Neoliberismo e povertà in Italia: l’avvento al potere delle destre e l’abolizione del reddito di cittadinanza

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Völkischer Beobachter, giornale di partito della propaganda hitleriana

Come attesta ogni dizionario, il neoliberismo è una dottrina economica che promuove la deregolamentazione del mercato e la riduzione del ruolo dello Stato nell’economia. In Italia, il neoliberismo ha avuto un impatto significativo sulla politica economica e sociale del Paese. Secondo alcuni studiosi, il neoliberismo ha portato a una maggiore disuguaglianza economica e sociale e ha contribuito alla diffusione della povertà. Questa visione ha influenzato le scelte di molti governi negli ultimi decenni, anche in Italia, dove si è assistito a una progressiva erosione dei diritti sociali e del welfare state.

Uno degli esempi più recenti e controversi di questa tendenza è stata l’abolizione del reddito di cittadinanza. Il reddito di cittadinanza (RdC) era una misura introdotta dal governo Conte nel 2019, con lo scopo di contrastare la povertà e favorire l’inclusione sociale e lavorativa dei cittadini in condizioni di disagio economico. Il RdC consisteva in un sussidio mensile, variabile in base alla composizione del nucleo familiare e al reddito disponibile, erogato tramite una carta prepagata, cui si accompagnava l’obbligo di sottoscrivere un patto per il lavoro o per l’inclusione sociale e di accettare le offerte di lavoro congrue proposte dai centri per l’impiego. L’erogazione del RdC era condizionata al rispetto di una serie di requisiti, tra cui la residenza in Italia da almeno 10 anni, il possesso di un ISEE inferiore a 9.360 euro, l’assenza di beni mobili o immobiliari superiori a determinate soglie e la dichiarazione di immediata disponibilità al lavoro.

L’attuale Governo di centro-destra, guidato da Giorgia Meloni, ha deciso di abolire il sussidio, sostenendo che si trattasse di una misura assistenziale, inefficace e dispendiosa, che disincentivava la ricerca del lavoro e favoriva le frodi e gli abusi, alimentando, di fatto, la dipendenza dallo Stato. Al suo posto, il Governo ha introdotto una riforma del mercato del lavoro basata sulla flessibilità, sulla precarizzazione e sulla riduzione dei costi del lavoro. Inoltre, ha tagliato le spese per la sanità, l’istruzione, la cultura e l’ambiente, privilegiando invece gli investimenti in sicurezza, difesa e infrastrutture.

Quali sono le ripercussioni sociali a breve e medio termine di queste scelte? Secondo i dati dell’Istat, l’abolizione del RdC determinerà un aumento della povertà assoluta e relativa in Italia, che già aveva raggiunto livelli mai visti dal dopoguerra. Circa 10 milioni di italiani vivono oggi sotto la soglia di povertà, con un reddito inferiore a 780 euro al mese per una famiglia di due persone. Inoltre, gli effetti della revoca del RdC contribuiranno ad acuire la disuguaglianza economica e sociale tra ricchi e poveri in Italia, che era già tra le più alte in Europa. Secondo il rapporto Oxfam del 2020, il patrimonio dei primi tre miliardari italiani della lista Forbes era superiore alla ricchezza netta detenuta dal 10% più povero della popolazione italiana, circa 6 milioni di persone. Il coefficiente di Gini, che misura il grado di disuguaglianza nella distribuzione del reddito, era pari a 0,34 in Italia nel 2019, superiore alla media europea di 0,29.

Giovani, donne, immigrati e disoccupati, che già non riescono a trovare un lavoro stabile e dignitoso, saranno costretti ad accettare condizioni lavorative sempre più precarie e sottopagate. L’aumento della povertà avrà effetti negativi sulla salute, sull’istruzione, sulla partecipazione civica e sulla coesione sociale, generando quello che i ricercatori definiscono “l’effetto loop della povertà” cioè un ciclo di povertà che può essere perpetuato da una generazione all’altra. Secondo il Fondo Monetario Internazionale le persone sotto la soglia di povertà hanno già maggiori probabilità di ammalarsi, di abbandonare gli studi, di essere escluse dalla vita sociale e politica e di subire discriminazioni e violenze. Inoltre, la povertà genera frustrazione, rabbia e risentimento verso le istituzioni e verso gli altri gruppi sociali, favorendo il diffondersi di fenomeni di intolleranza e xenofobia.

Questa decisione ha avuto effetti devastanti sulle condizioni di vita delle famiglie meno abbienti, soprattutto nell’area metropolitana di Napoli, dove il tasso di povertà assoluta era già salito al 13,4% nel 2019, il più alto tra le grandi città italiane. Secondo i dati dell’Inps, nel 2020 erano circa 200 mila i beneficiari del RdC nella provincia di Napoli, per un importo medio mensile di 495 euro. La revoca del RdC significherà per queste persone perdere l’unica fonte di sostegno economico in un contesto già segnato dalla crisi occupazionale, dalla precarietà e dall’emergenza sanitaria ed economica legata al post pandemia da Covid-19.

La proposta di salario minimo garantito, avanzata dai partiti dell’opposizione, che avrebbe potuto rappresentare una misura alternativa e complementare al RdC, non è stata accolta da questo Governo, preferendo avallare i pareri contrari delle associazioni datoriali, di alcuni economisti e della sigla sindacale UGL, tutti preoccupati, a vario titolo, per i presunti effetti negativi sul costo del lavoro e sulla competitività delle imprese. Su tale argomento, Domenico De Masi, in un’intervista al quotidiano L’Unità del 2 giugno u.s. ha dichiarato: “Non so se c’è più da ridere o da piangere di fronte a questa mastodontica falsificazione della realtà, a questa ciclopica idiozia. Non so se chi la porta avanti sia più per ignoranza, nel senso latino del termine, o per strumentalità politiche. A costoro, dati alla mano, andrebbe fatto sapere che intanto una misura del genere innalzerebbe il salario di oltre 4 milioni di persone. Quanto poi ai ragionieri di alto bordo che scrivono sui giornaloni che l’Italia non si può permettere salari di 9 euro all’ora, rispondo che questo è un’assoluta vergogna per un Paese che ha l’ottava economia del mondo. Tutti i paesi civili, governati dalla destra o dalla sinistra, hanno già un salario minimo. Solo da noi c’è ancora tutto questo”. Il Governo ha rinviato la discussione sul salario minimo, presumibilmente a ottobre, senza prevedere alcuna forma di transizione o compensazione per i lavoratori a basso reddito che hanno perso il RdC se non l’assegno di inclusione e il supporto per la formazione e il lavoro, ancora in corso di definizione. I politici di governo hanno con questo rinvio dimostrato di essere scollegati dalla realtà, pensando alle loro lussuose (e immeritate) ferie, piuttosto che al benessere dei cittadini abbandonati in condizioni di disagio. Il Governo Meloni ha comprovato di non avere a cuore gli interessi e i bisogni delle classi popolari, ma di seguire una logica neoliberista e autoritaria, che privilegia le élite economiche e politiche a scapito della maggioranza della popolazione. La premier non comprende, come molti nostri connazionali purtroppo, il perché in Italia ci voglia una politica sociale. Che non è bieco assistenzialismo, ma la capacità di un Paese civile d’individuare quelle fasce di popolazione, svantaggiate per vari motivi, che vanno gestite e aiutate.

La situazione di frustrazione generata dalla revoca del RdC e dalla mancata attuazione del salario minimo ha scatenato una serie di proteste e disordini, soprattutto nelle grandi città, dove si sono verificati assembramenti. A Napoli, in particolare, si sono registrate numerose manifestazioni di piazza, organizzate da comitati spontanei di cittadini, associazioni di categoria e partiti di opposizione, che hanno denunciato la politica del Governo come antisociale e antidemocratica. Il Governo resta a guardare… La stampa amica non denuncia, anzi non perde occasione per ridicolizzare gli ex percettori della misura inclusiva (“furbetti del reddito”, “Il governo rapina il nord”, esempi del “il Giornale”; “Libero” ha fatto ancora peggio: “Buon lavoro fannulloni”, “Ci toccherà mantenere un meridionale a testa”). Da italiani ci chiediamo se questi titoli si siano ispirati al “Völkischer Beobachter”, giornale di partito della propaganda hitleriana.

Un autore che ha analizzato in profondità le trasformazioni della società contemporanea è il sociologo polacco Zygmunt Bauman. Secondo Bauman, viviamo in una società liquida, caratterizzata dall’incertezza, dalla fragilità dei legami sociali e dall’individualismo. In questa società, la povertà non è più vista come una condizione da combattere con politiche pubbliche, ma come una colpa individuale da stigmatizzare e isolare. I poveri sono considerati dei falliti, dei parassiti, dei pericoli per l’ordine sociale. Bauman ci invita a riconoscere la dignità e i diritti dei poveri, a non considerarli come oggetti di carità o di repressione, ma come soggetti di cittadinanza e di partecipazione. Un saggio che molti, tantissimi della mia generazione hanno letto, chissà se la Giorgia nazionale, mia coetanea, lo abbia inserito tra le sue letture. Magari nel ripiano della biblioteca accanto al Mein Kampf.

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