La Basilica di Santa Maria alla Pietrasanta: seguendo il filo rosso della Storia

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Largo antistante il Museo Lapis (Fonte: https://www.napoli-turistica.com/)

Le strade strette e l’aria impestata di frittura, motorini sfrecciano tra le bancarelle improvvisate, una lunga teoria di studenti brufolosi si avvia verso una palazzina in stile eclettico che ospita un Liceo, piacevole nel contesto antico come un pugno in un occhio. Siamo a Napoli in via dei Tribunali, proprio di fronte al nostro sguardo si erge un campanile in stile romanico, quinta teatrale che ha per sfondo l’imponente facciata della Basilica di Santa Maria Maggiore della Pietrasanta, appena arretrata rispetto all’asse viario per accentuarne l’effetto scenografico. Chiude la scena una piccola ed armonica costruzione rinascimentale in piperno, con il prospetto impreziosito da lapidi in marmo bianco per marcare il contrasto: la Cappella detta del Pontano.

La Basilica di Santa Maria Maggiore fu fatta erigere nell’anno 533, sui resti del tempio di Diana di epoca romana, dal vescovo Pomponio e fu il primo edificio di culto a Napoli dedicato a Maria madre di Cristo. La Vergine gerosolimitana andava così a sostituire la Vergine egea, dea dei boschi e protettrice delle donne e degli animali, nell’ottica di quella transizione-sovrapposizione dai culti pagani a quelli cristiani operata agli albori della Chiesa di Roma. Operazione di sincretismo non certamente efficace come sperato, tanto che, come ci raccontano le fonti storiche, ancora nel VII secolo d.C. nella “Neapolis intra moenia” si continuavano a celebrare pratiche devozionali in onore degli dei olimpici. Nell’area poi della Basilica pomponiana il culto lunare della dea Diana era tenuto in vita dalle sue sacerdotesse chiamate dispregiativamente dal popolo “dianare” (da cui il termine napoletano “janara” cioè strega).

Forse queste pratiche o forse il senso di misoginia ispirato dalla Chiesa, che certamente vedeva di cattivo occhio una congregazione di donne libere e colte lontane dal gregge cristiano, originarono la leggenda sulla fondazione della basilica. Si narra che una scrofa di taglia spropositata impedisse il transito e la sicurezza di chi si trovava a passare nella zona. Data la stazza e l’inenarrabile grugnito del suino la comunità si convinse che la bestia altro non fosse che una manifestazione demoniaca evocata dalle dianare contro i cristiani. Il vescovo Pomponio fu chiamato ad esorcizzare il demone. Nella stessa notte Pomponio sognò la Madonna che gli mostrò il metodo per scacciare l’immonda bestia. Una pietra con una Sacra Croce incisa era nascosta in un panno azzurro tra l’erba nelle rovine del tempio, Pomponio doveva ritrovarla e mostrarla all’immonda scrofa, solo così la manifestazione demoniaca sarebbe stata sconfitta. In cambio la Vergine Maria chiese al vescovo di fondare nella zona un edificio a lei dedicato. Sappiamo come andò a finire: scrofa immaginaria e sacerdotesse reali furono scacciate dal sito.

Ricostruzione della Neapolis greca (le frecce rosse indicano i decumani, la freccia blu il Tempio di Diana (Fonte: https://www.lapismuseum.com/)

In realtà sappiamo di come la scrofa fosse uno degli animali sacri a Diana: un bassorilievo in marmo e una scultura di suino, provenienti dalle rovine del tempio, furono poi riutilizzate come ornamento del campanile romanico e rimasero ancora in situ fino al secolo XVII (come riferisce il Celano). Sappiamo come fosse ancora viva, fino al 1625, la tradizione che vedeva l’abbate in carica della basilica donare al vescovo un maiale, da trasformare in porchetta su un falò, dopo aver fatto compiere al povero suino, cavalcato da un fantoccio, un percosso dileggiatorio intorno al perimetro del complesso. Una curiosità: da qui nascerebbe il modo di dire tutto partenopeo, “mettere n’copp ‘a nu puorco” cioè esporre una persona al pubblico ludibrio fino alle estreme conseguenze.

Le curiosità, le leggende e i misteri legati a questo luogo non finiscono qui ma, come direbbe la volpe al piccolo principe nel racconto di Antoine de Saint-Exupéry, “l’essenziale è invisibile agli occhi”, in questo caso in senso letterale. Pertanto, per poter seguire il filo rosso della Storia, dobbiamo scendere nelle profondità della Basilica di Santa Maria alla Pietrasanta, agli inizi di questo millennio divenuta sede del Museo Lapis grazie ai fondi Unesco di valorizzazione e salvaguardia degli edifici storici in abbandono. Scendendo nella cripta, a 10 metri di profondità, è possibile osservare pavimenti e strutture murarie preesistenti, porzioni di muro in opus reticulatum, mosaici di epoca romana, resti del Tempio di Diana. Tra gli elementi di spoglio ritrovati, una curiosa lapide funeraria scolpita su un marmo di riutilizzo di epoca medievale. L’epigrafe ci racconta che la lastra tombale appartenne alla sepoltura del filosofo, matematico e alchimista teutonico Alexander Andreas morto nel 1593. Lo studioso tedesco fu rettore dell’Università di Ratisbona e studiò la dinamica dei fluidi e l’utilizzo degli acidi in piena epoca rinascimentale, un secolo prima del celeberrimo Raimondo De Sangro la cui residenza è raggiungile dal sito attraverso un tunnel scavato nel sottosuolo, cosparso di simboli usati dall’ordine templare.

Napoli, Acquedotto greco (Fonte: https://www.lapismuseum.com/)

Scendendo fino a 35 metri sotto il suolo è possibile visitare inoltre i cunicoli appartenenti all’antico acquedotto greco-romano, sfocianti in cisterne pluviali che permettevano la distribuzione dell’acqua all’intera città.

Credo che siano davvero pochi i posti al mondo che possono vantare tanti reperti e tante testimonianze storiche in poche centinaia di metri cubi. Un vero patrimonio immateriale fatto di Storia e storie dove il mito si confonde con la realtà e la realtà strizza l’occhio alla favola.

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