L’autonomia differenziata

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L’approvazione in via definitiva dell’autonomia differenziata dimostra la pochezza e la ricattabilità della Meloni che forse non era ricattabile da Berlusconi ma lo è tuttora da Salvini, pena una crisi di governo. Circa la pochezza, non sapremmo definire diversamente la consapevole condivisione di un provvedimento, questo sì epocale, che tradisce spudoratamente quel concetto di “nazione” che la Meloni va sbandierando da una vita. Con quale coraggio Fratelli d’Italia (FdI) e Forza Italia mantengono la loro ampollosa e populista denominazione ormai destituita di ogni credibilità? La riforma viene infatti contestata non solo dalle opposizioni e dai sindacati nazionali ma anche da esponenti e, per quanto racconta la cronaca, anche da elettori di destra del Sud, del Centro e financo del Nord.

La maggioranza di governo, che ama esibire la propria forza muscolare, e non solo fisicamente (vedi Igor Iezzi e i suoi zelanti fiancheggiatori di FdI), ha voluto bellamente ignorare anche l’avversione manifestata da numerosi ed illustri giuristi e dai movimenti ambientalisti, particolarmente allarmati dalla prospettiva di una gestione frammentata dell’ambiente naturale, ma anche quella del Vaticano e dell’Unione Europea: un atto di presunzione sconsiderato che non passerà inosservato.

Per non parlare dell’approssimazione con cui viene approcciata da decenni una materia delicata ma soprattutto di una complessità ben superiore alla capacità intellettuale di una classe politica a dir poco dilettantesca. I prossimi mesi ce ne daranno prova, ma sin da subito è possibile sottolineare, sul piano dello sperpero di risorse pubbliche, un aspetto sin qui poco indagato. La facoltà offerta a ciascuna Regione di decidere liberamente quali e quante delle materie intende gestire in piena autonomia comporterà che ciascuna di esse si attrezzi al riguardo con adeguate strutture organizzative. Ciò comporterà un inevitabile aggravio di spesa che, si spera per noi e per loro, le amministrazioni regionali riusciranno a finanziare con le entrate fiscali lasciate a loro disposizione. In corrispondenza di questi oneri aggiuntivi non si intravede però alcun risparmio per le amministrazioni centrali: il Ministero dell’Istruzione (e del Merito, per carità di Patria) dovrà comunque continuare ad amministrare le scuole in tutte le Regioni che non hanno chiesto di gestirle in autonomia. Lo stesso avverrà per il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e così via per tutti gli altri. Le strutture operative centrali resteranno quindi tutte in funzione e, in quanto ampiamente informatizzate, non consentiranno risparmi significativi.

Si creerà dunque un’assurda duplicazione di spesa per tutte le 23 materie delegabili, che inciderà sui contribuenti oppure sulle future generazioni ove l’UE consentisse di creare nuovo debito, cosa che appare allo stato inverosimile. È dunque necessario tenere alto il livello della contestazione di questa legge pazzesca nel metodo e nella sostanza: oltre che del referendum abrogativo si parla oggi anche di un possibile ricorso alla Corte Costituzionale, iniziativa senz’altro meno laboriosa della consultazione popolare.

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