I comici e la politica

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Prima di iniziare la stesura di questo breve pro memoria ed avendone già individuato il titolo, sono stato lungamente tentato di farlo precedere da un pezzo col titolo inverso “I politici e la comicità”. Poi mi sono detto che l’argomento è così banale che non vale la pena spendere ulteriori commenti su Berlusconi, Salvini, La Russa, Sangiuliano, Lollobrigida, i due Fontana (Attilio e Lorenzo a pari merito), Pillon, la stessa Meloni (quando veste di bianco all’incontro con il Papa, ad esempio) ma anche i dioscuri Renzi e Calenda, tutti protagonisti di episodi di comicità, talvolta inconsapevole. Superata questa esitazione mi sono quindi dedicato all’argomento prescelto.

Infatti, girando per il web, si scoprono non pochi comici di professione prestati alla politica; in particolare un articolo di qualche anno fa, pubblicato su “Il Giornale.it” a firma di Gabriele Bertocchi, mi ha fatto scoprire che in Guatemala un comico è stato eletto alla carica di presidente; in Danimarca un altro comico è stato eletto al Parlamento; un altro ancora, Jon Gnarr, nel 2010 è statoeletto sindaco di Reykjavík, di lui Bertocchi racconta che «lanciò un partito per gioco durante uno show televisivo, tra le sue promesse quella di regalare asciugamani a tutte le piscine pubbliche.»

A queste scarne ma colorite notizie occorre aggiungere il caso di Coluche, attore comico francese che nel 1980 dichiarò di volersi candidare alle presidenziali del 1981. Una provocazione che però i sondaggisti valutarono in un consenso del 16%. La sua candidatura trovò anche il sostegno della famosa rivista satirica Charly Hebdo (la cui redazione parigina, come molti ricorderanno, fu teatro della sanguinosa strage islamica del gennaio 2015) e di intellettuali di spicco come Gilles Deleuze e Felix Guattari. Ma Coluche abbandonò il progetto a causa delle forti tensioni scatenate dalla politica tradizionale, che raggiunsero il culmine quando il suo manager René Gorlin fu assassinato.

Qui da noi la vicenda di Beppe Grillo, comico prestato alla politica (che ne avrebbe volentieri fatto a meno), è nota a tutti e non è dunque il caso di aggiungere molto. Non sappiamo se i comici passati alla politica negli altri paesi avessero anche loro dei precedenti giudiziari: il nostro sì, e la cosa gli ha impedito di ricoprire cariche pubbliche sollevandolo però, nel contempo, da qualunque responsabilità: Beppe Grillo è tuttora un turista della politica, un politico da diporto.

C’è stato però un precedente che forse molti hanno dimenticato: Gianfranco Funari. Lo conoscemmo come cabarettista, non malvagio, negli anni Settanta. Era approdato sugli schermi della Rai dopo aver avuto accesso a quel tempio del cabaret che era in quegli anni il “Derby” di Milano. Poi, girovagando in un carosello ultraventennale tra la RAI, Telemontecarlo, le reti Mediaset e le emittenti minori come conduttore, cominciò a lanciare critiche feroci, sguaiate e spesso volgari ai politici, diventando il campione di un neo-qualunquismo che è all’origine di quello che sta alimentando il crescente astensionismo elettorale. Il suo populismo, deliberatamente gretto e iconoclasta, si nutriva del suo narcisismo incontenibile. Fu sul punto di candidarsi a sindaco di Milano con una sua “Lista Funari” nel 1994, ma vi rinunciò all’ultimo momento. Pur restando fuori dalla politica attiva preparò il terreno a chi è poi riuscito a canalizzare l’antipolitica e lo svilimento del concetto di competenza nel movimento dilettantistico dell’”uno vale uno”, che ha regalato al nostro Paese non poche sventure economiche e politiche. Una coincidenza: tra le varie emittenti che ospitarono Funari come conduttore ci fu anche il circuito televisivo a diffusione nazionale “Cinquestelle”.

Tirando un po’ le somme l’unico passaggio apprezzabile dalla professione di comico a quella di politico ce lo ha mostrato Zelenskyj: bravo e famoso quando recitava, fiero e coraggioso nel difendere il suo popolo.

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