Qualche riflessione per i delusi del PD

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Alba (foto di G. Capuano)

La tornata elettorale delle amministrative, appena iniziata, ci mostra, oltre all’insperata vittoria in Sardegna, l’ennesima conferma dell’irriducibilità dell’astensionismo. Ciò rappresenta un serio pregiudizio per l’ambizione della Schlein di recuperare consensi nella vastissima landa di delusi e di disinteressati. Sembra quasi che i messaggi politici, sia di destra che di sinistra (ma anche di centro), non arrivino all’orecchio di questi elettori. Da chi sia composto il popolo degli astensionisti non è dato sapere con certezza. Si può solo immaginare che, a prescindere dall’età e dal genere, sia costituita da elettori delusi o, come si diceva, da persone che non dànno importanza alla politica perché la vedono, sbagliando, lontana dai propri interessi personali e familiari. C’è poi una quota di idealisti che guarda con disprezzo alla politica ed a chi se ne rende interprete. Dalle due ultime fattispecie non ci si può attendere nulla né nel breve, né nel medio periodo. Bisognerebbe abbattere pregiudizi radicati che solo un’istruzione scolastica seria potrebbe scalfire nelle fasce più giovani oppure l’evidenza di catastrofi naturali contrastabili solo con una adeguata politica ambientalista.

Sui delusi si rende necessaria una domanda di fondo: sono stati delusi dalla sinistra o dalla destra? Sembra, per la verità, difficile individuare soggetti di destra delusi: la destra non delude mai, volta com’è alla salvaguardia dei privilegi della classe agiata o di gruppi di pressione più o meno potenti, grazie anche al consenso della parte meno avvertita (leggi: poco istruita e male informata) del suo elettorato, conquistato senza grandi problemi col nazionalismo, con la paura dei diversi e con tutto l’armamentario propagandistico che abbiamo conosciuto negli ultimi trent’anni. Delusi dalla destra si fa dunque fatica a trovarne. Non lo sono certamente quelli che appartengono alla falange girovagante che, delusa da Berlusconi, è passata a Renzi e poi, delusa da Renzi, al M5S e alla Lega approdando infine alla Meloni ma che rappresenta in fondo lo zoccolo duro della destra

I delusi di oggi vengono dunque dalla sinistra, alcuni dopo un temporaneo parcheggio nel M5S. È possibile sottrarre alla disillusione questi astensionisti più o meno giustificati? Per i disoccupati, gli emarginati e quelli che vivono nei pressi della soglia di povertà la strada è quella intrapresa dalla Schlein con la proposta del salario minimo e la lotta al precariato: andrà integrata con forme di assistenza da individuare (salario di inclusione, reddito di cittadinanza riveduto e corretto) ma anche con la prospettiva di un’equità fiscale che appare sempre più compromessa da questo Governo.

Qualche effetto lo stanno avendo e lo avranno tutte le iniziative volte a salvaguardare la salute e l’ambiente e cioè la lotta all’autonomia differenziata ed al negazionismo climatico più volte manifestato da questo Governo. Meriterebbe una dura opposizione, magari con un referendum (che pare sia allo studio) per scongiurare lo sperpero e lo scempio della costruzione del ponte sullo Stretto. Tutti argomenti, questi, che dovrebbero smuovere anche gli ex elettori delusi dal PD e dai suoi più recenti antenati.

A questi “ex compagni” va, in particolare, proposta una rivisitazione dell’azione della sinistra negli ultimi trent’anni, apparsa ai loro occhi quantomeno inefficace se non addirittura subordinata alla destra e all’establishment. Una rilettura che non può non partire dal fatto storico della discesa in campo di Berlusconi e del suo innegabile strapotere mediatico cioè dalla sua capacità di condizionare l’opinione pubblica. Doversi difendere da un quasi monopolio televisivo e da una notevole fetta della stampa nazionale non doveva essere facile. I toni aggressivi e sprezzanti che hanno caratterizzato sin dall’inizio l’informazione berlusconiana e anche quelli più pacati, ma non meno penetranti, di una certa stampa indipendente che l’ha sempre accompagnata (si pensi al cerchiobottismo del Corriere della Sera ed, in particolare, agli editoriali di Panebianco e di Galli della Loggia) hanno creato uno scenario distorto, omissivo e persecutorio dell’informazione, pieno di falsità e menzogne alle quali, nell’arco di un trentennio, molti si sono lentamente assuefatti fino a considerarle vere.

Le forzature cominciarono da subito con la resurrezione, da parte di Berlusconi, dei “comunisti”, nemici da abbattere (quando la caduta del muro di Berlino li aveva già travolti). Tuttora lo spettro del comunismo anima la propaganda di destra con il richiamo, ormai consueto, alla falsa contrapposizione tra l’antifascismo e l’anticomunismo dando lo stesso peso ai massacri delle foibe e a quelli perpetrati dai nazifascisti su tutto il territorio nazionale. La stessa infondata uguaglianza, tuttora accettata anche nel linguaggio della sinistra meno attenta, riguarda gli “opposti estremismi”, inventati dai partiti di centro e dai media collaterali: l’estrema sinistra gambizzava o sopprimeva presunti nemici del popolo mentre l’estrema destra ammazzava vilmente centinaia di innocenti sistemando bombe nelle banche, nelle piazze, sui treni e nelle stazioni. Il sequestro e la morte di Moro, che tanto contribuirono all’edificazione del terrorismo di sinistra, si sono rivelati di matrice internazionale, graditi sia agli Stati Uniti che all’Unione Sovietica.

Ma i luoghi comuni non finiscono qui: si dice “la politica è corrotta”, sì, ma c’è corruzione e corruzione, sia in termini quantitativi che qualitativi. C’è la corruzione spicciola, nella quale sono caduti anche politici e amministratori di sinistra, ma c’è anche la corruzione eretta a sistema, che passa attraverso un lobbismo senza regole, nel quale i partiti promettono vantaggi economici a settori imprenditoriali, a corporazioni quali sono diventate le partite IVA, i tassisti e i titolari di concessioni balneari, i no-vax e soprattutto la vasta area dell’evasione fiscale. Invitiamo i delusi dalla sinistra a verificare o a cercare nella propria memoria se nel comportamento dei partiti di sinistra ci sia qualcosa di confrontabile con quello che la destra fa sistematicamente e che è, a tutti gli effetti, un voto di scambio su base collettiva. E li invitiamo anche a ricordare il polverone che i media, berlusconiani e non, sollevarono sulla famosa telefonata tra Fassino e D’Alema in cui si commentava con soddisfazione “Abbiamo una Banca”, come se la cosa fosse un reato, oppure intorno alle famose “cooperative rosse”. Vadano anche a rileggersi il calvario giudiziario di Filippo Penati, sindaco di Sesto San Giovanni perseguitato da una lunga campagna diffamatoria per reati di concussione e corruzione mai commessi. E cosa dire del clima di denigrazione del PD alimentato dalla destra e dal M5S in occasione del famoso caso di Bibbiano risoltosi alla fine con una striminzita condanna del sindaco per abuso di ufficio.

Ultima e perdurante menzogna è l’accusa al PD di essere legato alle poltrone, accusa che poggia su un’altra grave semplificazione: il PD avrebbe governato in tutto il decennio precedente l’ascesa al trono di “Re” Giorgia. Se per attaccamento alle poltrone si intende, come pare, l’aver sostenuto entrambi i governi tecnici dal 2011 in poi, sarà bene che ci si rinfreschi tutti la memoria: secondo gli elettori oggi delusi dal PD sarebbe stato più utile per il Paese (per il Paese, non per il PD) andare alle elezioni anticipate con lo spettro dell’insolvenza dovuta ad uno spread che si era spinto oltre quota 500? O avrebbe dovuto farlo dopo la caduta del primo governo Conte, rinunciando all’opportunità di un’alleanza col M5S tante volte auspicata da Bersani e da altri esponenti del PD e poi dimostratasi all’altezza dell’emergenza Covid? O forse avrebbe dovuto negare il sostegno al governo Draghi che si presentava come un governo tecnico di grande prestigio in seno alla comunità europea? Chi vede in queste assunzioni di responsabilità una mancanza di coraggio dovrebbe prima interrogarsi su quali danni gli risulta abbiano fatto i governi Monti, Conte 2 e Draghi. Dopo di che si potrà anche concludere che alla base di queste mancate consultazioni elettorali anticipate possa aver giocato un ruolo anche la preoccupazione o, se preferite, la paura del PD di non uscirne vincente. Ma anche in questo caso, come non considerare l’insidia di un perdurante clima mediatico sfavorevole? E quanto avrà pesato la circostanza che la sinistra non ha mai governato da sola ed ha quindi dovuto soggiacere ai condizionamenti ed ai ricatti di alleati più o meno irrequieti? Con ciò non si vuole prosciogliere il PD dagli errori che oggettivamente ha commesso ma che sono imputabili, come sempre, alla sua componente più spregiudicata. L’allontanamento dal blocco sociale di riferimento e la mancata elezione di Prodi alla presidenza della Repubblica hanno un nome e cognome: Matteo Renzi, l’autore del jobs act ed il presunto complice di D’Alema nell’affossamento della candidatura Prodi. La leadership di Renzi è stata la conseguenza nefasta del perpetuarsi delle “primarie”, che ebbero un senso soltanto alla loro prima convocazione, quando si trattò di raccogliere intorno alla figura di Prodi il consenso di tutte le formazioni politiche che intendevano sostenerlo. Le primarie aperte hanno regalato alla sinistra l’intruso Matteo Renzi. Le stesse primarie, e speriamo siano le ultime, ci hanno però offerto l’occasione e la speranza di un rinnovamento: non a caso il saggio Bersani e Speranza sono rientrati nel PD. Per i “compagni” che dopo la lettura di queste poche e modeste considerazioni fossero ancora titubanti bisogna ricordare che il Governo in carica fa ancora più paura di quelli a guida berlusconiana. Illustri esponenti politici, come la Bonino e meno illustri, come Calenda, non se ne sono accorti e vedono il governo Meloni come la fase negativa di un consolidato fenomeno di alternanza. Potrebbe non essere così e se ne sono accorti Fratoianni e Bonelli. Bisogna dunque abbandonare la diffidenza verso questo PD, augurarsi che il ravvedimento di Conte e soci prosegua e che consenta la formulazione di una piattaforma condivisa in vista delle elezioni europee, che rivestono un’importanza capitale per il futuro della democrazia.   

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