Archeologia e Bibbia: Giuseppe, Gran Visir d’Egitto

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La dea avvoltoio Nekhbet (Fonte: Aves divinas del antiguo Egipto (nationalgeographic.com.es)

La ricerca effettuata dagli storici e dagli archeologi nel tentativo di trovare una qualche evidenza, una traccia che fosse in grado di testimoniare l’evento della nomina di Giuseppe a Gran Visir in Egitto è risultata, almeno fino ad oggi, vana.

Il lavoro, tra l’altro, si è rivelato più difficile del previsto anche per il fatto che la maggior parte dei reperti risalenti al periodo degli Hyksos è andata irrimediabilmente perduta a causa della distruzione effettuata da Ahmose, primo faraone egiziano della XVIII dinastia (1580-1558 ca. a.C.), il quale, per liberare l’Egitto dagli Hyksos invasori, conquistò la loro capitale Avaris. Le tracce dell’implacabile ira del re Ahmose sono state rinvenute durante gli scavi di Tell el-Dahba.

Molti studiosi, tra cui l’archeologo israeliano Israel Finkelstein, sostengono che il racconto di Giuseppe deve essere visto come un bellissimo mito finalizzato a raccontare agli Israeliti, nel momento in cui si apprestavano a fondare Israele nella terra di Canaan, la gloriosa storia dei loro antenati quando, in passato, avevano regnato come reali Hyksos in Egitto.

Bisogna però dire, allo stesso tempo, che il racconto di Giuseppe si basa su eventi che non erano completamente estranei alla realtà di quel tempo. Lo storico James Hoffmeir, ad esempio,racconta di un cananeo, di nome Bay, che in seguito alla morte del faraone Seti II (1204 a.C.) fu elevato alla carica di “Gran Cancelliere”.

Alcune testimonianze archeologiche raccontano di un semita che aveva prestato servizio come “Visir” durante il regno della regina Hatshepsut.

L’egittologo Alain Zivie riportò alla luce una tomba, a Saqqara, appartenente a un uomo chiamato ‘pr-el o Aper-El. La particolarità del ritrovamento risiedeva nell’accostamento del nome Aper, di uso comune durante il periodo degli Hyksos, ad El, il nome della divinità che si ritrova sia nei testi cananei che in quelli ebraici, il che fa pensare che l’uomo discendeva, con ogni probabilità, da una famiglia cananea. Le iscrizioni nella tomba indicano che Aper-El aveva servito, nel corso della sua vita, proprio come Visir sia di Amenofi III che di Akhenaton.

Altri elementi presenti nel racconto della Genesi trovano interessanti riscontri con la realtà storica del tempo. Il richiamo ai “sette anni”, ad esempio, è riportato in diversi testi egizi. Una stele risalente al periodo tolemaico afferma di un grave male che aveva colpito tutti i residenti del palazzo di re Djoser, dovuto al fatto che il Nilo non era esondato per un periodo di “sette anni”.

La Genesi narra che il faraone, nel nominare Giuseppe “Gran Visir”, “gli pose al collo un monile d’oro” (Genesi 41:42). Monili di questo tipo, alcuni coronati con due teste di falco, si possono ritrovare nelle collezioni archeologiche di tutto il mondo.

Singolare è il riferimento riportato in Genesi 41:43, quando il faraone permette a Giuseppe di “montare sul suo secondo carro”. Questo mezzo di trasporto, trainato da due cavalli, non era mai stato usato in Egitto in quanto introdotto proprio durante il periodo degli Hyksos.

Il faraone diede a Giuseppe un nuovo nome. A partire da quel momento sarebbe stato conosciuto col nome egizio di Zafnat-Paneach. Inoltre, gli diede in moglie Asenat,figlia di Potifera, sacerdote di On. In questo modo il faraone intese proteggere Giuseppe da qualsiasi tentativo di opporsi ai suoi poteri straordinari da parte della casta sacerdotale e dagli aristocratici in quanto i sacerdoti, durante il periodo degli Hyksos, esercitavano una notevole influenza sulla vita pubblica.

I doveri di un “Gran Visir”, in Egitto, erano molteplici. Oltre alla responsabilità di accumulare scorte per preparare il regno a una carestia di sette anni, Giuseppe avrebbe dovuto sovrintendere tutti i granai, portare il sigillo reale e ricoprire il ruolo di intendente della terra d’Egitto. Presto diede inizio alla costruzione di enormi granai in ogni città principale. Miniature di questi granai, realizzati a forma di alveare, sono stati spesso ritrovati all’interno delle tombe in tutto l’Egitto.

Interessante il riferimento che la Genesi fa alla città di On, conosciuta anche come Eliopoli. Durante il Medio Regno Eliopoli divenne un importante centro, meta per il culto del dio più antico d’Egitto, Atum. Il Libro dei Morti la descrive come il luogo della “moltiplicazione dei pani” facendo riferimento al mito secondo cui il dio Horus era in grado di nutrire gli spiriti di una mummia con solo sette pani.

Alla fine, la carestia arrivò. Tutto il Vicino Oriente fu colpito da questo tragico evento che portò alla fame intere popolazioni. Solo l’Egitto, grazie a Giuseppe, era salvo. Fiumi di carovane presero a dirigersi in Egitto per comprare cibo. Tra di loro, quella dei fratelli di Giuseppe.

Giunti in Egitto, i fratelli di Giuseppe non riconobbero quello che un tempo avevano venduto come schiavo e che ora invece era il Visir Zafnat-Paneach, l’uomo che, dopo il faraone, era il più potente d’Egitto. Giuseppe decise di mettere in piedi un piano atto a scoprire se il cuore dei suoi fratelli era cambiato. Voleva sapere se sarebbero stati disposti a rischiare la loro vita per salvare il loro fratellastro Beniamino. Poiché Giuseppe e Beniamino erano nati da Rachele, questa prova era necessaria per rivelare se avrebbero tradito Beniamino come avevano fatto con lui quando aveva diciassette anni: diede quindi loro tutto il cibo che chiedevano ma, di nascosto, fece introdurre un calice nel sacco del suo fratello più giovane.

Quando i fratelli di Giuseppe, per ritornare a casa, raggiunsero la frontiera, furono soggetti a controllo da parte delle guardie egizie le quali, scoprendo il calice, arrestarono Beniamino e lo riportarono alla capitale. Giuda, proprio colui che aveva venduto Giuseppe, implorò il Gran Visir di liberare Beniamino. Fu in quel momento che Giuseppe si rivelò ai suoi fratelli: “Io sono Giuseppe, vostro fratello, quello che voi avete venduto sulla via verso l’Egitto” (Genesi 45:5).

Giuseppe li perdona, in quanto vede che il loro cuore è cambiato, e perché vede in tutto ciò che è successo un disegno divino finalizzato a salvare la vita della propria famiglia che adesso poteva mettersi in salvo trasferendosi da Canaan in quella regione.

Giacobbe raccolse tutta la sua famiglia, le sue mogli, i suoi servi, il suo bestiame, e si trasferì nella terra del Nilo. Il faraone gli assegnò una proprietà nel luogo migliore scelto per loro, la regione di Gosen, dove avrebbero potuto continuare a vivere in pace.

Il primo libro della Bibbia, la Genesi, si chiude proprio con l’insediamento di Giacobbe nella terra d’Egitto.

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