Il Centro Direzionale di Napoli: dall’utopia urbanistica al degrado

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Il Centro Direzionale di Napoli (fonte: Wikipedia)

Siamo a Napoli alla fine degli anni Ottanta, un caffè costa 450 lire, la canzone “Lambada” dei Kaoma è in testa nelle classifiche mondiali, la colonna sonora dei quartieri cittadini è “Ormaje sì ‘a mia” di Nino D’Angelo. Il sindaco della città è Pietro Lezzi del Partito Socialista, il re incontrastato del popolo azzurro è Diego Armando Maradona.

In questo contesto sociale s’inaugura un progetto ambizioso di rinnovamento urbanistico. Grandi maestri dell’Architettura a confronto per realizzare una nuova City amministrativa, proiettata verso un futuro prossimo sostenibile. Un modello da imitare per “una Napoli da bere”, come recitava uno slogan pubblicitario riferito alla Milano rampante pre-tangentopoli. Stiamo parlando del Centro Direzionale di Napoli, delle promesse elettorali sbandierate dagli amministratori della Prima Repubblica, di un fatuo sogno di modernità rimasto tale.

Il progetto di decongestionare il proverbiale traffico cittadino, costruendo una “cittadella” dove delocalizzare e accentrare la maggior parte degli uffici pubblici nasce nei lontani anni Sessanta. Per la realizzazione venne individuata un’area industriale dismessa di 110 ettari al confine dei quartieri Vicaria e Poggioreale, parallela alla linea ferroviaria della Stazione Centrale. Il tutto sembrò quasi arenarsi dopo gli studi di fattibilità e le ricognizioni idrografiche. Le analisi individuarono una vasta falda acquifera, a bassa profondità, che si estendeva lungo gran parte dell’area destinata all’edificazione. Dopo una serie di progettazioni scartate sì pensò di rivolgersi ad uno dei maestri dell’urbanistica del Novecento, il giapponese Kenzō Tange.

L’architetto nipponico, Premio Pritzker 1987 (assegnato ogni anno per onorare un architetto vivente le cui opere realizzate dimostrano una combinazione di talento, visione e impegno, e che ha prodotto contributi consistenti e significativi all’umanità e all’ambiente costruito attraverso l’arte dell’architettura), in linea con la sua adesione al “movimento dell’architettura organica” mitigato dal gusto orientale per il Feng shui, presentò il suo elaborato. Lungo un asse centrale pedonale si diramano, a destra e a sinistra, armoniosi viali costeggiati da aiuole. Piazze, slarghi, anfiteatri e fontane. Il tutto sostenuto da pilastri di cemento armato che, nel primo sottosuolo, dove scorre il traffico veicolare, ospita numerosi garage bipiani. Ancora più in profondità, numerosi altri pilastri sostengono l’intera cittadella su di una piattaforma di cemento armato impermeabile. La stessa piattaforma poggia e galleggia sulla falda acquifera a quota -18 metri sulla linea di campagna. Effettivamente un vero gioiello architettonico.

La società appaltante di costruzioni (l’ex IRI ITALSTAT Mededil) affidò la progettazione dei diversi grattacieli previsti ad architetti del calibro di Renzo Piano (le torri Francesco e Saverio di 118 m, con facciate in “vetro continuo” ad angolo acuto), Massimo Pica Ciamarra (Palazzo di Giustizia, Torri Enel, 122 m), Corrado Beguinot (torre Telecom 129 m), Nicola Pagliara (Torri del Banco di Napoli, 70 m). Tante idee di concepire il “mestiere d’architetto” amalgamate in un unicum urbano che, se visto dall’alto, unisce l’arteria storica di Spaccanapoli in un ideale asse di prosecuzione lungo il quale si sviluppa l’area urbana degli anni ’90. Un contrasto tra passato e modernità che non disturba però lo Skyline partenopeo. Anzi sembra di ammirare un’immaginaria linea di evoluzione che dal passato remoto porta al futuro (e viceversa).

A distanza di sei lustri dall’inaugurazione il Centro Direzionale sembra vivere un momento di impasse. Passata la conduzione delle aree comuni dal privato consorzio di gestione Ge.Se.Ce.Di al Patrimonio del Comune di Napoli, “l’isola felice” sembra essere piombata in un ingestibile caos. Sicuramente complici anche la pandemia e la recessione economica degli ultimi anni, molte torri si sono svuotate per la chiusura degli uffici. Un effetto a catena che ha travolto l’indotto creatosi negli anni grazie alla cospicua presenza di personale impiegatizio. Attività di ristorazione, abbigliamento, palestre, società di servizi ma anche istituti di credito e grandi società di telecomunicazioni hanno abbassato, tristemente, le serrande. Situazioni di vero allarme sociale denunciato dai cittadini delle nove torri di edilizia residenziale. Rapine, atti vandalici, giardini divenuti rifugio di clochard, meretricio esercitato in ogni ora del giorno sono solo alcune delle problematiche degli ultimi tempi. Nota positiva l’implementazione dei trasporti pubblici con la nuova fermata della Metropolitana e il progetto di ampliamento del complesso varato dal Comune di Napoli. Come si evince dal sito istituzionale, le aree iperdegradate dell’ex Mercato Ortofrutticolo fino al mercato di via Caramanico saranno interessate dalla riqualificazione urbana: giardini, edilizia residenziale pubblica e privata, aree di socializzazione, per un totale di 350 mila metri cubi.

Unica via di salvezza per il complesso è rimasto l’investimento. Alternativa una ennesima bomba sociale, destinata a deflagrare sulle future giunte comunali.

2 commenti su “Il Centro Direzionale di Napoli: dall’utopia urbanistica al degrado”

  1. ADRIANO FERRARA

    Credo che il progetto sia stato uno dei migliori e più avanzati della moderna architettura urbanistica, del resto simile ad altri realizzati in Europa, Purtroppo scelte forse poco lungimiranti degli attori istituzionali e le solite difficoltà ambientali e sociali della nostra disastrata città hanno fatto si che diventasse da subito una scena di degrado urbano (scali mobili fuori uso, parcheggi privatizzati abusivamente, trasporto pubblico carente, monnezza dappertutto, carenze di illuminazione, mancati investimenti da parte di imprenditori del commercio), un destino forse segnato e tristemente prevedibile?

    1. Antonio Nacarlo

      Grazie per il puntuale commento. Non posso che concordare con lei se gli investimenti per la “ex zona industriale”, ad est di Napoli,verranno sistematicamente dirottati in altri progetti.

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