di Giacomo, Ferdinando Russo e Libero Bovio hanno assunto un ruolo di primaria importanza, giustamente celebrati con un calore ed un’ammirazione che hanno sfidato il tempo. Tuttavia, nonostante la loro eminente presenza, Rocco Galdieri si distingue come una figura altrettanto rilevante ma talvolta trascurata, la cui poesia intreccia sagacemente le radici nella tradizione con la modernità del suo tempo. In quella miscellanea poetica che è l’inizio del “secolo breve”, ricca di fermenti letterari, Galdieri emerge come un luminoso innovatore della lingua mostrandoci un altro lato dell’anima napoletana, quello più dimesso ma non per questo meno vero, contribuendo a plasmare quell’impronta indelebile nella cultura poetica, vero patrimonio immateriale della città.

Rocco Galdieri, poeta e giornalista, nasce a Napoli il 18 ottobre 1877 da una famiglia di farmacisti. Suo padre Michele vuole per lui un futuro da medico per dar seguito all’attività di famiglia, ma Rocco si appassiona alla letteratura, trascurando le materie scientifiche. Studia al liceo ginnasio “Vittorio Emanuele II”, abbandonandolo però per dissidi avuti con il docente di lettere. (Racconta il suo biografo Tommaso Giglio di come il giovane poeta si rifiutasse di scrivere in prosa, vergando tutti i suoi componimenti in versi). Il genitore, per spegnere il suo fervore giovanile, lo punisce spedendolo in campagna, nel piccolo paesino di Penta. L’impatto con la realtà agreste e la imposta quiete, così lontana dal frenetico caos napoletano, ispirano il giovane Galdieri, facendo fiorire la sua sensibilità. Qui scrive la sua prima raccolta di versi che pubblica, quindicenne, presso un editore toscano. La presunta punizione sortisce quindi l’effetto contrario: il temporaneo “esilio montano” conferma la sua decisione di voler vivere intraprendendo la carriera di scrittore. Finiti gli studi liceali inizia a collaborare con diverse riviste letterarie: il «Fulgor», il «Fortunio», «La Gazzetta letteraria» ospiteranno i primi articoli di colui che di lì a poco comincerà a firmarsi con lo pseudonimo Rambaldo, in omaggio al trovatore provenzale Rambaldo de Vaqueiras. Non era raro allora che, i poeti, i drammaturghi e i giornalisti usassero pseudonimi per fare satira su giornali, periodici umoristici e letterari o per cimentarsi in attività considerate ai margini dell’arte propriamente detta, come la stesura di spettacoli teatrali di ispirazione squisitamente satirica e votati al puro e semplice divertimento. Del resto il teatro a Napoli si era consolidato come un’industria profittevole, un mezzo per raggiungere la fama e il successo, talvolta anche la via più breve per sbarcare il lunario scrivendo. 

Nel 1902 il poeta si era sposato con Maria Cozzolino e aveva avuto ben tre figli, “non aveva pietre al sole” (non era possidente, non aveva altro reddito che il suo lavoro, espressione riferita a Galdieri dallo storico Vincenzo Viviani nel libro Storia del teatro napoletano), per questo motivo intensifica la sua opera di commediografo, paroliere di canzoni, giornalista ecc. Frattanto la sua salute peggiora a causa della tubercolosi che lo porterà alla morte nel febbraio del 1923. Nonostante la minaccia incombente della malattia, continuò a scrivere e a pubblicare le sue poesie, in cui esprimeva con ironia e rassegnazione il senso di assurdità dell’esistenza, sapendo di non avere scampo.

La vita del poeta si consumò in una città piena di contraddizioni, come lo sfarzo esibito dagli aristocratici e dai borghesi che parlavano solo francese e ostentavano arie da grandeur, contrapposto allo scoppio dell’epidemia di colera, che segnò particolarmente la vita delle fasce più deboli e povere della popolazione. La poesia di Rocco Galdieri guarda a quella fetta di cittadini che, come lui, vive in una condizione di incertezza e di confusione, senza una vera identità sociale. La sua opera è uno sguardo compassionevole e disincantato su questa umanità varia, che affronta le difficoltà di ogni giorno e spera in un futuro migliore, ma sa di essere vittima del destino. Galdieri descrive i personaggi solitari e sfortunati che incontra per le strade di Napoli: la ragazza che nasconde la sua vera origine (signurenella letta da Eduardo De Filippo), un uomo abbandonato che aspetta invano il ritorno dell’amata fedifraga (rundinella cantata da Sergio Bruni), la moglie che vive tranquilla nella sua casa (‘A pace d’ ’a casa letta da Eduardo De Filippo). Sono persone semplici, che affrontano le difficoltà quotidiane con pazienza, ma che mostrano anche una profonda inquietudine, una serenità apparente e una disperazione nascosta, un desiderio di liberarsi da una condizione che le spaventa. Sono esseri indecisi, che non si fidano di una realtà che li delude sempre, ma sperano sempre in qualcosa di meglio: questi sono i personaggi che vivono nel mondo di Galdieri, dove sembra che ci sia sempre l’attesa di un miracolo che non arriva, di una parola che nessuno dice, e dove tutto sembra seguire una logica assurda, ma precisa.

In netto contrasto con il linguaggio aulico di Salvatore Di Giacomo, che strizza l’occhio alla lirica decadente dannunziana guadagnandosi i complimenti di Benedetto Croce e col post-verismo di Ferdinando Russo, Libero Bovio, Ernesto Murolo che raccontano una delle facce di Napoli, forse quella migliore, certamente la più folkloristica e accattivante, Galdieri parla la lingua delle persone che racconta: vera, inquieta, colloquiale, molto più affine a quella dei poeti crepuscolari come Gozzano, Moretti e Corazzini.

Eduardo De Filippo, che considerava Rocco Galdieri il più grande poeta napoletano di sempre, volle incidere negli anni ‘50 un disco con la Fonit Cetra per eternare il ricordo del grande poeta strappato alla vita troppo presto: lo stesso Eduardo che il poeta aveva fatto esordire, giovanissimo al fianco della sorella Titina, nella opera teatrale “Babilonia” del 1913.

1 commento su “Rocco Galdieri, l’altro lato dell’anima napoletana”

  1. Accurata e coinvolgente biografia di Rocco Galdieri. Lo stile narrativo è ricco e immersivo, mostrando una profonda ricerca storica e una grande attenzione ai dettagli.

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