La capolista se n’è andata?

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Si avvicina, partita dopo partita, la fine della stagione calcistica della SSC Napoli che, fatti i dovuti scongiuri, dovrebbe vederla vincitrice del campionato nazionale di calcio. In città si respira già da tempo un clima di attesa fiduciosa appena turbata dalla prospettiva di qualche grave imprevisto (la superstizione è di casa a Napoli e nei tifosi in particolare), ma non tanto da impedire l’avvio dei festeggiamenti che si preannunciano lunghi e fragorosi: lunghi perché l’ora della vittoria potrebbe scoccare già a fine aprile, fragorosi perché, mai come questa volta, i meriti della squadra sono indiscutibili. Non solo, ma arricchiti da una qualità di gioco che ha suscitato rispetto e ammirazione anche fuori dai confini nazionali, il che ha risvegliato il tifo e la partecipazione di chissà quanti napoletani residenti all’estero.

In questo successo ha avuto una parte non trascurabile anche la prova di serietà, di compattezza e di disciplina che tutti i giocatori hanno dato: si pensi a come sono state accettate senza tante storie le numerose esclusioni dalla prima squadra di valenti giocatori e come lo sono state anche le sostituzioni nel corso delle gare. Quanto vorremmo che anche la platea dei tifosi e soprattutto le sue frange più turbolente e talvolta delinquenziali fosse plasmata dalla stessa maturità! La cosa appare però quasi impossibile per almeno quattro motivi. Il primo è l’infiltrazione camorristica, il secondo è il clima di competizione violenta e vandalica che vediamo anche nelle tifoserie di altre nazioni come quelle olandesi, tedesche e britanniche, di più antica tradizione. Il terzo motivo è dato dalle persistenti, anzi crescenti e sempre più virulente, manifestazioni di razzismo che i tifosi delle squadre del nord dedicano nei loro stadi ai nostri tifosi ed agli stessi giocatori. È un fenomeno dilagante alimentato dalla peggiore propaganda leghista estremizzata da frange neo-fasciste e neo-naziste, peraltro presenti anche nelle tifoserie delle due squadre romane e segnatamente in quella della Lazio: la competizione tra le tifoserie del Napoli e della Roma ha origini lontane, per la verità, legate a motivi campanilistici e solo da qualche tempo è sfociata in comportamenti criminali.

L’ultimo motivo, non meno avvertito degli altri, è di natura geopolitica. Dal 1950 in poi lo scudetto è andato per ben 58 volte alle squadre di Milano e di Torino ed è sceso al di sotto di Roma solo due volte a Napoli ed una a Cagliari. Se si restringe il periodo di riferimento agli ultimi vent’anni, la musica non cambia anzi peggiora: le vittorie hanno premiato esclusivamente Inter, Milan e Juventus. Certo, ci si deve rendere conto che il mondo del calcio è prigioniero del denaro e chi più ne dispone può meglio rafforzare la sua squadra. Ma nessuno può sollevare i napoletani e i meridionali in generale dal sospetto che i soldi non servano solo per acquistare fuoriclasse ma anche per crearsi condizioni di favore nelle strutture organizzative nazionali e nel mondo arbitrale: quella famosa sudditanza non sempre conquistata col rispetto ma talvolta indotta con comportamenti benevoli. E quindi è comprensibile che molti tifosi napoletani si sentano defraudati. Ecco, il calcio è diventato nel corso del tempo un mondo nel quale il Napoli non può essere accusato di corruzioni, truffe, scippi e dei tanti reati di cui, talvolta fondatamente, la citta che lo ospita è considerata teatro. E dunque un certo senso di rivalsa, di liberazione dall’oppressione calcistica del nord è più che giustificato e merita di essere celebrato a lungo e con grande entusiasmo.

Dovesse poi il Napoli vincere la Champions League o anche semplicemente raggiungere la finale, cosa possibile, ci sarebbe da esultare per aver raggiunto un traguardo mai toccato neanche negli anni d’oro in cui la squadra era guidata da “la mano de Dios”. E certamente per far vincere qualcosa al Napoli, come si dice qui da noi, “ce vo’ a’ mano ‘e Ddio!”

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