I nodi da sciogliere di Elly Schlein

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Elly Schlein, segretaria del Partito Democratico

La vita politica della Schlein dal momento in cui è assurta alla carica di segretaria del PD, vincendo le primarie e sovvertendo il risultato delle elezioni di partito, non è stata facile. Lungi dall’aver smontato le correnti interne, alcune delle quali le restano ostili, ha tentato di dare una svolta in senso più radicale alla linea politica del partito riuscendoci solo in parte quando ha individuato nel salario minimo il primo punto di incontro con gli altri partiti di opposizione.

Nel bel mezzo del guado in cui galleggia non senza annaspare, due questioni le si prospettano all’orizzonte. La prima, ormai imminente, è la sua candidatura alle elezioni europee. Ma, anche se non incombono perché fissate al marzo 2026, le elezioni regionali in Campania e in Puglia rappresentano un problema da risolvere perché i presidenti in carica hanno entrambi governato per due mandati consecutivi e uno dei due, Vincenzo De Luca, minaccia di ricandidarsi malgrado la contrarietà espressa dalla segretaria del PD.

Chi presta attenzione alle scelte tattiche della Schlein non ha del tutto condiviso la sua disponibilità al confronto televisivo con la Meloni: molti avrebbero ritenuto più utile e corretto proporre un ulteriore confronto della Meloni anche con Giuseppe Conte, potenziale ma imprescindibile alleato del PD. È proprio in ragione di questo precedente che l’eventuale candidatura della Schlein alle europee suscita preoccupazione. In proposito si è già pronunciato Prodi, il quale si è limitato a consigliarle paternamente di non candidarsi in tutti e cinque i collegi elettorali perché sarebbe una truffa agli elettori il cui voto andrebbe fatalmente assegnato ai quattro candidati secondi nelle liste, non necessariamente graditi e presumibilmente maschi.

L’ipotesi che la Schlein si presenti in uno solo dei collegi è accettabile soltanto se va poi realmente a svolgere le funzioni di europarlamentare a Strasburgo, rinunciando alla guida del partito. Secondo alcuni la cosa sarebbe gradita ai suoi oppositori interni considerato, tra l’altro, che Gentiloni rientrerà in Italia e ha dichiarato che intende restare in politica. Della stessa opinione di Prodi si sono peraltro dichiarate 26 donne del PD che, nel corso del recentissimo ritiro in quel di Gubbio, hanno evidenziato “le molteplici conseguenze negative” che una eventuale candidatura della Schlein in tutti e cinque i collegi “avrebbe sulle candidature femminili e sull’immagine del PD”.

Astenendosi del tutto dal candidarsi la Schlein indurrebbe forse la Meloni a fare altrettanto per non essere accusata di tradimento del suo elettorato e di familismo perché appare assai probabile, dati i precedenti, che favorirebbe, collocandoli al secondo posto nelle liste, parenti e amici. L’astensione di entrambe le leader costituirebbe poi per il PD un sensibile vantaggio comparativo, considerato che verrebbe azzerata la indiscutibile superiorità dell’attrazione personale che la Meloni esercita sugli elettori.

Per quanto concerne la terza candidatura di Vincenzo De Luca e di Michele Emiliano alla presidenza delle giunte regionali di Campania e Puglia è necessario premettere che la situazione è estremamente complessa sotto il profilo giuridico. Il divieto di accedere al terzo mandato discende dall’art. 2 della legge n.165 del 2004 la quale stabilisce, in attuazione dell’art 122 della Costituzione, che “le regioni disciplinano con legge i casi di ineleggibilità“, indicando tra essi la “previsione della non immediata rieleggibilità allo scadere del secondo mandato consecutivo del Presidente della Giunta regionale eletto a suffragio universale e diretto, sulla base della normativa regionale adottata in materia“.Ma sono ben poche le regioni che hanno legiferato in materia e quindi possono trovare spazio valutazioni diverse e magari, come sembra, anche interventi governativi che dovrebbero innanzitutto affrontare il caso Zaia, già in calendario nell’anno in corso. Sarà importante partecipare alla discussione già iniziata, tenendo presente che sono favorevoli alla rimozione del limite dei due mandati soltanto la Lega e una parte del PD cui stanno a cuore le rielezioni di Zaia, Bonaccini, De Luca ed Emiliano. La Schlein è contraria e la sua posizione, come molti ricorderanno, dette luogo ad uno scontro verbale abbastanza aspro con De Luca.

Tra le opinioni favorevoli al superamento del limite dei due mandati c’è la presunta “offesa” agli elettori che verrebbero privati del diritto di confermare colui, o colei, che ritengono abbia ben governato, giustificazione avanzata dall’uscente Zaia. L’argomento opposto è quello che vede la prolungata permanenza della stessa persona in un centro di potere come una sorta di “monarchia elettiva”, posizione che potrebbe indurla ad abusi nella consapevolezza di avere creato una rete iperprotettiva di relazioni. Sulla questione si è recentemente espressa anche la Corte Costituzionale che nella sentenza n.60 del 2023, con riferimento a una legge della Regione Sardegna, ha tra l’altro sottolineato quanto segue: “La previsione del numero massimo dei mandati consecutivi … riflette infatti una scelta normativa idonea a inverare e garantire ulteriori fondamentali diritti e principi costituzionali: l’effettiva par condicio tra i candidati, la libertà di voto dei singoli elettori e la genuinità complessiva della competizione elettorale, il fisiologico ricambio della rappresentanza politica e, in definitiva, la stessa democraticitàdegli enti locali”.

Le argomentazioni che sconsigliano di superare il limite dei due mandati consecutivi sono dunque più che autorevoli ma, a mio modestissimo avviso, nascono da un pregiudizio negativo sugli amministratori elettivi della cosa pubblica, pregiudizio giustificato in parte dalle risultanze storiche che documentano un livello di corruzione elevato ma non condivisibile in linea di principio; i comportamenti dolosi degli amministratori pubblici, elettivi e non, dovrebbero essere sanzionati dalla magistratura, nel rispetto della separazione dei poteri, senza comprimere la libertà di scelta degli elettori e dei partiti che propongono le candidature.

Non aiutano più di tanto a dirimere la questione i casi di Roberto Formigoni e Vasco Errani: per entrambi la permanenza oltre i due mandati, rispettivamente in Lombardia e in Emila Romagna, si rivelò all’origine di inchieste giudiziarie, conclusesi però con esiti contrastanti, la condanna per il primo e l’assoluzione in appello per il secondo.

La Schlein dovrebbe tener conto di queste osservazioni perché, pur volendo dare per scontata la vittoria dei democratici in Emilia anche senza Bonaccini, non è accettabile che il PD metta a rischio regioni come la Campania e la Puglia in un periodo di allarmante emergenza democratica. Sul quotidiano “Domani” del 18 gennaio anche il politologo Piero Ignazi esorta la Schlein ad approfittare della spaccatura che si è aperta tra la Lega e FdI sul limite del secondo mandato regionale per favorirne il superamento, ricordandole che le probabili sconfitte dei nuovi candidati nelle tre regioni ancora governate dalla sinistra sottrarrebbe tre grandi elettori alle prossime elezioni del Capo dello Stato, che avranno un peso maggiore del passato data la sopravvenuta riduzione del numero dei parlamentari. Si convinca inoltre la segretaria del PD che il miglior candidato della destra in queste due ragioni non farebbe mai meglio di De Luca né tantomeno di Emiliano. D’altra parte l’identità ancora incerta del nuovo PD consente qualche strappo a regole interne che sono tutte da definire.

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