Matteo Bottiglieri e la poesia della pietra

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Matteo Bottiglieri, Cristo e la Samaritana, 1733 chiostro di san Gregorio Armeno, Napoli

Nell’impetuoso palcoscenico dell’arte del Settecento, in cui figure celebri e talenti emergenti danzavano tra i marmi e le tele, c’era un nome che, sebbene oggi poco noto, meriterebbe un plauso maggiore nella storia dell’arte. Questo nome è Matteo Bottiglieri, uno scultore il cui lavoro, seppur in ombra rispetto ai grandi maestri del suo tempo, rappresenta un affascinante tassello del panorama artistico dell’epoca. Attraverso la sua opera, Bottiglieri ha intrecciato abilmente tradizione e innovazione, creando sculture di notevole bellezza e profondità, che invitano ancora oggi a scrutare nel cuore dell’arte settecentesca.

La figura di Matteo Bottiglieri, uno dei talenti più misteriosi dell’arte settecentesca, emerge dall’oscurità della storia come un artista attivo a Napoli nella prima metà del XVIII secolo. Le scarse notizie personali e le fantasiose avventure riportate dal suo contemporaneo Bernardo De Dominicis, nella monumentale raccolta “Vite de’ pittori, scultori ed architetti napoletani”, rendono la ricostruzione della sua personalità un’impresa ardua.

Dal “processetto matrimoniale” (indagine censoria adoperata dal clero fino al 1860), conservato presso l’Archivio Diocesano di Napoli, possiamo apprendere dallo stesso Bottiglieri: “io doppo che mi partii dalla terra di Castiglione (Castiglione dei Genovesi in provincia di Salerno) mia patria che fu nell’anni 1696 e mi portai in questa città di Napoli, non mi sono più partito ed habito sotto la Parrocchia di Ave Grazia Plena di Fonseca”. L’artista si riferisce alla sua bellissima dimora, Palazzo Bottiglieri, edificio storico ancora presente in via Salvator Rosa al civico 78.

La sua eredità artistica brilla comunque attraverso le opere a lui attribuibili con certezza, facendo di Bottiglieri uno dei rappresentanti più autentici della scultura nell’ultimo periodo del barocco meridionale. Grande merito dell’artista fu saper abbracciare e reinterpretare elementi tradizionali, indirizzando la sua arte verso le influenze emergenti del Rococò. Sebbene sia stato citato come allievo di Luigi Vaccaro, le prime sculture conosciute mostrano un’aderenza stilistica agli esempi di Cosimo Fanzago, in particolare per il realismo fisionomico con cui sono resi i volti dei personaggi. In seguito, forse conoscendo i lavori dell’astro nascente Gian Lorenzo Bernini, Bottiglieri si orienta verso forme più dinamiche, dal carattere più decorativo e meno severo. Questo cambiamento è evidente soprattutto nelle opere monumentali, dove abbraccia una stilizzazione più accentuata, distante dal suo iniziale naturalismo, cercando di rappresentare le figure in pose complesse che esaltano gli effetti chiaroscurali. Questo nuovo approccio stilistico è evidente nel gruppo scultoreo del “Cristo e la samaritana” nel chiostro di S. Gregorio Armeno a Napoli. I 1940 ducati pagati dalle monache basiliane per il gruppo ci danno la dimensione del successo raggiunto dall’artista allora trentasettenne.

La sua attività collaterale di figurinista presepiale presso la bottega del fratello Felice in via San Biagio dei Librai, secondo lo storico dell’arte Franco Mancini, avrebbe aiutato l’evoluzione dello stile di Matteo verso forme meno convenzionali e più simili alla pittura del suo contemporaneo e amico, il pittore Francesco Solimena. Un altro momento in cui Bottiglieri dimostra questa tendenza decorativa è nella decorazione della guglia dell’Immacolata nella piazza del Gesù Nuovo, realizzata tra il 1747 e il 1751 con Francesco Pagani e progettata da Giuseppe Genino. Al Bottiglieri si devono le statue che decorano la balaustra del monumento: Sant’Ignazio, San Francesco Borgia, San Francesco Saverio e San Francesco in Regis. Inoltre due medaglioni nella parte superiore della guglia: la “Purificazione” e “l’Incoronazione della Vergine Maria”. Qui, le figure e gli ornamenti proliferano in una ripetizione fitta di motivi, concentrandosi sugli effetti d’insieme, trasformando in marmo le effimere “macchine della festa” barocche fatte di legno e cartapesta.

Cristo deposto di Matteo Bottiglieri, disegno di Antonio Nacarlo

Nascosto tra le mura del Duomo di Capua, un vero scrigno di tesori artistici, si trova il suo “pièce de résistance”: il “Cristo deposto”. Questo capolavoro, risalente al 1724, è una testimonianza di straordinaria bellezza e grande significato emotivo. Nelle mani di Bottigliero il freddo marmo si anima, sussurrando storie eterne. Questa rappresentazione di Gesù giace su un freddo basamento di marmo, coperto da un sudario. Non è un Gesù mistico, ma un uomo senza vita, senza espressione di dolore o pace, nessun pietismo di maniera. Nelle mani di Bottiglieri la pietra prende vita, raccontando segreti antichi e svelando emozioni profonde. Gesù è ritratto segnato e sporco, esprimendo una visione della morte più concreta e disillusa se confrontata con la ben più celebre opera “Cristo velato”, scolpita dal suo allievo Giuseppe Sammartino nel 1753. Il Cristo di Bottiglieri è come una finestra aperta su un’epoca in trasformazione artistica, dove il passato si intreccia con il futuro, creando opere che continuano a svelare segreti e a emozionare il cuore di chi le contempla. La pietra e il legno prendono vita nelle mani di Bottiglieri, raccontando storie terrene con una grazia silenziosa.

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