Riso amaro: 17 dicembre 2023

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Fonte: www.rarefilmsandmore.com

Un anno e passa di governo (di governo mò, di esibizioni sui social o accanto ai governanti di mezzo mondo, di invenzioni vittimistiche e di attacchi scomposti alle opposizioni, più che altro) comincia a pesare sulle fragili spalle della Meloni. Mentre i suoi fratelli d’Italia (FdI) continuano, come da copione, a fornire la consueta serie di insulti alla sinistra e di “sgrammaticature istituzionali”, la Premier va intensificando la produzione di gaffes, che nell’idioma puro, tanto apprezzato da quelle parti, sarebbero “papere” (ma non vogliamo rischiare fraintendimenti).

La prima ha coinvolto il suo predecessore. Alludendo alla celebre foto di Draghi sul treno diretto a Kiev, insieme a Macron e ad Olaf Scholz, la Premier ha chiosato malignamente: “Per alcuni la politica estera è stata semplicemente farsi fotografare con Germania e Francia, anche senza portare a casa niente”. Naturalmente, con la disinvoltura che caratterizza l’intera classe dirigente oggi al governo, l’affermazione è stata immediatamente ridimensionata se non proprio capovolta. Nella stessa giornata i notiziari televisivi ci mostravano però la nostra Premier seduta al tavolo di un bar proprio insieme ai medesimi personaggi e quindi è giusto chiedersi: cosa porterà a casa la Meloni dopo un drink al bar con Germania e Francia e, soprattutto, chi ha pagato?

Ben più grave è stata però la superficialità, degna dei suoi peggiori collaboratori, con la quale la Premier ha sventolato al Senato un documento volto a dimostrare che la sottoscrizione del tanto odiato MES (Meccanismo europeo di stabilità) era illegittima perché recava la firma di un Luigi Di Maio ormai non più ministro degli esteri, essendo decaduto dalla carica il giorno prima insieme al governo. Notizia prontamente smentita dallo stesso Di Maio che l’ha invitata a leggere bene il documento e, in particolare, la data che lo rendeva pienamente valido. Leggerezza della Meloni o dei suoi fidi collaboratori?

Come se non bastasse, giunge notizia che l’accordo stipulato col premier albanese Rama per ospitare o, meglio, recludere gli immigrati irregolari, viene messo in discussione dalla Corte Costituzionale di quel paese. Sorpresa: avrebbe mai sospettato, la Meloni, che quei poverini degli albanesi, sudditi mancati del mai nato impero italico, avessero una Corte Costituzionale? Cose da pazzi, si saranno detti in casa FdI, anche all’estero ci sono organi di garanzia che ostacolano l’azione di governo! 

Ma una nuova tegola sta per cadere in testa alla Premier. Si tratta della vicenda diffusa da alcuni quotidiani, della giovane antifascista italiana, Ilaria Salis, detenuta da nove mesi, in condizioni riferite come inumane, nelle carceri ungheresi sotto l’accusa di aver aggredito nientemeno che due neonazisti durante la celebrazione dei màrtiri hitleriani che si opposero all’avanzata delle truppe sovietiche, manifestazione che si tiene annualmente a Budapest. Rischia sedici anni di reclusione, così come un altro italiano, Gabriele Marchesi, detenuto con la medesima accusa. Il padre della Salis ha scritto accorate richieste di intervento alla Meloni, a La Russa e a Nordio senza ottenere alcuna risposta. Un silenzio palesemente complice dell’autocrate magiaro. Si vede che l’asse Meloni-Orban oggi va ben oltre il comune atteggiamento ricattatorio nei confronti dell’Unione Europea: li unisce anche l’odio per gli antifascisti.

Fino a quando la Meloni riuscirà a fuorviare i partner europei, quelli che contano e non i suoi amichetti sovranisti? La buona, anche se guardinga, accoglienza che le riservarono all’indomani dell’incarico di governo è rimasta intatta o comincia a vacillare? Per recitare tutte le parti in commedia la Meloni si è dotata di un ventaglio variopinto di atteggiamenti pubblici. Si va dal sorriso cordiale e accattivante che esibisce negli incontri internazionali, all’incedere serio e protocollare che usa nelle parate ufficiali, per poi passare al tono suadente dei suoi autocratici e patinati messaggi social e per finire in bellezza (si fa per dire) con il livore che accompagna le sue occhiatacce e le sue sguaiate invettive contro la sinistra.

Totalmente diversa l’immagine del suo scomodissimo alleato, Salvini, prontamente rintuzzato dalla Meloni che, in risposta alla tenuta nera da lui adottata forse stabilmente fino alle europee, ha indossato a Bruxelles un tailleur pantaloni di uno sgargiante verde “Padania libera”. Camaleontico nel vestire, Salvini dice tutto e il contrario di tutto sempre con la stessa espressione da alunno dell’ultimo banco (quello che tira gli aeroplanini di carta). È impassibile e avrebbe potuto sedere brillantemente ad un tavolo di poker almeno fino a quando gli altri giocatori non si fossero accorti che bluffava sistematicamente, più o meno come fa in politica da almeno dieci anni. Probabilmente è il primo a non credere nella realizzazione del ponte dei “sospiri”, suoi e di tutti quelli che vogliono mettere le mani sui giganteschi finanziamenti, in essi compresi l’autore del ciclopico progetto, probabilmente un ingegnere di area meloniana. Crede però che l’impegno per questa mirabolante opera pubblica gli porti voti dalla Calabria e dalla Sicilia senza pensare a quelli che potrebbe perdere nelle sue roccaforti del Nord. Se le opposizioni, come ci auguriamo, catalizzassero efficacemente la loro propaganda anche contro questa mostruosità, più pericolosa ed orrenda dei mitici Scilla e Cariddi, Salvini per salvare la faccia (e ne sarebbe capace) potrebbe vantare la realizzazione del Ponte sullo Stretto recandosi a Messina o a Villa San Giovani per trascorrervi uno dei week end lunghi suggeriti dal calendario.

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